martedì 21 aprile 2015
"In the Box" di Giacomo Lesina e prodotto da Massimo Spano, sulla scia del cinema di genere 'all'italiana' degli anni Sessanta-Settanta, rilegge paure e ossessioni del nostro tempo
Il cinema di genere italiano tenta la rinascita prendendo come riferimento quello degli anni Sessanta-Settanta, fetta non indifferente del mercato nazionale e soprattutto internazionale, che ha fatto scuola nell’allora cosiddetta serie B offrendo un cinema artigianale di ottima qualità, condotto da maestri quali Mario Bava e Riccardo Freda, specialisti soprattutto nell’horror all’italiana, ma non solo.
E’ questo il tentativo del regista Giacomo Lesina e del produttore (anche scenografo) Massimo Spano che hanno portato sul grande schermo una sceneggiatura di Germano Tarricone per costruire in unità di tempo e luogo un riuscito thriller claustrofobico sostenuto dall’unica protagonista, un’intensa Antonia Liskova, in una vera ed equilibrata prova di attrice - mai sopra le righe -, nonostante sia sempre preda dell’obiettivo, tranne in rare occasioni (le soggettive), e anche in primissimo piano.
“Nasce come un film a basso costo chiuso in un garage – esordisce Lesina alla presentazione romana -, rappresenta le paure che abbiamo dentro di noi, nella nostra quotidianità respiriamo fumo tutto il giorno, ma al chiuso provoca paura”.
“Nasce dalla voglia di fare e tentare il genere – ribatte Spano -, a cui avevo partecipato come scenografo e che aveva un mercato negli Usa e Canada, allora considerato di serie B, zoccolo duro della nostra cinematografia con ambizioni for export e che era riuscito ad imporre Bava e la paura, e poi altri riuscendo a creare una grande library di produzioni e coproduzioni. Da una voglia di esserci e dimostrare la nostra capacità di trovare una grande diffusione anche all’estero”.
E dopo il passaggio in concorso al Courmayeur Noir in Festival 2014, “In the Box” segna il debutto da regista di Lesina nel cinema che però ha sulle spalle trent’anni da aiuto regista (da Luigi Comencini a Carlo Vanzina, da Francesca Archibugi a Paul Schrader) e anche come regista televisivo (da “Don Matteo 6” a “La freccia nera”).
Quindi, un riuscito thriller al femminile che gioca naturalmente sull’ambiguità e sul dubbio, su disperazione e paura, prendendo spunto anche dall’attualità e dalla nostra quotidianità per raccontare l’incubo di una giovane donna che si risveglia dentro le quattro mura di un garage (cemento armato, unica finestrella dove entra la luce in vetro infrangibile), apparentemente inoffensive come la maggior parte dei luoghi di una grande metropoli, ma che ora la isolano completamente dal resto del mondo.
All’interno del ristretto spazio, una macchina esala anidride carbonica, un gas che ogni giorno senza saperlo respira quando esce per strada come chiunque di noi, un gas apparentemente innocuo, ma che lì dentro diventa micidiale. E, purtroppo, chi l’ha rinchiusa nel garage è uno sconosciuto che sa tutto di lei, del suo passato e che la tortura via cellulare ricordandole quanto tempo metterà a morire, probabilmente quello del film (81’) se non riesce a trovare una via d’uscita o un aiuto dall’esterno.
Di più non possiamo svelare perché non mancano i colpi di scena e le sorprese, visto che la mortale trappola sembra davvero blindata, e la donna ha una figlia piccola che l’aspetta a casa.
“Quanto siamo liberi? – si chiede l’autore nelle note di regia – E’ una domanda che ci si pone spesso, ma a cui difficilmente riusciamo a dare risposta. Perché la maggior parte di noi conduce una vita tranquilla, fatta di una routine che ci protegge, tiene a bada le nostre paure.
E se la nostra esistenza, all’improvviso, sfuggisse al nostro controllo e finisse nelle mani di un altro? Uno sconosciuto. Una persona che conosce tutto di noi. Soprattutto le nostre debolezze, gli errori commessi nel passato, il poco valore che a tratti abbiamo dato alla nostra vita presi dalle nostre angosce. Qualche che sembra avere cattive intenzioni”. A tutto questo cerca di dare una risposta la protagonista e il film che proprio per questo diventa inquietante.
Il film, girato completamente in inglese e ambientato in una Los Angeles che non vedremo mai, è stato già venduto negli Stati Uniti, Canada e Corea, ed esce ovviamente in versione italiana.
Solo altri due interpreti in ruoli cameo: il piccolo Niccolò Alaimo (Thomas) e Jonathan Silvestri (solo una voce).
José de Arcangelo
(2 ½ stelle)
Nelle sale dal 23 aprile distribuito da Istituto Luce-Cinecittà
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