lunedì 9 dicembre 2013
Una vita dedicata a chi è morto in solitudine al centro del film "Still Life", toccante e poetico ritratto dal produttore-regista Uberto Pasolini
Presentato al Festival di Venezia (in concorso) nella sezione "Orizzonti" - però meritava di partecipare alla selezione ufficiale - dove ha avuto il premio per la regia, arriva nella sale italiane giovedì 12 dicembre (distribuito dalla Bim) "Still Life" del produttore-regista Uberto Pasolini, un inno alla vita - in questa indifferente società contemporanea - attraverso l'isolamento, anzi la morte.
"Il titolo vuol dire tante cose (ovviamente in inglese ndr.) - esordisce il produttore del fortunato "Full Monty" -, vita ferma (del protagonista), e ancora in vita come lui, anche per quanto riguardo le immagini, ha varie letture, una su tutte 'natura morta'; per me è 'ancora vita', per un personaggio che valorizza la vita degli altri. Ed è piuttosto buono per il film".
Infatti racconta 'la vita' solitaria del diligente e premuroso John May, un impiegato del Comune del South London, incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che son morti in solitudine. Quando il reparto viene ridimensionato a causa della crisi economica ("tagliare i rami secchi" gli dice il boss), John dedica tutti i suoi sforzi al suo ultimo 'caso' che lo porterà a compiere un viaggio liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla vita. Anche se sarà il caso, ancora una volta, a decidere.
"Un film che prende spunto dall'immagine di una tomba abbandonata, della sepoltura di una persona sola, mi sembrava tradito da un finale classico positivo, lui e lei mano nella mano, se ne vanno dal cimitero, per cui volevo fosse una fine che rispettasse il soggetto film, il valore del suo lavoro nel film stesso".
"Sono partito, anzi la sceneggiatura l'ho cominciata dalla fine, non ho mai avuto dubbi su come doveva finire; dalle immagini degli ultimi minuti, dal punto di vista drammatico che ci si chiedesse 'il destino esiste o non esiste?', e sull'amore. Per me è la fine più giusta e naturale della nostra vita".
Comunque lasciamo allo spettatore decidere se è giusto o sbagliato, bello o brutto, perché al di là del finale, il film va visto comunque, anche perché in questi casi nemmeno gli spettatori sono tutti d'accordo.
"Il mestiere esiste anche a Roma - prosegue Pasolini -, il problema su cosa fare con le persone morte da sole esiste dall'antichità; nel caso specifico di Londra (dove vive l'autore ed è ambientato il film ndr.) si divide in tanti comuni, ogni comune si occupa di rintracciare le famiglie, in caso del fallimento della ricerca, si occupa comunque delle esequie. Quando il protagonista viene licenziato, è perché la gestione del suo comune è passata ad un altro distretto per ragioni finanziarie. Non so come si chiami a Roma, è un problema comunale di gestione sociale".
"Ho letto un'intervista ad una persona che se ne occupava e ho iniziato le ricerche - spiega -, da quello che era stato intervistato che si occupava di due zone molto povere e grandi di Londra, l'ho seguito per sei mesi, ho fatto varie visite a case e appartamenti dei defunti e ho presenziato funerali e cremazioni. Persino l'impiegato, a volte, non ha tempo di partecipare alla cerimonia, se non per una breve visita alla casa del deceduto. Il film è molto poco inventato: la signora che viveva col gatto è stato il primo caso che ho seguito, ha vissuto una vita piena fino ai 25 e poi, fino alla fine, ha condiviso la sua vita con un gatto. Quello che vedete è vero, anche le foto e le cartoline, ho poca immaginazione, mi piace 'rubare' alla realtà di tutti i giorni i momenti più significativi. Durante un anno di ricerche, ho conosciuto una trentina di questi impiegati comunali, molti vivono il lavoro in maniera burocratica e pratica, alcuni hanno un senso profondo del valore umano del loro mestiere - come il protagonista -, dedicano più tempo di quello che il loro capo vorrebbe. Lui è un sommario di due o tre persone che fanno questo lavoro a Londra, dalla personalità ossessiva, appunto, com'è la mia, dal modo che affronta il lavoro perché alcune persone non vengano dimenticate. All'ultimo momento un ricordo, una celebrazione, un commiato positivo, è segno che non sono dimenticate almeno in quel momento. Finiscono spesso in tombe comuni, in cremazioni collettive, rimangono una scrittura sugli album. Perciò questi impiegati si dedicano in maniera particolare al ricordo della persona stessa, perché sono stati dimenticate negli ultimi mesi o anni della loro vita. Anche il celebrante (secondo la religione dello scomparso ndr.) viene pagato dal comune per compiere il rito, recita le parole di conseguenza e chiude, anche perché spesso non c'è nessuno. E' la pratica tra comune e celebrante, la bara lascia l'obitorio e va in chiesa (o tempio che sia ndr., dopo nella fossa comune o privata, se ci sono soldi in banca della persona deceduta. Un'altra presenza altrettanto umana, è dell'impiegato, rappresentata dal personaggio principale".
