venerdì 31 maggio 2013
Agnès Jaoui nella nuova commedia ci dice "Quando meno te lo aspetti... arriva il principe azzurro" ma ricordati sempre che sei nella realtà
Dopo i successi de "Il gusto degli altri" e "Così fan tutti", ma anche di "Parlez-moi de la pluie" - presentato al Festival di Roma ma rimasto inedito in Italia - arriva nelle sale italiane (il 6 giugno) la nuova commedia di Agnès Jaoui, sempre scritta e interpretata con Jean-Pierre Bacri, e distribuita da Lucky Red: "Quando meno te lo aspetti" (). Una riuscita e gustosa commedia agro-dolce che unisce la vita quotidiana contemporanea e il mondo delle favole, quelle classiche e intramontabili che restano un riferimento, anzi il sogno di tutti.
Una commedia corale in cui si incrociano le vicende di Laura (Agathe Bonitzer) che a 24 anni aspetta ancora il suo principe azzurro e quando ad una festa le appare Sandro (Arthur Dupont), come nel suo sogno ricorrente, Laura pensa di averlo trovato ma... Intorno a loro genitori, amici e parenti, a loro volta 'appartenenti' al mondo (quotidiano) della favola dell'esistenza umana.
"Non so se ci crediamo o meno - esordisce la dinamica Agnès sulle favole, a Roma per presentarla al MaXXI -, ma è quello che ci ha spinto a scrivere. Io sono cresciuta con genitori progressisti e impegnati, e mi consideravo una femminista, però anch'io aspettavo il principe azzurro, quello che potesse cambiare la mia vita. Oggi il mondo è cambiato così tanto, le donne sono evolute ma gli archetipi hanno ancora il suo peso, restano quelli delle fiabe scritte da uomini. Siamo partiti da 'Cenerentola' poi abbiamo cambiato ed è lui, mentre il lupo cattivo di 'Cappuccetto rosso' è un affascinante seduttore. E' un tentativo di scriverne nuove, ma soprattutto gli stereotipi sulle donne erano questi, e abbiamo deciso di raccontarle adattandole alla società odierna".
"Gli attori? Benjamin Biolay era contento di fare il lupo cattivo, altri non capivano i ruoli che dovevano interpretare, il personaggio di Clémence (quella innamorata del 'falso' Cenerentolo, Nina Meurisse ndr.) non ha una favola di riferimento precisa. Ci sono riferimetni ma è anche un mix con la vita reale, la storia ci ha portato fin lì. Giornalisti e spettatori hanno visto il ruolo di Jean Pierre (Pierre) come l'orco cattivo che mangia i bambini; che Clémence si libera del violoncello come Peau d'ane della pelle d'asino. E' un gioco di riferimenti, il gioco delle favole".
"Ci sono le normali difficoltà del lavorare coi bambini - dichiara perché lei interpreta il ruolo di Marianne, un'attrice che fa teatro con i ragazzini di una scuola, oltre che la materna zia della 'principessa' Laura -, ma in mezzo a loro ci sono anche i miei figli, che avrei voluto uccidere, ma mi hanno dato tanta vita e vitalità, è sempre gradevole. Era da tanto che volevo lavorare con i bambini come attrice e come regista".
No la conosce Angela Carter. Mai letto,
"E' incredibile lavorando da tanto tempo insieme, quasi vent'anni, abbiamo creato tanti personaggi nuovi, ma rischiavamo di ripeterci, lavorando su archetipi avevo idea di annoiare il pubblico, dovevamo cercare qualcosa che riuscisse a divertirci, forse nuova, e ci siamo spinti oltre. Formalmente è una commedia sulla favola e al tempo stesso sulle paure di oggi; su quanto l'irrazionalità conti nelle nostre vite, forse siamo riusciti a fare qualcosa di nuovo, ma è difficile rinnovarsi. Grazie alla struttura della fiaba e dato che la tecnica la conosco non più di tanto col direttore della fotografia abbiamo cercato di essere meno dogmatici, trovato effetti diversi che in passato non usavo mai. Anche la forma di dirigere gli attori, perché come regista volevo essere invisibile, e come spettatrice non amo vederlo ovunque. Avevo voglia di qualcosa di diverso, incontri di sguardi, scene al rallentatore, rendere visibile la paura. E andare avanti parallelamente nella favola e nella vita reale. Abbiamo usato dei cliché delle favole per la musica, il montaggio, la scenografia. Tutto con grande libertà ed emotività".
