giovedì 20 agosto 2015

Uno struggente dramma esistenziale di rara bellezza: "Corn Island" di Giorgi Ovashvili, già in corsa per l'Oscar al miglior film straniero

Un dramma ispirato alla realtà di paesi lontani - ma non troppo - e narra una storia di quotidiana esistenza e/o sopravvivenza, di tragici conflitti di cui non sappiamo quasi niente ma che purtroppo esistono, e affronta argomenti universali come crescita e adolescenza, il rapporto uomo-natura non
sempre idilliaco, le (assurde) rivalità etniche e geopolitiche. Il tutto viene raccontato da “Corn Island” di Giorgi Ovashvili – selezionato nella prima decina di candidati all’Oscar per il miglior film straniero 2015 - attraverso la forza delle immagini – di rara bellezza – e le espressioni degli attori protagonisti, dato che i dialoghi sono scarni, quasi inesistenti, e i due non parlano la lingua dei vicini georgiani.
Ambientata proprio sul fiume (l’Enguri) che segna il confine naturale e contrastato tra l'Abkhazia e la Georgia, dove isole itineranti si formano e si disfano a seconda delle stagioni e dei capricci degli elementi, la pellicola racconta di un vecchio contadino (Ilyas Salman) e di sua nipote sedicenne (la rivelazione Mariam Buturishvili) che si installano su questa terra di nessuno, per coltivare il mais necessario per sopravvivere durante il lungo inverno, ma rischi e pericoli sono molteplici e imprevedibili.
Quando non sono i conflitti armati – sul fiume o sulle rive ‘nemiche’ transitano militari ora georgiani ora abkaziani che si danno la caccia a vicenda -, è la natura che minaccia di riacquistare i propri diritti scatenando il fiume e riprendendosi l’isola, ma sarà l'arrivo di un giovane soldato ferito (Gyartasi Ido) e ricercato ad incrinare il delicato equilibrio tra nonno e nipote, anche perché la ragazza scopre i primi turbamenti dell’amore... Alla fine, quando loro saranno andati via, nella successiva primavera arriveranno altri e la storia si ripeterà, forse.
“Corn Island” diventa anche una metafora dell’umana esistenza e dei cicli della natura, infatti viene illustrata nei tre tempi delle stagioni - primavera, estate, autunno - attraverso i suoi colori e i suoni prodotti o provocati da esse, dallo scorrere del fiume alla pioggia e i tuoni, dal fischio del vento e lo strusciare delle piante di granturco, ai cinguettii degli uccelli e i canti delle rane. E’ questa la colonna sonora di un dramma struggente, a tratti poetico, che mette in risalto i conflitti umani e il rapporto tra l’uomo e una natura spesso matrigna.
“La narrazione è affascinante e particolarmente visiva – afferma l’autore nelle note -, i dialoghi sono minimalisti. L'interazione tra i personaggi viene narrata principalmente dagli sguardi, dalle espressioni dei volti e dal linguaggio del corpo. Ci sono pochissime estreme emozioni visibili e conflitti interiori. Dall'esterno gli sguardi dell'uomo anziano e di sua nipote appaiono sempre equilibrati e calmi finché, verso la fine della storia, la morte è imminente e, quindi, notiamo un passaggio delle emozioni e dei conflitti che sono venuti a crearsi”.
Infatti, sono lunghe sequenze e riprese fatte in modo classico ma al tempo stesso stilizzate che conquistano lo spettatore perché lo riportano a riappropriarsi dell’affascinante linguaggio visivo, quello delle immagini che è il cuore del cinema. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 19 agosto (a Roma dal 27) distribuito da Cineama LA STORIA Il fiume Enguri nella Georgia dell'Ovest è un confine che separa due paesi rivali: la Georgia e l'Abkhazia. Sono quasi vent'anni che imperversa questo conflitto tra le due nazioni. Non passa neppure un giorno senza che si senta nell'aria uno sparo. Di tanto in tanto ci sono anche combattimenti. Entrambe le zone sono costantemente sorvegliate. In mezzo a questa striscia di terra contesa, dalle montagne verso le pianure scorre il fiume Enguri. Ogni primavera, però, la furia del fiume diventa sempre più violenta per gli esseri umani, impegnati a combattere lungo le sue rive.
Piogge torrenziali e lo scioglimento delle nevi lungo le pianure distruggono, inoltre, tutto ciò che incontrano.Ma come il fiume porta e conduce alla violenza, così crea e dona la vita. Infatti, porta giù dalle montagne del Caucaso del terreno fertile che spesso si arena lungo le rive formando anche delle piccole isole. Sono, ormai, generazioni che i contadini locali colonizzano queste piccole isole poiché sono perfette per la coltivazione del mais.
Poiché l'isola si trova nel mezzo del fiume, quindi tra le Georgia e l'Abkhazia, è letteralmente “terra di nessuno”. Tutta l'azione di Corn Island si svolge su una di queste isole. In un certo senso l'isola è una metafora della vita rappresentando la nascita, la crescita, l'amore, la lotta, il decadimento ed, infine, la morte. I personaggi principali sono, quindi, la piccola isola di mais, il vecchio ottantenne originario di Abkhazia e la sua nipote sedicenne. L'azione è scandita dal passaggio delle stagioni: dalla Primavera all'Autunno, infatti, si lavora arando l'isola, seminandola, coltivandola ed, infine, raccogliendo i suoi frutti.

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