"Il 70 % delle volte non trovano familiari, un 20 per cento non ne vuole sapere, solo un 10 per cento accetta di andare al funerale, e non devono neanche pagare. Infatti, nel 90 per cento dei casi non c'è nessuno, la situazione d'isolamento ha una giustificazione nel fatto che hanno rotto tutti i contatti, non vogliono più saperne, non si hanno più notizie. Le sole persone presenti sono gli addetti, e se vanno, perciò questi impiegati devono organizzare il 90 per centro delle esequie".
"La cremazione è una realtà pratica; in Inghilterra, almeno che non ci siano indicazioni religiose, si tende a cremare. E' una pratica che costa meno, e se non c'è nessuno al funerale o alla cremazione. Non volevo dare più valore ad una o all'altra sepoltura, la problematica è la stessa. Dopo sei mesi di attesa, le ceneri vengono mescolate, con un numero scritto sopra. Se dopo qualche anno, qualcuno chiede del caro estinto gli viene indicato in quale fosse si trova".
"Di fronte a un soggetto del genere, all'inizio ci si spaventa, e magari dici 'ma che ti è successo' - confessa Cecilia Valmarana di Rai Cinema che coproduce -, poi si approffondisce il tema e si rivela interessante. La prima volta ne abbiamo parlato al mercato delle idee tra finanziatori e produttori, e abbiamo detto perché no? Pasolini fa un film intelligente, profondo, venduto in tutto il mondo e gira tutti i festival".
"E' da un po' di tempo che il cinema è più una scusa di ricerca su realtà diverse dalla mia - aggiunge Pasolini -, io sono cresciuto da straprivilegiato, il mio background sociale è di nessun interesse, faccio cinema da 30 anni, prima facevo il banchiere. Ho iniziato per curiosità, mi sono detto potrebbe essere più interessante. Se fossi rimasto banchiere non avrei conosciuto personaggi come questo, o come i protagonisti di "Machan" (la sua opera prima da regista ndr.). Un momento che anticipa la sceneggiatura, un'opportunità di scoprire realtà sociali a me aliene; del capo famiglia che ha perso il ruolo nella società ('Full Monty') - mio padre ha detto 'è il film più triste mai visto'. non mi sono mai posto il problema di avere un lavoro, da privilegiato ho trovato il modo d'inserirmi. 'Machan' l'ho fatto per capire perché la gente lascia il proprio paese, la famiglia, per lanciarsi in questo viaggio verso un occidente che promette quello che non può mantenere. Non è che da un giorno all'altro mi interessa l'immigrazione, lo spunto è la curiosità, l'analisi, la scoperta, l'indagine di questa realtà. 'Still Life' quando ho letto l'intervista mi ha colpito l'immagine del funerale dove nessuno è presente. Allora ho pensato 'Chi verrà al mio funerale?' Una cosa che colpisce, fa pensare, questa è la realtà sociale dell'isolamento, nelle grandi città l'isolamente è più prevalente, sia tra anziani sia tra giovani. Una volta nel nucleo famigliare c'erano addirittura tre generazioni e vivevano insieme; il senso di vicinato non esiste più, per conoscere il proprio vicino, oggi si fa forse poco. Prima di fare il film non conoscevo quelli che abitano a destra né a sinistra di casa mia, ora conosco sia quelli a sinistra che a destra, ma loro non sanno perché. Mi ha cambiato un po' la vita. Cosa è l'isolamento? Una volta queste persone non avrebbero avuto una vita sociale molto complessa, ma uscivano e affrontavano un rapporto esterno, oggi hanno amicizie virtuali, non