mercoledì 16 ottobre 2013
Andrea Segre ci parla de "La prima neve", quella che tutti aspettano perché trasforma persino la vita stessa delle persone
Presentato in concorso nella sezione Orizzonti della recente 70a. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, è ora nelle sale "La prima neve", scritto (con Marco Pettenello) e diretto da Andrea Segre, con Jean-Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli e Giuseppe Battiston.
La prima neve è quella che tutti in valle aspettano; che trasforma i colori, le forme, i contorni. Dani (Folly) però non ha mai visto la neve perché è nato in Togo, ed è arrivato in Italia in fuga dalla guerra in Libia. E' ospite di una casa famiglia a Pergine, paesino nelle montagne del Trentino, ai piedi della Val dei Mocheni. Ha una figlia di un anno, di cui però non riesce a occuparsi. C'è qualcosa che lo blocca. Un dolore profondo.
Invitato a lavorare nel laboratorio di Pietro (Peter Mitterrutzner), un vecchio falegname e apicoltore della valle, che vive in un maso di montagna insieme alla nuora Elisa (Caprioli) e al nipote Michele (Marchel), un ragazzino di dieci anni la cui irrequietezza colpisce subito Dani.
Il padre di Michele è morto da poco, lasciando un grande vuoto nella vita del ragazzino, che vive in conflitto e tensione il rapporto con la madre e cerca invece supporto e amicizia nello zio Fabio (Battiston). Ma la neve prima o poi arriverà e non rimane molto tempo per riparare le arnie e raccogliere la legna. Un tempo breve e necessario, che permette a dolori e silenzi di diventare occasioni per capire e conoscere. Un tempo per lasciare che le foglie, gli alberi e i boschi si preparino a cambiare. In quel tempo e in quei boschi, prima della neve, Dani e Michele potranno imparare ad ascoltarsi.
"La luce entra nel bosco insieme alle ombre - scrive Segre nelle note di regia -. Si alternano, si incrociano, giocano come vuoti e pieni, come spazi di vita tra silenzio e rumore. Gli alberi sembrano voler scappare dal bosco. Ma non possono. Crescono a cercare la luce, si allungano per superare gli altri, ma rimangono tutti ancora lì, uno affianco all'altro, in file regolari che segnano le prospettive".
"E' il bosco il luogo centrale dell'incontro tra Dani e Michele; è in quello spazio che i due si seguono, si cercano, si respingono, si conoscono. E' uno spazio in cui la natura diventa teatro. Dove la realtà diventa luogo dell'anima e ospita significati e metafore che la trascendono. Pronta a diventare sogno. Come nel mio primo film 'Io sono Lì", anche 'La prima neve' è costruito nel dialogo costante tra regia documentaria e finzione, tra il rapporto denso e diretto con la realtà e la scelta di momenti più intimi costruiti con attenzione ai dettagli della messa in scena. Così anche nel lavoro con gli attori: persone del luogo e attori professionisti interagiscono tra loro, in un processo di contaminazione tra realtà e recitazione. Con il privilegio, in questo secondo film, di aver finalmente potuto lavorare con l'energia e l'imprevedibilità di bambini e giovani ragazzi".
"Veramente la prima neve è arrivata in anticipo - dichiara, invece, il regista a Roma -, prima dell'inizio riprese, per fortuna la gente del luogo ci ha detto di non preoccuparci 'tra due giorni si scioglie tutto'. Poi, infatti, è iniziato l'autunno vero, ed è bellissimo quando puoi sfidare la natura. Ho scelto quella zona per due motivi, perché lì ci sono ragazzi come Dani e Michele. Ragazzi africani conosciuti in quelle valli, che vengono accolti/abbandonati, profughi della guerra libica, ho visto cose che non si racconta nei contesti urbani, nelle metropoli, dove magari vogliono andare a Parigi o altrove. Scoprire che il poveretto africano cittadino si ritrova in un posto che gli sta stretto".
"Dall'altra parte per Michele avevo bisogno di un bambino con una forza speciale - prosegue sul piccolo protagonista -, e avevo pensato di trovarlo tra quelli che ancora giocano nei boschi, nella natura. Il Trentino ormai è stato contaminato, trasformato dal turismo. I ragazzi hanno un rapporto con la natura attraverso la tecnicizzazione, le competizioni sciistiche. Michele doveva davvero giocare nel bosco, arrampicarsi nell'albero. Matteo quando ha visto che avevamo messo tutto in sicurezza si è persino infastidito. Lui quotidianamente fa cose un po' pericolose, come arrampicarsi fino a 15 metri di altezza e poi lanciarsi. I suoi genitori lo lasciano libero di giocare fuori, nei boschi. Penso che l'iperprotezione della città toglie energia vitale ai bambini".
