lunedì 24 giugno 2013
Finalmente nelle sale italiane il film "Salvo" di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, acclamato a Cannes, ma snobbato dall'Italia
Arriva in sala, il 27 giugno, dopo la vincita al Festival di Cannes, nella Semaine della Critique, il film rivelazione "Salvo" degli italiani Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che mentre veniva acclamato alla Croisette non aveva ancora una distribuzione in Italia, ma già era stato venduto all'estero. Misteri del nostro cinemercato, nonsolo. Comunque, ora la GoodFilms lo fa uscire in circa 40 copie.
Perché il film affronta un argomento, se vogliamo italianissimo e persino locale, ma lo fa attraverso un genere (il noir) che lo fa diventare universale. Un'opera a metà strada tra i celeberrimo polar di Jean-Pierre Melville e il dramma poliziesco di Damiano Damiani. Però non si tratta solo di omaggi, ma soprattutto di riferimenti.
"Una sceneggiatura chi mi ha colpito, prima di tutto perché è perfetta, credo la migliore degli ultimi dieci anni, poi perché è dettagliata nel racconto visivo".
Antonio"Ancora prima che il film venisse premiato, l'accoglienza a Cannes è stata per noi molto importante, perché il film ha avuto una lunga gestazione, ma anche dalla stampa italiana, incontrando il pubblico, capivamo che le nostre intenzioni venivano comunicate, che il film traduceva quello che avevamo in testa da molti anni. I premi aiutano, prima ancora il film era stato comprato anche all'estero, ora la lista si allunga, Australia, Brasile, Inghilterra, in Francia dove uscirà 16 ottobre. E' stato importante per trovare il distributore italiano, perché è diverso da quello che grande parte dei distributori cercano".
La storia, in sintesi, ormai dopo Cannes la conoscono quasi tutti: durante un regolamento di conti, il killer di mafia Salvo, dà la vista alla sorella cieca della sua vittima. Un miracolo, in un mondo dove i miracoli non accadono.
"Dopo un'esperienza di sceneggiatori, anche televisivi, non soddisfacente - esordisce Antonio Piazza -, volevamo ritornare al posto da dove entrambi provenivamo (Palermo). La scintilla del progetto è stata trovare una storia a cui sentiamo di appartenere per molti versi. L'incontro tra due diverse cecità, quella fisica di lei, quella morale di lui, e da questo incontro/scontro nasce un barlume di speranza, di cambiamento. Noi siamo cresciuti negli anni '80, a pochi metri dalla casa dei nostri genitori, è stato ucciso Rocco Chinnici - allora Palermo veniva definita come la Beirut in guerra -, questo giorno di luglio davanti noi (i vetri delle finestre erano esplosi) c'era il cratere provocato dall'autoboma, eppure noi e la nostra famiglia ci preparavamo normalmente per andare in vacanza al mare. E' significativo il fatto che ci hanno insegnato a non vedere, a far finta di vivere in una città normale, dove di normale c'era ben poco. Crediamo che la scelta sia sempre quella: puoi scegliere di non vedere e avere una vita facile, se scegli di vedere la vita si complica".
"Abbiamo scelto 'Arriverà' - ribatte Fabio Grassodonia -, che i Moda' cantano con Emma, perché volevamo che Rita ascoltasse questo tipo di canzone, popolare, e che riusciamo ad utilizzare in diversi modi, ci dà elementi di sviluppo nella relazione fra i due. Perché abbiamo scelto il palestinese Saleh Bakri (che ha uno sguardo e gli occhi, tra Diabolik e Delon ndr.)? Prima perché abbiamo avuto libertà assoluta nella definizione del cast, dopo perché lo abbiamo visto ne 'La banda' e soprattutto ne 'Il tempo che ci rimane' di Eli Suleiman, dove interpreta un personaggio introverso, chiuso, che non parlava mai. Nel suo volto, nei suoi gesti traspare la sua tormentata emotività. Ci era piaciuto molto, ha un grande carisma all'interno dell'inquadratura, suna perfetta macchina di guerra. Volevamo un'immagina forte che occupasse lo schermo, come nei noir di Jean-Pierre Melville, in Alain Delon (soprattutto in 'Le samurai' ndr.). Gli abbiamo detto questa nostra idea, gli è piaciuta, ed è nata un'amicizia e una comprensione totali. Anche se nel film si parla pochissimo, abbiamo cominciato a lavorare con lui prima perché volevamo evitare il dopiaggio, non ci interessava che avesse un accento siciliano ma un sentimento di totale estraneamento. Anche Kitano è un nostro riferimento, il modo di mettere in scena degli orientali, della durata dell'inquadratura, nei silenzi per cogliere qualcosa di impercettibile. Abbiamo studiato molto un regista come Kitano".
"La cecità e la riacquisizione della vista offrivano parecchi interrogati - continua -, ma volevamo evitare certi effettacci, e restituire il senso di quello che sta accadendo alla ragazza, nei personaggi. La sua è una cecità di origine neurologica e, studiando alcuni casi, abbiamo capito che c'è un modo per riacquistarla. Però una non vedente si muove in un ambiente in cui viene aggredita, già nel corto ("Rita") c'erano dei piani ravvicinati sulla ragazza. Per Sara è stato un grande lavoro perché restituisse il senso di questa cecità, è stata parecchio tempo con non vedenti, e ha avuto un'esperienze di cecità prolungata. Ha provato nelle location, perché ci sono lunghissimi piani sequenza con lei, e volevamo usassi lenti accecanti. Ha girato con delle lenti che riproducevano il suo occhio, in modo che quando le indossava, l'occhio, l'iride, rimanesse fermo".
