lunedì 20 aprile 2015

Arriva "Ameluk" di Mimmo Mancini, opera prima in commedia corale, ambientata nella Puglia profonda che diventa universale riflessione d'attualità fra integrazione e religione

Un’opera prima in commedia corale d’attualità perché fonde l’utile al dilettevole, infatti, oltre all’approccio sociale, prende in considerazione il tema della religione, tra pregiudizio e fanatismo, che - data la scottante situazione mondiale contemporanea - approda nei cinema italiani come un messaggio premonitorio e anticipatore su discriminazione e sfruttamento, convivenza pacifica e fondamentalismo. Ma è soltanto una coincidenza perché il film di Mimmo Mancini è reduce da un lungo processo di realizzazione (l’idea nacque nel lontano 2005), quando il problema non era ancora così grave, anzi era stato sottovalutato.
E al protagonista, un immigrato soprannominato “Ameluk” - nonostante sia sposato con un’italiana e ben inserito nel tessuto sociale del paese -, basta un non nulla perché diventi ‘il povero Cristo’ della situazione pronto ad essere crocifisso (lo ‘scandalo’ parte dal fatto che uno straniero e per giunta musulmano rappresenti Cristo, appunto, durante la recita della Passione).
Quindi è Jusuf (Mehdi Mahdloo Torkaman) il capro espiatorio per rancori e rivalità di ogni sorta, persino politiche, di ‘peccati’ e disfunzioni (sociali) a Mariotto, paesino pugliese. E’ Venerdì Santo e tutto è pronto per la Via Crucis, ma l’interprete di Gesù, il parrucchiere Michele (Paolo Sassanelli), si siede sulla corona di spine e non se la sente di farlo. E’ l’inizio del ‘calvario’. Il tecnico delle luci, Jusuf, mandato inconsapevolmente allo sbaraglio dall’amico parroco, Don Nicola (Roberto Nobile), lo sostituisce, ma è musulmano. La notizia fa scalpore e successivamente il giro del mondo mentre l’opinione pubblica di Mariotto si spacca in due. Jusuf sarà, suo malgrado, candidato a sindaco nelle elezioni locali. Sotto un fuoco di fila incrociato, tra momenti drammatici e situazioni comiche, sarà proprio Ameluk a riportare la pace nel paese.
“La parola Ameluk – dice l’autore e sceneggiatore con Carlo Dellonte – è legata ad un ricordo d’infanzia. Era il nome di un venditore ambulante che negli anni Sessanta girava per le piazze e le sagre di paese di Puglia e Basilicata vendendo pastiglie ‘contro’il fumo. Un omone con i baffi da turco e il classico ‘fez’ marocchino di colore rosso, con i cordoncini neri che ciondolavano a ogni tentennamento del suo testone. Viandante e alchimista per la mia fantasia, che sicuramente veniva da terre lontane misteriose”. “E’ stata una grandissima avventura – dichiara il protagonista Mehde Mahdloo Torkaman, italiano di origini iraniane, lanciato da “Che bella giornata” di Gennaro Nunziante accanto a Checco Zalone, dov’era il fratello di Farah -, un onore essere stato scelto dopo le mille difficoltà iniziali. Sono cambiato sia come attore sia come persona, un’esperienza eccezionale in un paese piccolissimo insieme ad attori eccezionali, bravi, tutto questo mi ha aiutato a prendere coscienza della mia persona e di confrontarmi con gli altri”.
“Ci sono tanti tipi di film – afferma l’interprete Michele De Virgilio -, questo lo ritengo un film necessario, gli autori e il produttore sono e hanno messo il cuore in una produzione che dà un senso al mestiere degli attori”. “Mi sono emozionata e ho riso nel vedere il risultato di mesi e mesi, anni d’impegno – ribatte Nadia Kobut nel ruolo della sorella Amida -. Un plauso a Mimmo e a Luigi (Ricci il produttore ndr.) che mi hanno dato l’occasione di parteciparvi, credo che ci sia un messaggio che possa arrivare perché è quello che vogliamo tutti col cuore”. “Io sono una cantautrice – confessa la salentina Francesca Giaccari (Rita) che, dopo il ‘Grande fratello’, si è trasferita in Australia dove ha fatto fortuna – ma sono stata felice di partecipare. E’ stata un’esperienza alchemica.”