"Il film è uscito in Francia il 6 marzo e ha avuto un milione spettatori, ma io non leggo mai le critiche, ho smesso da tempo. Polanski? - a proposito della dichiarazione 'le donne si sono mascolinizzate', dice - A lui piacciono molto femminili e molto infantili".
"Le donne sono ancora vittime degli stereotipi - prosegue -, a volte sono colpevoli, ma è troppo difficile riuscire a liberarsi dallo stereotipo perché vengono tramandati dalla famiglia, dai condizionamenti che regolano le nostre vite. Dicono non posso cambiare, non ci riesco, perché il nostro margine di manovra è più ristretto perché viene dall'educazione, dalle regole della società. Quando si vive, e quando non si vive, le favole hanno avuto e hanno una grande influenza, ma le donne non sono solo vittime, ma bisogna anche guidarle, scriverne nuove per cambiare i 'modelli', perciò bisogna realizzare film e scriverne nuove favole per veicolare nuovi 'modelli' perché credo che siano importanti per cambiare l'opinione e le idee sulle cose non conosciute, anche politiche. E vorrei che gli italiani la smettessero di considerare l'industria culturale una merce di scambio, bisogna convincere il governo a scorporare il cinema, a fomentare gli scambi culturali, proteggere il valore dei nostri lavori. Ho avuto la fortuna conoscere dei maestri del cinema italiano, e oggi i cineasti italiani si vedono meno all'estero. Credo molto nella forza dei modelli e delle idee. Vorrei vederli e che influenzassero di più. Roosevelt ha creduto nello sviluppo dell'industria cinematografica, e aveva visto giusto perché i film americani si vedono ovunque e influiscono tutti noi".
E sul compagno di una vita dice: "Jean Pierre con cui ho convissuto per nove film, è chiaro, lui è più buffo e più capace nel divertire gli altri e gli spettatori. A me piace molto, ma qualche anno fa una veggente gli ha predetto la data della sua morte nel 2015, ma il giorno non ve lo dico. Io ho davvero qualche problemino con la tecnica (nel film non guida e non riesce a gestire il computer ndr.), le cose principali le abbiamo preso dalla nostra vita reale".
"E' stata la prima volta che ho lavorato col compositore (Fernando Fiszbein ndr.) prima della scrittura, di solito lo faccio dopo il primo montaggio. Magari con Schubert avrebbe avuto un po' di difficoltà. Col compositore lavoro anche nel mio gruppo, facciamo altro tipo di musica, anche latinoamericana. Per il film volevo da una parte quella contemporanea, dall'altra lavorare sui riferimenti a primi film di Disney, e sulla classica, da Bach a Gounod, da Purcell a Gluck, inoltre c'è una canzoncina per bambini cantata da me, e un valzer scritto apposta da Fernando".
"Il tema della religione al di là di Dio - confessa sulla figlia che legge la Bibbia e vuole fare la comunione -, è trattato come una credenza qualunque, innanzitutto si chiamano credenti, appunto. Non volevamo né ferire né prendere in gioco nessuno. Le persone hanno spesso bisogno di trovare un senso un rifugio perché non hanno certezze, nel film c'è una ragazzina cheè alla ricerca di Dio, e ogni volta c'è la musica classica, Bach, e le immagine sono bellissime che anche a me è venuta voglia di credere".
"Ho utilizzato la struttura della favola - conclude -, la protagonista aspetta il Principe azzurro, perché siamo stati sempre tutti influenziati dalle favole, dal Pollicino abbandonato dalla famiglia, le paura sono ancora quelle, come la paura di invecchiare della matrigna che si è rifatta tutta. Ho letto libri e visto film dai finali tragici, che pensavo di dare al pubblico un finale lieve, non è un happy end, perché somiglia alla vita. Io ho imparato a guidare, Laura è cosciente e ha capito che il Principe azzurro non esiste, per lei non finisce benissimo. Sono cose che succedono nella vita, Pierre scopre che è stata una cosa stupida la data della morte quando viene superata, anche le sue paure di aprirsi col figlio e la donna che ama. Perché non l'ho fatto finire male? Sono piccoli miracoli o cose che nella vita esistono".
Sui progetti futuri sorvola e chiude: "Ho cominciato a scrivere una commedia, ma lavorerò a teatro, farò dei concerti, la mia vita".
José de Arcangelo
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