giovedì 13 febbraio 2014
Un "Tango libre" per un triangolo che diventa quartetto sognando di raggiungere la libertà e magari la redenzione
Il tango come metafora di libertà ma, ovviamente, anche di seduzione, sensualità, redenzione e amore, senza limiti. Questo è il tema centrale del dramma, duro e amaro, anzi della tragicommedia esistenziale di Frédéric Fonteyne, già autore dei celebri "Una relazione privata" (1999) e "La donna di Gilles" (2004).
Presentato al Festival di Venezia 2012 e vincitore del Premio Speciale della Giuria della sezione ‘Orizzonti’, approda ora nelle sale italiane rischiando di perdersi fra commedie e blockbuster destinati agli adolescenti, sulla scia dei nostri peplum e mitologici anni Sessanta, tra un "Hercules" e una "Pompei", entrambi altamente 'digitali', ma freddi e privi di emozioni vere. Queste, invece, non mancano in "Tango Libre" in cui vita e danza sono alimentate dalla passione e da forti sentimenti, tutto al ritmo del tango, appunto.
JC (François Damiens) fa la guardia carceraria, un uomo normale che conduce una vita tranquilla. La sua unica stravaganza è andare a lezione di tango una volta alla settimana. Una sera gli capita di ballare con una nuova arrivata di nome Alice (Anne Paulicevich, anche sceneggiatrice). La donna ha trent'anni circa, è bellissima ed è madre di un quindicenne. Il giorno dopo, JC la rivede nella sala colloqui della prigione, dove è andata a trovare due detenuti, Fernand (Sergi Lopez) e Dominic (Jan Hamenecker), amici di lunga data e 'complici di crimini'.
Uno è il marito, l'altro il suo amante. L'ordinario JC si ritrova testimone di questa donna che, al contrario di lui, vive un’esistenza ricca di eventi: vissuta secondo i suoi desideri e le sue regole, divisa tra due uomini e suo figlio. Ma le regole della prigione proibiscono di socializzare con le famiglie dei detenuti. Attratto dalla donna, però, JC infrangerà tutte le regole che finora hanno governato la sua vita.
Questo film è l'ultimo capitolo della trilogia di Fonteyne sulle donne e sull'amore, iniziata proprio con le due opere precedenti, e ci offre - dal punto di vista della guardia carceraria - il ritratto di una donna libera che accetta - tramite il ballo del tango - le costrizioni della vita, nel tentativo di poter meglio superarle.
"Per me la prigione è una metafora - dice Fonteyne - per la natura impossibile delle relazioni tra uomini e donne. Più che un film sulla prigione, questo è un film sulla 'stanza delle visite', un film sul posto in cui le famiglie si incontrano. Ho cercato d'imparare il tango qualche anno fa, ma non ci sono mai riuscito. Ho scelto di continuare a fare film invece di rinunciare a tutto e di trasferirmi a Buenos Aires. Per me, il Tango e il cinema hanno qualcosa in comune. Entrambi rivelano delle cose sul corpo delle quali non ci si accorgerebbe. Il Tango rivela la tragicomica goffaggine dei personaggi, la bellezza della loro goffaggine. Il tango si basa su temi come la passione, il tradimento, l'omosessualità latente e il combattere per una donna".
Tutto vero e tutto espresso e trasmesso dalla pellicola che, infatti, seduce, emoziona e commuove, fino alla 'liberazione' finale e totale, come in un sospiro di sollievo. Anche perché il film è stato scritto come una Milonga, dal ritmo sincopato, e quindi tocca delle corde e racconta dei personaggi proprio come un brano musicale, e dove tutto è 'coreografato', non solo le danze, dai movimenti al montaggio.
Naturalmente la colonna sonora è tutta tango, da quelli originali (c'è anche Carlos Gardel) a quelli classici fino alle variazioni più recenti. Tra luce e ombra, frenesia e malinconia.
Nel cast anche Zacharie Chasseriaud (Antonio), Corentin Lobet (), Christian Kmiotek (Michel), David Murgia (Luc, giovane guardia), Frédéric Frenay (Patrick, il tatuato), Dominique Lejeune (Popeye) e gli argentini Pablo Tegli e la partecipazione straordinaria di Mariano ‘Chicho’ Frumboli, ovviamente uno dei più grandi maestri di ‘tango nuevo’.
José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5)
Nelle sale dal 13 febbraio distribuito da Bolero Film
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