martedì 29 ottobre 2013

Copie "a catinelle" per il nuovo film del fenomeno Checco Zalone, un papà molto particolare nell'Italia della crisi

Checco Zalone (vero nome Luca Medici) ci riprova col terzo film, dopo gli strabilianti successi dei primi due, ... e "Che bella giornata" - il 1° ha incassato più di 15 milioni di euro e il secondo addirittura 45 - e approda nei cinema dal 31 ottobre con "Sole a catinelle" in più di 1.200 copie, ha già raccolto nel giro di 24 nei due circuiti 30mila prenotazioni, quindi un successo più che annunciato. Però qualcosa è cambiato, sebbene la 'trama' sia più elaborata, la sua particolare comicità - in bilico tra surreale e demenziale - è stata un po' penalizzata 'dalla gabbia famigliare' che, nonostante la crisi (economica, politica e di coppia) sullo sfondo, non convince del tutto, ricordandoci certe commedie 'qualunquiste' (leggi populiste) degli anni Ottanta, quelle che volendo accontentare tutti sparavano su tutto e su tutti, non facendo centro su nessuno. E il politicamente (non solo) scorretto di Checcho sembra svanito.
Alla domanda se non ha mai pensato di portare la sua comicità in America e dintorni, Zalone esordisce alla presentazione romana: "E' il sogno di tutti portare all'estero il nostro lavoro, perciò abbiamo fatto la coproduzione francese, ma Aurore (la partner nel film ndr) non c'ha soldi. No, a Hollywood non interessa, credo". "Un papà, visto anche nella vita lo sono diventato - prosegue -, ci abbiamo messo due anni a pensare al film. Il fatto che dovevo interpretare un padre ci ha spronato. L'idea da cui sono partito era di interpretare un uomo che è il prodotto di vent'anni di berlusconismo, ma senza giudicarlo. Certo, è un po' stupidino, ma l'idea di fare soldi gliela inculcata lui. Siamo da due anni insieme (col regista Gennaro Nunziante ndr.) non ci baciamo perché ci facciamo schiffo, ma viviamo tutti quanti insieme, da 7/8anni, nello stesso condominio". All'accenno di un certo 'buonismo' di fondo rispetto ai precedenti surreal-trash, Nunziante afferma un po' seccato: "In noi non è mai esistito il trash né il cinismo che, secondo me, non è una qualità. Non ho mai creduto nella commedia cinica, abbiamo sempre fatto della commedia volendo farla bene, ma non è una situation comedy, almeno non per partito preso. Non è buonismo, non vorresti che si pensasse questa è la felicità. E poi i temi sensibili si esauriscono, come gay, immigrati, bambini".
"Ci sono voluti due anni per costruire la storia - dichiara il produttore Valsecchi -, dopo 45 milioni d'incasso, oggi tutto sembra cambiato, ma ho constato che avete riso due o tre volte ed è un buon segno. Con Checco abbiamo fatto una scommessa su quanto farà questo film, se io vinco sarà una vacanza meravigliosa, se vince lui una cena. Gli esercenti ci hanno creduto tanto, nonostante questa non sia per il cinema una stagione meravigliosa. E' un film girato in Italia ma molto costoso, e sono contentissimo del calore sentito in sala (anche se non eravamo solo giornalisti e critici ndr.). E da questa sera possiamo dormire tranquilli". "E' il mio primo film al cinema - afferma Miriam Dalmazio nel ruolo della moglie- , un battesimo, e una gioia ritrovata. Non è stato male debuttare con Mr. campione d'incassi. Sapevo bene o male cosa avrei fatto nelle scene insieme, ma poi magari le cestinavano. E' stata dura ma mi sono molto molto divertita, e a mio agio". "Sono stata molto fortunata di poter lavorare con Checco e Gennaro - dice la francese Aurore Erguy - perché hanno un talento incredibile. Il film ha la loro gioia di vivere, e sotto un'umanità profonda, molto bella".
"A proposito di buonismo - ribatte Zalone - vorrei rivelare una cosa della sceneggiatura, nella prima stesura doveva concludersi con questa famiglia che in Molise ritrova la felicità, la fabbrica riapriva proprio lì, perché avevamo pensato d'inneggiare al Molise. L'idea che una fabbrica ripartisse ci piaceva, ma volevamo evitare il buonismo o la retorica, e l'abbiamo cambiato. Era il mio cruccio - quando ho veduto il presidente della Regione mi sentivo una merda - perché è una terra bellissima, che ci ha dato la migliore accoglienza, dove la gente ci ha accolto con più entusiasmo, perché non aveva mai visto le macchine, la cinepresa, la gente del cinema. Ma ci sono anche bambini a Provvidenti (nome della cittadina in cui è stato girato ndr.), quelli rimasti hanno lavorato nel film perché negli anni '80 tutti gli altri sono emigrati in Canada. E' un gioiello, dove prima facevano il pane più buono d'Europa". "Muoversi dalla crisi e far ridere è difficile, ma non è un' analisi - continua -, prima pensavamo non la si avvertisse proprio, poi abbiamo deciso di farla vedere, si cerca la risata, comunque, tutto quello che proponi rimane sottotesto e poi non si vede più. Certo, il successo lo sognavo, lo desideravo, ma si passa all'insuccesso nel giro di pochi secondi. Non me l'aspettavo, sono nato musicista e a 18 anni lo voleva fare sul serio, poi per caso ho cominciato la carriera da comico. Allora rubavo, facevo canzoni alla Vasco, alla Carmen Consoli, ma non ho mai trovato una personalità musicale, ho sempre preso in giro i personaggi".