“E’ un film coraggioso, non è un caso che esca in questo momento”, aggiunge il produttore Ricci. “Christian è un’enciclopedia vivente dell’Islam – dice il regista del consulente alla presentazione romana -, l’abbiamo trovato a Mariotto (un paesino che ha meno di duemila abitanti), uno specialista, parla arabo, e gli abbiamo detto ‘vieni, giriamo col libro incorporato’. Ci tengo a sottolineare la pregnanza dei religiosi in una situazione come quella odierna, dove sempre hanno convissuto, oggi vengono martoriati anche dai laici. Ho molto pensato alle religioni che hanno molti vani ma un’unica fonte, eccelsa, il profeta che deve venire. E Gesù venne crocifisso per queste idee. Preghiamo perché padre Dall’Olio ce lo restituiscano vivo”. “Il suo è stato un coraggio profetico – ribatte Christian - perché nessuno sapeva quello che sarebbe successo, in un momento come questo arriva un messaggio da tradurre in varie lingue, perché colpisce chiunque trova”. “Amo il teatro – dice Massimo Bagnasco (di Bitonto) che è Minguccio, del produttore - ma gli dicevo ‘mi devi far fare un film’, e lui ‘lo farai, e l’ho chiamato per due anni tutti i giorni, mi diceva ‘il prossimo’ e io ‘quando devo venire’. Comunque, ora speriamo di farne un altro. Ho bisogno”. “Mentre lo guardavo – confessa Claudia Lerro nel ruolo di Maria, la moglie -, mi dicevo sembra scritto ieri, invece l’abbiamo girato un anno fa”.
“Non sono cattolico né musulmano – ribatte Cosimo Cinieri alias il prof Ferrara - neanche ebreo, non sono nulla; la religione non mi ha mai interessato, ma amo profondamente la Puglia, sono della Magna Grecia, e questa forza che ha tutta la Puglia, come una batteria nel cuore, dà la forza di fare tante cose belle”. “Sono in piedi dal giorno prima di ieri – ironizza Teodosio Barresi, il barista Pino, sul tour de force per la presentazione romana -, sono due giorni che non dormo. Grazie a tutti gli amici attori e al regista che è unico. A Christian che ho scoperto e l’ho portato, perché ho fatto due, anzi 45 telefonate. Ma non ho portato la Bibbia”. E la costumista Sabrina Beretta aggiunge: “Sono abituata a sopportare attrici e attori. Qui, invece, ho avuto la grande possibilità di metterli insieme con uno sguardo nuovo, di poter incontrarci ed amarci in questo film”.
“Il giallo della luce è stata una scelta – precisa Mancini -, perché il film lo vedo pastello come un fumetto, è un omaggio ad Andrea Pazienza, perché penso gli sarebbe piaciuto; un po’ come una cartolina sbiadita mediorientale. Siamo partiti da questo discorso, osare con il colore per una scelta ben precisa. Pazienza l’avevo incontrato anni fa in teatro, mi aveva detto ‘sei perfetto, mi devi raggiungere in Toscana, portami i frasini, scappa da Roma’. Dovevamo debuttare proprio in teatro, aveva tanti bozzetti sparsi in giro. Tempo dopo ho letto su ‘L’Unità’, Andrea è morto, e finì la storia. Sono un suo fan, un vecchio ammiratore della realtà di pensiero. Avevamo parlato di fumetti, di colori strani e mi è venuta l’idea dei titoli (con caricature dei personaggi come nei film anni ’60 riprodotti in locandina ndr.). I personaggi cattivissimi sono un omaggio alla Puglia di Pazienza. Marcello Montarsi fotografo, durante la proiezione della copia campione, ha confermato che la luce è eccelsa, non si tratta di un errore ma di una scelta”.
“La domanda me la sono posta – aggiunge su possibili polemiche -, sono stato anche in sinagoga, ho consultato persino Di Segni, per avere un’indicazione, ha preso la sceneggiatura e un mese dopo mi rispose ‘devi fare questo film’. Sono stato attento su cosa aggiustare per non insultare nessuno. Alla comunità di Sant’Egidio ho sentito il prete che stava alla guida all’epoca, ora diventato vescovo, anche Don Gallo – a cui è dedicato il film – mi ha detto ‘dovete fare questo film’, infine un omaggio al prete anarchico col sigaro, anche lui passato a miglior vita, Scialoja, ha detto a me e a Carlo Dellonte ‘è fondamentale che se ne parli, sorridendo con un occhio e l’altro che piange’. Questa è la prova del nove, una sorta di censura amichevole, non come ‘Je suis Charlie’, ma fare il possibile per non cascare nella trappola, evitare certe battute facili, spero di no per noi, per i palestinesi comunque Arafat è un martire”.
