venerdì 6 febbraio 2015
Dopo tre anni arriva nei cinema italiani "The Iceman" di Ariel Vromen - presentato in anteprima a Venezia e Toronto - con un sorprendente Michael Shannon
Nella selezione ufficiale, quasi tre anni fa, dei Festival di Venezia, Toronto e Telluride, arriva solo ora nelle sale italiane un dramma psicologico costruito come un thriller ad alta tensione, che ci mostra le due facce dello stesso uomo. Tratto dal romanzo omonimo “The Iceman – The True Story of a Cold Blooded Killer” di Anthony Bruno e dal documentario “The Iceman Tapes: Conversation di James Thebaut with a Killer”, una sorta di biopic thriller – sceneggiato (con Morgan Land) e diretto da Ariel Vromen - sulla vita e sulla ‘professione’ di Richard Kuklinski, un uomo freddo, appunto, sdoppiato in marito amorevole e padre devoto e apprensivo, e dall’altra parte spietato killer (‘libero’) professionista.
Apparentemente serio, calmo e, se vogliamo debole, Kuklinski snasconde dietro un gelido killer al servizio della criminalità organizzata, e si trova ancora oggi nel carcere del New Jersey dove sconta un ergastolo per l’uccisione di cento uomini, tra gli anni Sessanta e Ottanta. Ma non si tratta di un serial killer – come qualcuno lo definisce – perche “The Iceman” non progettava i suoi omicidi per qualche mania nascosta o trauma mai superato, ma portava a termine ‘un compito’ come si trattasse di un qualsiasi altro ‘lavoro’. Inoltre, caso più unico che raro, ci teneva ad essere un marito e padre esemplare. Era sì spietato nelle esecuzioni – sono stati davvero tanti i suoi omicidi – e non può che essere considerato un ‘mostro’ senza causa.
Il film ripercorre – con qualche minima variazione - la storia di Richard Kuklinski (un sempre sorprendente Michael Shannon) dagli inizi quando comincia a lavorare nel doppiaggio di film porno, gestiti dalla mafia, fino al suo arresto nel 1986. Tutto faceva supporre che stesse vivendo il ‘sogno americano’, con la bella moglie italo-americana, Deborah Pellicotti (Winona Ryder), sposata nel 1964, e i loro bambini (in realtà ne ha tre figli, nel film due figlie), mentre in realtà Kublinski era un killer su commissione capace di tenere il ‘lavoro’ nascosto alla sua famiglia.
Infatti, prima alla moglie dice di lavorare nel cinema d’animazione, poi le lascia credere di aver trovato un lavoro a Wall Street. Nel frattempo però è stato assoldato come killer personale dal boss Roy Demeo (Ray Liotta). Ma nei primi anni ’70, la ‘professione’ di killer sta subendo dei cambiamenti e Richard incontra Mr. Freezy (Chris Evans), un altro assassino che finge di essere un venditore di gelati e usa i freezer del camioncino per conservare i corpi delle vittime.
Kublinski e Mr. Freezy collaborano riuscendo a creare un vero ‘business’ e a mantenere segrete le loro operazioni, però all’inizio degli anni ’80 il loro rapporto comincia a incrinarsi prima perché il primo non condivide il metodo del socio, poi perché le varie organizzazioni criminali ora gestiscono le loro esecuzioni con delle risorse interne e non assumono più ‘freelance’ con la stessa frequenza. A quel punto Kublinski si trova in difficoltà per assicurare la sopravvivenza e salvaguardare la famiglia. E ormai, dopo oltre trent’anni, l’Fbi è sulle sue tracce.
Fino a quel momento né la moglie né le figlie né i vicini avevano la più pallida idea che lui fosse un assassino professionista. Perché l’ha fatto e come ha potuto farla franca per così tanto tempo? Per scoprirlo basta vedere il film, perché Kublinski, di origini polacche, era stato cresciuto sotto il polso di ferro di un padre violento, e lui stesso non era estraneo alla violenza, solo che non lo faceva vedere, soprattutto alle persone che amava. Tant’è che, quando Deborah viene offesa da un avventore in un bar, lo massacrerà solo dopo aver riportato lei a casa. Un’altra spia del suo bipolarismo quando, dopo aver ucciso la vittima designata, scopre che una donna è stata testimone del delitto e resta bloccato, ma sarà il ‘collega’ a finire il ‘lavoro’.
Un dramma gelido come il protagonista, ben costruito e meglio recitato, che però proprio per la freddezza della narrazione – anche se non mancano scene di efferata violenza e tension – non riesce a coinvolgere fino in fondo e, forse, nemmeno a trasmettere vere emozioni. E’ un intenso Shannon (dalla nomination all’Oscar per “Revolutionary Road” al televisivo – prodotto da Martin Scorsese – “Boardwalk Empire”) a dar volto, corpo e anima a questo ‘uomo di ghiaccio’, disegnando un ritratto fatto soltanto di piccole e studiate azioni, gesti e sguardi di ghiaccio che però sciolgono anche gli spettatori, non solo le vittime.
Nel cast anche David Schwimmer (Josh Rosenthal), uno dei protagonisti della fortunata sit-com “Friends”; John Ventimiglia (Mickey Scicoli), dal serial “I Sopranos”; Jay Giannone, visto in “Safe”; il caratterista Robert Davi, ultimamente in “Profiler”; e in ruoli cameo i più famosi James Franco (Marty Freeman) e Stephen Dorff.
José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5)
Nelle sale dal 5 febbraio distribuito da Barter Entertainment
HANNO DETTO:
Dopo aver visto il documentario su Kuklinski, il regista Ariel Vromen confessa: “Sono rimasto molto colpito dalla storia. La sensazione più strana era che lui mi piaceva”.
“Ci troviamo di fronte ad un uomo – dice il produttore Ehud Bleiberg – che nella sua infanzia ha vissuto delle esperienze che lo hanno portato a fare cose che, dal mio punto di vista, la gente normale non fa. E’ in grado di uccidere senza battere ciglio, nessuna emozione, niente. Questa è una delle parti della storia. L’altra parte è la famiglia. Che cosa sa la famiglie? Un uomo torna a casa dal lavoro dopo aver ucciso qualcuno. Riesce difficile immaginare come abbia potuto vivere con la sua famiglia mentre faceva questo cose terribili. Il suo bilanciamento di questi due mondi mi interessava molto”.
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