"Abbiamo chiamato il Moige - ironizza (?) acidamente il regista sulle 'parolacce' dette dal bambino -, su quello che poteva dire o cosa no, ma quando si usano termini del tipo 'sboccato' suona inerente al caso. In quel momento dire al padre 'hai rotto il c...' ci voleva, non è voglia di cinismo. Non è volgare ma goffo. Noi l'abbiamo fatto evitando temi e battute scontate per non partecipare alla serie di commedie italiane di amanti, cugini, zie, dove poi arriva il sesso. Ma sulla goffaggine di certi temi. Il segreto più piccolo è fare cose che piacciono a te e, forse, piacciono anche agli altri". "Quando ho conosciuto Luca (Checco) ero timido - dice il piccolo Robert Doncs, nella parte del figlio -, poi mi ha spiegato quello che dovevo fare. Infine mi ha detto: prova a vedere se puoi fare di meglio. E pian piano lo conosci, è facile intuire il suo carattere. E' come lo vedi nei film, simpatico". "Mi sono divertito, sì - ribatte appena l'altro, Ruben Aprea, che nel film è il figlio di Aurore / Zoe, vittima di una crisi di mutismo selettivo, tanto da sembrare ancora in parte. E Zalone, scherzando, dice loro: "Ora andate a fare i compiti".
"Mia figlia mi ha spronato a fare questa storia - riprende il protagonista -, la bambina la vedo due giorni a settimana da due mesi, spero finisca la promozione di questo film per andare a vederla, godermela. Io e Gennaro non abbiamo un segreto, la scrittura è tecnica, ci telefoniamo, discutiamo e scriviamo alla fine. Spesso si parte da una gag che fa nascere la storia. Ci faceva sorridere l'idea di un bambino col disturbo del mutismo selettivo, che ci ha colpito perché poi parlava assai". "Sinceramente da mo' che stava in Italia - ribatte il regista -, la commedia attingeva dalla realtà in modi diversi realista, surrealista, iperrealista, non hanno fondamenta, hanno radici nel suolo italiano. Soltanto ho sempre pensato che - nella commedia - la comicità muore se racconti una vita che non c'è, anziché raccontare quello che ti passa davanti sulla strada. Visconti una sera, negli anni Cinquanta, aveva detto a Vittorio De Sica: 'non prendiamo più l'autobus, stiamo in casa di una contessa, non possiamo più fare del neorealismo". "E' vero il tema dell'eutanasia è al centro di parecchi film autoriali - confermano protagonista e regista -, ma non volevamo prendere in giro nessuno, specie un italiano, casomai in maniera bonaria (l'ex marito di Zoe è regista ndr.). Tutto è partito dal fatto che una persona vuole staccarsi da macchinario per il risparmio energetico, fa ridere. Siamo partiti da quella, dalla citazione autoriale"
"Non ci ho provato in questi due anni a fare altro - confessa Valsecchi -, ho portato il suo primo film a Montecarlo (Festival della commedia ndr.), ma mi piace cercare delle novità, perché quelli che girano mi sembrano un pochino vecchi. Voglio cercare nuovi linguaggi al di là di internet, magari parlando con i ragazzi, ripensare ai contenuti da portare al cinema. Non è un problema di esercenti, distribuzione, o politica. Ma di portare avanti una grandissima responsabilità per l'industria e per il pubblico, di trasformazione perché la crisi del sistema è un problema economico, e ci sono tante realtà, ci vuole un cambiamento nel paese e nel nostro ambiente. Cercare nuove storie, nuovi comici, linguaggi nuovi perché la gente questo ci chiede. E come raccontare il Paese. Oggi ho visto una reazione importante in sala e, tornando al lavoro di produttore, bisogna sempre rischiare con storie nuove. Faccio tanta tivù, e il pubblico ha risposto con Checco, con 'I soliti idioti'. Ora, quindi, devo ricercare strade nuove e sono qui per fare questo".
"Questo è costato un po' di più degli altri - conclude scherzando -, in realtà l'unico che è costato è Zalone, è un film molto più importante: 11 settimane di riprese anche perché ha piovuto sempre. In totale 8milioni e rotti". José de Arcangelo

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