lunedì 20 marzo 2017

Dalla polvere degli archivi riaffiora una vergognosa storia di ingiustizia e razzismo ne "Il pugile del Duce" di Tony Saccucci, il primo italiano nero campione d'Europa dei pesi medi

Nella Giornata Mondiale contro il Razzismo arriva sul grande schermo una storia vergognosa e dimenticata, anzi cancellata. Un’incredibile storia mai raccontata nel documentario “Il pugile del Duce”, scritto e diretto dall’esordiente Tony Saccucci – scrittore e insegnante di Storia e Filosofia -, liberamente tratto dal libro di Mauro Valeri “Nero di Roma” (Palombi editore). Una storia, sepolta e riscoperta sotto la polvere degli archivi, quella di Leone Jacovacci: un pugile tecnicamente perfetto e agile, intelligente e potente. Un uomo che parlava correttamente quattro lingue, anzi cinque col romanesco. Era italiano e probabilmente anche fascista, sicuramente non antifascista. La
sera del 24 giugno 1928, allo Stadio Nazionale di Roma, davanti a 40mila persone e in collegamento radio con tutta l’Italia, Jacovacci diventava campione europeo dei pesi medi, sconfiggendo un altro italiano, bianco, Mario Bosisio. Ma, allora nemmeno i giornali ne parlarono, anzi, l’elegante e pericolosa penna di Adolfo Cotronei così scriveva in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport, il 26 giugno: “non può essere un nero a rappresentare l’Italia all’estero”. “Quello che ci è capitato con la vicenda di Jacovacci – dichiara il regista – è paradigmatico: il filmato di un incontro di pugilato (un avvenimento storico, il primo evento di radiocronaca diretta della storia
italiana, decine di migliaia di spettatori, due italiani per un titolo europeo, treni speciali da tutta Italia per raggiungere lo Stadio di Roma, D’Annunzio che annuncia la sua partecipazione, Balbo e Bottai in prima fila, ripresi per bene dalla camera) che riaffiora dall’archivio dell’Istituto Luce con una qualità dell’immagine impressionante, a un secondo e attento sguardo, risulta manomesso, tagliato e incollato. Fu montato ad arte per dimostrare il contrario di quello che accadde. E la storia lo ha tramandato così: un falso che diventa verità. Jacovacci è stato cancellato con una violenza pari a quella della natura matrigna.
La storia è la scienza degli uomini del tempo. Riguarda tutti: quelli che la vivono e quelli che la scrivono. La storia è scienza politica”. Amato dal pubblico internazionale, in tempi in cui la boxe era lo sport più popolare, aveva un solo problema: era un italiano nero. Infatti, di padre italiano e madre congolese, ha impiegato ben quattro lunghi anni per poter accedere al titolo di ‘italiano’ (in un difficile match tra giornali e uffici, politica e burocrazia). Però, conseguito il titolo europeo, il Duce lo fece cancellare dalla storia d’Italia
(il filmato originale del Luce - riproposto nel documentario -, si interrompe prima del trionfo perché manomesso) e ‘inventò il bianco’ Carnera. Oggi, a quasi novant’anni da quell’incontro, finalmente arriva la vittoria di Jacovacci grazie al suo biografo Mauro Valeri, appunto, uno dei massimi esperti di razzismo in Italia, che in questo caso si è trovato a indossare i propri panni privati, quello di un padre bianco che ha sconfitto l’oblio della censura fascista per amore del proprio figlio meticcio, ancora oggi vittima di pregiudizi razzisti.
“Il sociologo Mauro Valeri ha lavorato sei anni per scrivere le 480 pagine del suo libro – spiega il regista - e sono rimasto folgorato dalla storia, ma ho pensato di farne un documentario più fruibile dal pubblico. E, con la spinta emotiva del suo episodio personale, ho deciso di non fargli fare lo sceneggiatore, ma proprio il biografo, la parte nascosta del padre. Una spinta veramente forte”. “Lavorando su internet ho scoperto che viene spesso definito afroamericano – dice Valeri -, dato che l’Italia non ha lavorato sulla storia degli italiani neri. In un paesino di trecento abitanti, vicino a
Verbania, ho rintracciato la figlia di Jacovacci che aveva in garage uno scatolone con le cose di suo padre e l’ho aiutata a rintracciare la sua tomba al Verano. Ora, finalmente, lei conserva la memoria del padre. E’ un fenomeno molto sottovalutato dalla storiografia. Nel 1928 c’erano altri italiani neri, non solo Jacovacci, esistono e vanno tutelati. Durante la Grande guerra c’erano quattro ufficiali neri, il primo pilota nero era italiano. Come mai nel 1928, se il problema non era legato all’Impero, si affermava “è bene che i neri non facciano carriera” nemmeno il colonnello né il campione?”
Attraverso la vicenda appassionante e rocambolesca di Leone, dal Congo a Roma, dalle navi al ring, tra lavori, identità e paesi diversi, e i suoi incontri, a bordo e sulle strade, dai locali ai ring ufficiali, e la sua mite impossibilità a non essere riconosciuto come il più forte del suo tempo (all’inizio si fingeva afroamericano), il documentario, infatti, intreccia due vicende lontane nel tempo, ma legate da un filo resistente. Un filo che conduce a una lunga, faticosa, dura vittoria. La vittoria contro il razzismo. “La storia è sola storia contemporanea – dice l’autore -, perché i fatti riemergono in base alle esigenze del presente. E poiché non esistono fatti ma solo interpretazioni di essi, i fatti storico presentano una
doppia verità: vivono solo se li riscopriamo ma nel riscoprirli sono già interpretazioni del presente che li ha prodotti”. Una storia che va conosciuta, anche perché accaduta molto prima delle ‘leggi razziali’ (leggi razziste), quando Jacovacci – italiano a tutti gli effetti, ma nero – era amato da tutti gli italiani, e in special modo dai romani, anzi era il loro idolo. Questo ha spaventato Mussolini, che anche in seguito avrà a lamentarsi di non essere mai riuscito a ‘fascistizzare’ fino in fondo la Capitale.
Un documentario di un’ora abbondante – ottimamente montato da Chiara Ronchini - che ci fa riflettere anche sul pregiudizio e su fatti che accadono ancora oggi, perché il razzismo è duro a morire in ogni paese e in ogni epoca. E questa storia - come quelle dei recenti film americani “Il diritto di contare” e “Loving” - ci illumina su un fatto storico di razzismo che riguarda anche noi. Ed è per Jacovacci “una rivincita postuma contro l’ingiustizia” e la discriminazione, quella di un uomo forte come il suo nome che morì solo, dopo sette infarti, a 81 anni, nel 1983.
Oltre alla partecipazione dello stesso Valeri, partecipano al documentario Nicole Jacovacci, la figlia; e Patrizio Sumbu Kalambya, campione mondiale dei pesi medi. Efficaci le musiche originali (dieci pezzi) di Alessandro Gwis e Riccardo Manzi. “Leone primo grande campione/afroitaliano seconda generazione/spauracchio della nazione” recitano i versi del rap finale di Diamante e Sandal. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 21 marzo distribuito da Luce - Cinecittà

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