“E’ una sorta di dedica pasoliniana. Al MiBACT mi hanno chiesto ‘a quali registi ti ispiri’, disse sono appassionato di Zavattini, Rosi. I sassi di Matera, ricordano questa cosa di Pasolini, avrei voluto osare, che fosse un po’ come il Gesù di Zeffirelli, opposto al biondissimo proposto da Hollywood, e vicino al ‘Vangelo secondo Matteo’ di Pasolini, che è stato uno dei primi a farlo all’interno della stessa chiesa. Il Cristo di Pasolini e quello di Zefirelli. Questo è giordano, solo per fare una citazione, perché alla fine è il film di Mancini. Un Cristo mite nel cuore non nella ragione, perché quello che mi rappresenta non è cattolico ma cristiano, e farlo con un maggior rispetto e stima, è la religione di tutti, ovvero un altro povero Gesù. Ho rivisto il titolo dopo due anni, dai fratelli morti nel Mediterraneo per arrivare su questa sponda”.
Infatti, la pellicola mette in evidenza le contraddizioni della nostra società, ma anche che una convivenza pacifica è possibile, anzi basta poco, si tratta soprattutto di rispetto reciproco, di accettazione e scambio, di solidarietà e amicizia, sentimenti che non conoscono né razze né colori né religioni. “Il primo che arriva racconta il suo punto di vista – conclude il regista, anche nel ruolo di Mezzasoma, candidato e poi rivale di Jusuf -, non ho visto ‘Non sposate le mie figlie’, il problema è la distribuzione, non fosse stato per Draka il film sarebbe rimasto attaccato al palo. Bisogna notare al MiBACT di riformare anche il settore cinema, perché se mi dai un contributo dovrebbe garantire che il film abbia anche una distribuzione, una sorta di assicurazione dell’uscita del film. Vorrei ringraziare Tonino e Corrado Azzolini della Draka, pugliese anch’essa. Poter essere visto dal pubblico, bisogna essere bravo a muovere i tuoi amici in politica perché santi sulla Terra non ci sono. Qualcuno deve prendere ancora qualche soldino, nel nostro territorio gli esercenti vogliono essere pagati, ma soldi per loro non ne abbiamo da dare”.
“Usciamo dal 9 aprile su tutto il territorio con 20/25 copie – conferma il produttore/distributore di Flavia Entertainment -, avevamo un cattering a km 0, abbiamo deciso di illuminare poco il film sfruttando al massimo la luce ambiente, però avevamo poco tempo. Poi è venuto fuori la magia del fonico con le pile ricaricabili, mai il cestino, post produzione al Pigneto in casa della montatrice. Al Religion Today Film Festival 2014 abbiamo avuto il Gran Premio ‘Nello spirito della Fede”, e bisogna sapere che in giuria c’erano un iraniano, un russo, un italiano, un israeliano e un indiano, come dire mezzo mondo. E’ stata una bella emozione vederlo sottotitolato, perché non abbiamo mai pensato di fare un film per la Puglia ma per l’Universo. A Gerusalemme, il pubblico del Jewdish Film Festival rideva e ci ha fatto un applauso finale, e tutto ciò viene da chi la pensa in maniera diversa, da ebreo e da musulmano, quindi la storia si ripete”. Il costo di questo piccolo grande miracolo? 650mila euro dai produttori indipendenti, 100mila euro dal MiBACT, 25mila dell’Apulia film commission. Volere è potere anche al cinema. Nel nutrito cast, tutto esclusivamente pugliese tra professionisti e non, tranne rare eccezioni: Dante Marmone (Arafat), Michele Di Virgilio (Maresciallo), Maurizio De La Vallée (Esterino), Andrea Leonetti (Tonino), Nadia Kibout (Amida), Miloud Mourad Benamara (Abdul), Luigi Angiuli (nonno Maria), Pascal Zullino (padre Maria), Hedy Krissane (Mustafà), Tiziana Schiavarelli (Mafalda), Helena Converso (Lilli, la giornalista), Alberto Testone (cameraman) e con l’amichevole partecipazione di Rosanna Banfi (madre Maria). José de Arcangelo
(3 stelle su 5)

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