lunedì 16 settembre 2013

"Il futuro", un film della regista cilena Alicia Scherson dal romanzo di Roberto Bolano, storia di due adolescenti in una Roma mai vista

"Il futuro" di Alicia Scherson, è la prima - e finora - unica trasposizione di un romanzo dello scrittore cileno Roberto Bolaño, visto che rappresenta "l'idea di raccontare una storia" anziché la storia in sé stessa, e inoltre perché, dopo la prematura morte dello scrittore, i suoi eredi sono "severi e selettivi nel cedere i diritti, ancora peggio oggi dopo la 'scoperta' americana, per cui è diventato un fenomeno mediatico da milioni di lettori in tutto il mondo.
Il film, nato quasi in sordina come film indipendente, è diventato pian piano una coproduzione tra Italia, Cile e Germania, dal costo di circa due milioni euro, e ora - dopo aver fatto il giro del mondo nei festival internazionali - approda nei cinema italiani il 19 settembre, in 20 copie, distribuito dalla Movimento Film. "Non conoscevo Roma prima di fare il film - esordisce la regista alla presentazione stampa alla Casa del Cinema della capitale, dove il romanzo è ambientato -, la mia Roma faceva parte dell'immaginario, soprattutto del cinema, Fellini Pasolini, Rossellini. Quando abbiamo deciso di fare un film dal romanzo c'era la possibilità di cambiare ambientazione, ma ci siamo detti 'facciamo proprio come sta scritto, impariamo l'italiano e troviamo un produttore'. Vi sono arrivata col romanzo sottobraccio, su cui avevo sottolineato i posti di cui si parlava specificamente, quindi il posto della finzione, Roma non è mai vista con gli occhi del turista. Poi, ovviamente, ho usato qualcuno, non tutti i luoghi, e quelli più vicini all'area periferica, i quartieri vicino Cinecittà (e dentro gli studi ndr.). Una Roma particolare, quella degli orfani, molto contemporanea, dall'atmosfera molto densa". Infatti, narra la vicenda di due fratelli adolescenti di origine cilena, Bianca (Manuela Martelli) e Tomàs (Luigi Ciardo), rimasti orfani all'improvviso, si addentrano progressivamente in una vita tra crimine e prostituzione, spinti da due nuovi amici maggiorenni (Nicolas Vaporidis e Alessandro Giallocosta), conosciuti in palestra.
Davanti ad un incerto futuro, la speranza arriva nella mitica figura di Maciste (Rutger Hauer), ex divo del filone mitologico, vecchio, cieco e ancora affascinante. Un uomo tutto muscoli e cuore di cui gira la leggenda che abbia i soldi in casa anziché in banca, ma che sarà in grado di far sentire Bianca al sicuro e a farle vedere quella luce di cui la ragazza ha bisogno per affrontare 'il futuro'. "Il mio coinvolgimento nasce in modo classico - ribatte Vaporidis, interprete e produttore associato -; Alicia mi ha chiesto di partecipare ad un provino, ci siamo trovati, ho letto la storia e ho scoperto Bolaño, attraverso la sua grandezza, la sua complessità, il suo modo di scrivere e di raccontare. E visto che c'era la possibilità di partecipare ad un progetto internazionale, di respiro molto ampio, ho cercato di farlo in modo più consistente, con la mia piccola parte. Ci ho creduto fin da subito e mi ha regalato tante soddisfazioni, dal Sundance FilmFest, dove è stato accolto in concorso, ai tanti festival internazionali. Ha avuto recensioni illustri, dopo l'uscita in sala a New York, in Giappone e nel Cile. Mi inorgoglisce perché è un progetto internazionale, con produttori cileni e tedeschi, e sul cui set si parlavano quattro lingue e fra tutti in inglese. Un'esperienza accrescitiva che mi ha dato anche modo di vedere come lavorano gli altri. E poi chi, come Alicia, che non conoscendo la città, mi ha fatto vedere una Roma che non ho mai vista, ma che è dietro casa mia; sono stato sorpreso positivamente, perché è anche un modo di scambiarsi opinioni. Qualcosa di unico, particolare. Sono veramente contento, dato che persino nel mio personaggio che è molto romano, c'è qualcosa di latino, e un look meno realistico. Tutti insieme abbiamo costruito qualcosa che esiste nell'immaginazione di Alicia. Una Roma che difficilmente vediamo o raccontiamo".
"Mi è stato proposto dal produttore cileno (Luis Angel Ramirez ndr.) - confessa il produttore Mario Mazzarotto -, durante una riunione di network europei, a Praga se non ricordo male. Lui aveva acquisito i diritti del libro insieme ad Alicia, e voleva provare a farlo in Italia. 'Va fatto in Italia' risposi io, e così è nata l'idea di coproduzione, il primo progetto fra Italia-Cile, perché allora non esisteva ancora un trattato unificato. Poi si è aggiunta la tedesca Pandora, che ha apprezzato moltissimo la sceneggiatura di Alicia, e successivamente abbiamo cominciato a raccogliere ognuno le proprie risorse per raggiungere un budget adeguato (ci è voluto un anno e mezzo). Siamo rimasti amici e ci parliamo ancora molto bene. Nicolas ha accettato con entusiasmo. Abbiamo avuto molte occasioni di mostrarlo a livello internazionale. Dopo il Sundance, anche a Rotterdam, dove ha avuto il premio della critica, e in altri 25 festival internazionali. Abbiamo deciso di uscire ora per ragioni distributive, e ci sembra che questa settimana sia più favorevole per un film importante ma indipendente, che deve farsi strada in un circuito che macina velocemente, e richiamare l'attenzione da parte del pubblico, con l'idea allargare il numero di copie se avrà l'attenzione che merita, e viste le ottime recensioni a New York sul Village Voice e il Times".
