giovedì 18 giugno 2015

"La regola del gioco" della verità è una guerra mai vinta da un giornalista onesto e coraggioso nell'America della Cia e dei narcos

La drammatica vicenda di un giornalista onesto e coraggioso alla ricerca della verità è al centro di “La regola del gioco”, diretto da Michael Cuesta e sceneggiato da Peter Landesman, ispirato ad una storia vera, tratta dai libri “Dark Alliance” dello stesso Gary Webb e “Kill the Messenger” (titolo originale del film) di Nick Schou. Ma, al contrario dei loro illustri predecessori dello scandalo Watergate – Bob Woodward e Carl Bernstein interpretati da Robert Redford e
Dustin Hoffman in “Tutti gli uomini del Presidente” di Alan Pakula (1976) – e nonostante il Premio Pulitzer, Gary Webb è stato poi denigrato ed estromesso con ogni mezzo, e non solo dalla vita professionale ma anche da quella civile. Tanto da finire ‘suicida’ – nel 2004, a 49 anni - nel dimenticatoio. Però quella è la versione ufficiale, anche perché pur sempre avvolta nel mistero, visto che si afferma che si è tolto la vita con due spari in testa, cosa difficile per chi si uccide riuscire a sparare un secondo colpo.
Ennesima grossa macchia nella storia americana contemporanea, ritornata in prima pagina proprio dopo la morte del giornalista, distrutto professionalmente e umanamente vent’anni prima. Quindi, ci troviamo davanti ad un toccante dramma di impegno civile e al tempo stesso un avvincente thriller politico, costruito con sicuro mestiere e tanta passione da Michael Cuesta, sostenuto da un inimitabile Jeremy Renner (da “), anche tra i produttori.
Gary Webb (Renner), autorevole giornalista da poco trasferitosi con la famiglia in California, lavora per il quotidiano locale San José Mercury News, ma la sua carriera prende una piega inattesa quando la donna di un grosso trafficante di coca, Coral Baca (la spagnola Paz Vega in ruolo cameo), gli consegna una trascrizione del Gran Giurì che rivela un collegamento tra i servizi segreti statunitensi e il traffico di cocaina dal Sudamerica.
A questo punto, Webb inizia a seguire Alan Fenster (Tim Blake Nelson), avvocato del re del crack di Los Angeles, e poi “Freeway” Ricky Ross (Michael Kenneth Williams) che lo mettono sulle orme di altri uomini implicati nel caso. Ben presto, Webb si rende conto di avere tra le mani una traccia che potrebbe ricondurlo alle oscure origini del flusso ininterrotto di cocaina a basso costo che ha invaso le strade di tutto il paese…
Però il reporter aveva scritto che i narcos che lavoravano con i Contras nicaraguensi, fiancheggiati dalla Cia, facevano arrivare quantità enormi di cocaina a L.A., dove gli spacciatori inondavano le strade di crack. Una vera epidemia che aveva colpito e danneggiato soprattutto il quartiere di South Central provocando migliaia di morti. E, infatti, le sue rivelazioni fecero scattare una protesta popolare che il governo doveva placcare ad ogni costo, ricoprendo, anzi cancellando una verità troppo scomoda e oscura, e accusando Webb di aversi ‘inventato’ uno scoop.
“Gary era un doberman – dichiara invece il regista, pluripremiato per “L.I.E” e attivissimo in tivù, da “Dexter” a “Homeland” -. Grintoso e insistente, affrontava i fatti con la convinzione incrollabile che il pubblico avesse diritto a sapere la verità. Era il cronista della gente comune, del popolo. Aveva un’idea molto chiara del significato di cose come la verità e la giustizia. Era una persona autentica, che amava i gruppi punk e l’hockey. Non aveva paura di mettersi contro i pezzi grossi. Abbiamo bisogno di persone come lui, soprattutto oggi che rischiamo di perderci nel labirinto mediatico di politicanti e opinionisti”. E lo sceneggiatore Landesman ribatte: “L’America continua ancora oggi a pagare il prezzo di quella vicenda. E non mi riferisco solo alle cicatrici, ma ai miliardi di dollari dei contribuenti”.
“Va ricordato che Gary non conosceva persone in posizioni di potere – afferma la produttrice Naomi Despres -, come invece accadeva ai giornalisti dei grandi media. Non conosceva nessuno a Washington, eppure fu lui a fare uno straordinario lavoro d’indagine su una vicenda di cui nessun’altro si occupava e su questioni che riguardavano la sicurezza nazionale e la politica internazionale – territori che esulavano dal suo abituale raggio d’azione”.
Il film, impreziosito da un’intenso Renner, vanta anche la presenza di Rosemarie DeWitt (Sue Webb, la moglie), Ray Liotta (John Cullen), Barry Pepper (Russell Dodson), Oliver Platt (Jerry Ceppos), Michael Sheen (Fred Weil), Mary Elizabeth Winstead (Anna Simons), Lucas Hedges (Ian Webb, il figlio), Parker Douglas (Christine Webb, la figlia), Robert Patrick (Ronald J. Quail) e Andy Garcia (Norwin Meneses). La fotografia è firmata da Sean Bobbitt (“12 anni schiavo”), mentre le musiche sono di Nathan Johnson (supervisione di Jim Black), il montaggio di Brian A. Kates, le scenografie anni Novanta di John Paino e i costumi di Kimberly Adams. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 18 giugno distribuito da Bim Film

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