"Per me è stata un'esperienza bellissima - confessa Anita Caprioli -, soprattutto con Matteo che ha una grande sensibilità, mi sono portata dietro le cose che facevamo, perché lui anticipava delle cose che neanche un attore professionista riesce a fare, aveva delle accortezze con noi, una grandissima sensibilità. Lui fa parte di quella realtà, avere lui, un bambino della valle, per me è stato determinante per la costruzione del personaggio, mi ha estremamente facilitato il lavoro, una verità costante che ha dato al rapporto una dimensione di autenticità. La possibilità di lavorare coi bambini è un'occasione unica. I ragazzi sono un gancio sulla verità che non ti danno altri".
"Per me persona e regista di documentari - prosegue Segre -, il cinema è l'occasione di conoscere i luoghi e le persone, non viceversa, e questo lo capisce bene Francesco (Bonsembiante, produttore con Marco Paolini ndr.) che ci ha dato la possibilità di svegliarci dentro quel posto, fatto che non era solo utile alla produzione. Lui ha costruito la base logistica per accompagnare la mia scelta. Il masso dove loro vivono, nel loro diverso modo di agire, agiscono narrativamente dentro il film. Lo stesso luogo ha un ruolo da personaggio. Abbiamo controllato molto poco Matteo. Se controlli troppo i bambini, non ottiene quello che vuoi. Poi c'è stata l'evoluzione naturale delle piante, dei boschi, anche del luogo sociale. Un posto con cui cerchi di costruire, ti restituisce delle cose che non ti aspetti, ma in fondo volevi".
"Sulla trasformazione del testo nel film, influisce molto la preparazione degli attori, perciò ho voluto una presenza più lunga possibile, che avessero una struttura nei dialoghi. Una volta definito questo, la costruzione del testo passa attraverso diverse lavorazioni. Michele all'inizio doveva essere più grande, doveva essere un amico di Dani, poi ho conosciuto in Matteo la capacità di espremire rabbia in maniera così adulta, e abbiamo deciso di adattare il personaggio alla sua età, in qualcosa di più potente".
"Alla fine ho avuto un sacco di coach - dice l'attrice protagonista -, all'inizio c'era una certa diffidenza, erano un pochino eschivi, perché è una valle chiusa, ma poi c'è stata una disponibilità bellissima, una grande collaborazione. Hanno capito che non stavamo solo facendo un film. E' la valle meno turistica. L'unica che non ha un albergo, forse quello che salva il rapporto tra i bambini è il fatto che non c'è turismo".
"La situazione dei rifugiati non è generalizzabile - conclude Segre -, i tre ragazzi nel film, uno ha un ruolo attoriale importante, un altro ha due piani sequenza - che ha fatto benissimo -, poi altri due con la bicicletta quando arriva Dani. Oggi c'è un'esperienza molto bella di integrazione, sono inseriti in progetti lavorativi interessanti, ma sono passati per momenti duri, poco raccontati. Il vero problema è che il ministro Maroni si era inventato un progetto su centri di accoglienza diffusi nel territorio, ma sono stati affidati a persone senza esperienza in accoglienza, incapaci di risolvere i problemi. Io parlavo in francese o in inglese, mentre gli operatori che vi lavoravano, parlavano solo il dialetto locale. Dall'altra parte tramite contatti e conoscenze dirette, ovunque sono usciti da questi ingabbiamenti dell'accoglienza, e hanno avuto una vita normale perché hanno trovato il loro Pietro, il loro Michele. Bisogna togliere questo peso dell'incastolamento dell'accoglienza che serve solo per incastonare denaro".
Nel cast del film - prodotto dalla Jolefilm con Rai Cinema, in collaborazione con Trentino Film Commission e Trentino Marketing Spa, in associazione con Tasci srl, Davide Orsoni e con il contributo della Direzione Generale per il Cinema - MIBAC - anche Paolo Pierobon (Gus), Sadia Afzal (Sadia), Leonardo Paoli (Leo), Lorenzo Pintarelli (Platzer), Roberto Citran e Andrea Pennacchi (commissari).
La fotografia è firmata Luca Bigazzi, la scenografia Leonardo Scarpa, i costumi Silvia Nebiolo, il montaggio Sara Zavarise e le musiche originali dalla Piccola Bottega Baltazar.
José de Arcangelo
Nelle sale dal 17 ottobre distribuito da Parthénos
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