"Ho letto quasi tutto Bolaño - dichiara la regista sull'opera dello scrittore, 12 romanzi, raccolte di poesie e un romanzo incompiuto da 1000 pagine, "2666" - mai pensando a un adattamento. Sono stata molto fedele in tutta la struttura, nei fatti, nei personaggi che sono gli stessi del romanzo; cosa che mi sono imposta dall'inizio. La sfida più grossa era materializzare l'atmosfera del libro, perché Bolaño è uno scrittore che non utilizza molte parole né tanti aggettivi, ne fa una descrizione precisa, e crea l'atmosfera tra parola e parola. E' stata una bella sfida, perché devi prendere questa sensasione e trovare il modo di renderla materiale del cinema (attraverso il colore, la luce materializzarla in forma concreta). E' una cosa immateriale nella sua letteratura, e ti chiedi 'dove si trova dove mettere la mdp? E ci riesci, forse, lasciando la storia esattamente come l'ha scritta".
"Il casting è stato molto difficile - prosegue -, Maciste, anche fisicamente era molto difficile da trovare. Ha caratteristiche precise di età, fisico, un vecchio ancora molto sexy, con questa aura da vecchia star. Fa parte dell'mmaginario cinematografico e ne abbiamo parlato tantissimo avendo come riferimento attori del mondo intero, ma proprio così non sono tanti. E' stato il produttore cileno a proporre Rutger Hauer, così com'è adesso, perfetto come antica figura da cinema di serie B, credo abbia un piccolo festival a Milano, ed è fanatico di internet come il produttore perciò si sono incrociati. Una settimana dopo si sono sentiti via Skype, Amsterdam-Santiago. Hauer aveva letto il romanzo, per fortuna era stato già tradotto in tedesco, anche la sceneggiatura e ha detto sì. E' un attore molto creativo, ha fatto anche tantissimi film commerciali, e sa che nel cinema indipendente deve contribuire: è stato intenso, non facile ma molto interessante, sa perfettamente dov'è la luce, l'obiettivo, è puro cinema".
"Roma e la storia sono descritte come puoi immaginarle, poi fai il tuo film. Alicia la racconta in maniera diversa, con un fascino particolare, visto che bisognava ragionare sul tipo di sapore da dare al film, in maniera così caratteristica. Io e il Bolognes sono due ragazzi romani di periferia, io che conosco la realtà di Roma sono abituato a vederli in un certo modo. Lo stesso Sorrentino racconta una Roma un po' familiare, ma la raccontiamo tutti come italiani. Poi arriva uno straniero con sensibilità che ha lei, mette la macchina da presa sotto al fiume, al gasometro, dietro Cinecittà, e ne fa una sorta di periferia mista col centro da Roma Antica, ed è una novità assoluta rispetto alla visione che ne dà il cinema italiano. Quello che vediamo noi, loro non lo vedono. Lo stesso accade a noi con New York. Ho visto con stupore il suo modo di interpretarla, è una Roma unica".
"E' un atteggiamento che trovo non così prettamente italiano - ribatte Giallocosta, l'altro romano del film -, differentemente si possono immaginare due personaggi di periferia romana. Non sono nostri, non solo nel look, hanno una sorta di bontà che nella realtà non è così, con una fortissima umanità. Sono stato piacevolmente sorpreso, anche perché non me ne ero accorto che la pellicola fosse così dentro il personaggio di lei. E' tutto un percorso di crescita e catarsi, attraverso la lotta, che mi ha particolarmente toccato". "Riguardo il mio personaggio - dice Ciardo - cerco di immedesimarmi nel suo pensiero, dopo la morte genitori si è chiuso in se stesso, e quando esce non si nota. Anch'io sono stato sorpreso alla prima visione del film. Sono molto contento perché ho cercato di esteriorizzare quello che Tomàs stava vivendo". "L'abbiamo fatto vedere alla vedova Bolaño - afferma il produttore italiano -, e per nostra soddisfazione ci ha detto che le è piaciuto molto e che sarebbe piaciuto anche al marito".
"Il 'fenomeno' Bolaño è scoppiato mentre noi elaboravamo il progetto - conclude la regista cilena -, avevamo comprato i diritti del libro nel 2006, e gli americani l'hanno scoperto solo nel 2007. Da allora anno dopo anno è diventato un sorta di rockstar. Io l'avevo letto molto prima e ho cercato di non pensarci, non ho fatto il film perché è diventato moda, ma perché Bolaño è un grandissimo scrittore. Tutto è successo intorno a noi, al progetto stesso, per quello è stato bello. E, alla fine, importante perché non l'hai preso per seguire una moda, ma per allacciare una connessione reale col romanzo, non perché è diventato famoso". "Per una volta siamo stati più bravi degli americani" chiude Vaporidis. José de Arcangelo

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