"Non è stato facile - ribatte la protagonista, la pescarese Sara Serraiocco, anche lei una rivelazione -, ho avuto modo di lavorare molto partendo dalla sceneggiatore all'interiozzazione del personaggio. Le lenti mi creavano molto fastidio agli occhi, perché tra l'altro no le avevo mai indossato, anche con i movimenti di macchina, per cui ringrazio Ciprì (il direttore della fotografia ndr.) che mi ha insegnato a seguire la macchina, perché le lenti non sono sensibili alla luce, mi occultavano completamente la vista, vedevo solo ombre. Per la postura e l'atteggiamento ho potuto osservare delle ragazze non vedenti, amiche e conoscenti. I loro gesti, il loro modo di vivere; poi anche una ragazza che viveva a Roma per la gestualità, un'altra di Monte Lepre, in provincia Palermo, sull'istropezione psicologica, sul rapporto col mondo, e che viveva l'handicap in maniera diversa, avvulsa dal suo vivere. Un'esperienza bellissima, ti fa crescere, e loro sono due persone veramente attente".
"Per il resto del cast l'accento siciliano è stata una scelta voluta fortemente voluta - riprende Grassadonia -, perché intorno ci doveva essere un riferimento facilmente riconoscibile, dato che Palermo non la si vede mai, è un luogo staccato dal contesto, in cui dovevano affiorare un certo tipo di attori autenticamente palermitani. Luigi Lo Cascio ha un ruolo diverso da altri, si è divertito con un personaggio che ci ha regalato altri momenti meravigliosi. Subisce la moglie, subisce il fascino del potere di quello strano animale che hanno in casa loro, e percepisse qualcosa, forse, il miracolo. La società che lo circonda vince, lo tira fuori da lui".
"Il boss per noi è fasullo - afferma Piazza -, Salvo è un killer ma non bugiardo. Siamo nel regno della menzogna, è tutto falso quello che dice boss; il regno dell'inautentico, anche questo suo prendersi sul serio".
"E' un personaggio parossistico - ribatte Grassadonia -, noi abbiamo avuto modo di ascoltare le conversazioni tramite la polizia, sono tutte frasi tratte da questi discorsi, parlano in questo modo, con questa sentenziosità, siano di strazione biblica o terra terra. Vivono sottoterra, esistenze assurde, la verità è una vita di spaccio e omicidi che crea questo tipo di sentimento, ti porta a osservare il mondo in qualche modo. E' repellente, ti sembra sentenzioso, ma è così, per portarlo al paradossale è bastato poco".
"Daniele Ciprì ha un'umanità e una generosità incredibili - confessa Piazza sul possibile secondo lavoro con il grande direttore della fotografia e regista -, è ovvio che ci piacerebbe lavorare con lui, ma lui ci può dire solo quello che farà fra dieci giorni. Abbiamo in mente un paio di storie siciliane, ma non sappiamo se saranno il nostro prossimo film o ne verrà fuori una terza. In realtà finito Cannes, dopo essere stati in compagnia di questo film per così tanto tempo, abbiamo detto 'ora basta Salvo e Rita'. Ma per fortuna le cose stanno andando bene, arriveranno festival importanti, in svariati paesi mondo, e adesso stiamo ancora accompagnamo 'Salvo'. Forse ad ottobre/novembre ci fermeremo, stacchiamo il telefono e decidiamo. Non so quanto sarà lungo il percorso ma ci piacerebbe lavorare ancora con lui - riprende su Ciprì -, ma nel film c'è anche Marco Dentici - ha lavorato con Bellocchio - che ha curato la scenografia, e dato che 'Salvo' è un film senza musica e la presa diretta è del fonico di Haneke, Arnaud Calvar, che ha costruito il suono" (ottimo per la verità ndr.).
"L'assenza della colonna sonora è stata una scelta ovvia - aggiunge -, piegata alle esigenze di una situazione autentica, la cecità rende tutto fuori campo, anche il sonoro è un racconto che accompagna le immagini. In alcuni casi i registi hanno anche poca fiducia nel pubblico, per cui la musica diventa una sorta di droga, di dopping delle immagini".
"E' emblematico - conclude Massimo Cristaldi - che un film selezionato a Cannes, si stato acquistato quando aveva già vinto un premio, mentre il cinema italiano in quella Sezione ne era assente da 9 anni, e non vinceva un premio da 16. Un festival dove contano solo i film, una cosa perché la distribuzione, la rende possibile l'acquisto di un network e quant'altro. In qualsiasi paese mondo si sarebbero buttati addosso per conquistarsi il film, da noi sono serviti due premi! Ci sono voluti cinque anni di lavoro per mettere in piedi il film di due registi che col loro corto hanno vinto 40 premi, selezionati in cento festival. Quale paese non avrebbe deciso di farli esordire".
"Il progetto di 'Salvo' è stata una corsa ad ostacoli - ribatte il coproduttore Fabrizio Mosca -, non riusciamo ad avere un unico interlocutore, esiste un monopolio. Medusa è scoppiata, produce due o tre cose. Tre persone decidono quale cinema si fa o non si fa. Sky investe una volta terminato il film, poi bisogna aspettare di vederlo uscire in sala perché secondo quanto fai, sai quanto ti darà Sky. Ma ci vuole il sostegno all'inizio del progetto, non prendendo il pubblico come demente, non c'è fiducia nel pubblico italiano. Se proponi sempre le stesse cose lo impigrisci, è giusto che si facciano commedie, ma c'è il rischio che s'impoveriscono. La Francia fa spesso il produttore minoritario con altri paesi, dal Giappone all'Albania, e sono film che poi vincono i festival. Infatti, chi cerca di coprodurre un film romeno, deve aspettare che lo comprino dopo la vincita".
José de Arcangelo
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