hanno un vero lavoro. Non puoi chiudere un'amicizia con una mail, sei costretto a comprometterti non sei tu che decidi tutto, ci sono l'avvicinamento e la rottura. Ho cominciato la ricerca per capire meglio l'isolamento nella società occidentale contemporanea, perché non conosco altre, anche se vado in India ogni tanto non so dirlo com'è lì; nello stesso tempo volevo farla diventare un'analisi sociale un pochino più personale, negli ultimi anni mi sono separato dalla moglie e vedo le mie figlie due volte al giorno. Mia moglie (Rachel Portman ndr.) ha fatto, comunque, le musiche del film e vedo le figlie metà settimana, le porto a scuola, siamo molto uniti da separati, ma ho delle serate in cui torno a casa e la trovo buia, vuota, senza nessuno, prima c'erano o la moglie, o due tre figlie. E' una scusa per un'analisi personale su cosa vuol dire essere soli; se per me è faticoso, difficile avere questa sensazione, tanto che devo accendere radio, chi vive una situazione simile in maniera costante, dove a casa non trovi nessuno con cui scambiare una parola, come vive così, in un isolamento totale. E' stata una scoperta sociale e un viaggio personale".
"E' un film dai toni bassissimi, per me è una costante anche se amo il tutto cinema, ma spesso mi parla di più a toni bassi, tutto è a volume basso, c'è poca musica, il lavoro di macchina è pochissimo, le inquadrature simmetriche, il colore all'inizio è quasi bianco e nero poi gradualmente si arriva alla saturazione di colore, con l'apertura alla vita o esperienza di vita, il punto di vista sottotono, di qualità contenuta anche nella recitazione. Avevo lavorato con Eddie Marsan (il protagonista assoluto ndr.) otto anni fa, per 'I vestiti nuovi dell'imperatore', un film in cui Napoleone fuggiva da Sant'Elena e arrivava a Parigi come venditore di meloni. Marsan aveva il ruolo del valletto di Napoleone, aveva sei battute e tre scene, ma era riuscito a dare rotondità, profondità al personaggio, quando scambiava con lui una battuta dava qualità umana all'imperatore. E' affascinante vederlo lavorare sul set, e io anche come produttore sto sempre sul set, e quando mi è venuta l'idea di fare un film sul soggetto, ho immediatamente pensato a Eddie. Dà enormemente tanto dando (apparenemente) pochissimo, molto contenuto e forte emotivamente. E' conosciuto in Inghilterra per ruoli più drammatici e violenti, ma riesce a dimenticarsi questo tipo di recitazione e si dedica alla scena in questione con sottigliezza, talento, sensibilità e mestiere. Sono fortunato ad averlo trovato".
"E' un film molto speciale, molto angosciato, non ci sono riferimenti voluti, forse inconsci. Quello che ho visto di più è Ozu per la sua capacità di colpire profondamente lo spettatore mantenendo il volume basso, non solo con la macchina da presa, ma nel raccontare storie di tutti i giorni con una recitazione realista, e soprattutto molto pacata, contenuta. Credo di aver visto tutto quello c'era vedere, dai film muti a quelli di fine carriera. Sono tutti film fortissimi, mi hanno molto colpito, non pretendo di essermi ispirato perché è un altro pianeta, però mi ha dato dato la speranza di riuscire a colpire lo spettatore con una grammatica a volume basso. E' facile colpire lo spettatore con una musica roboante, con la recitazione forte e la drammaticità della storia, ma è possibile che questa maniera sia più aliena alla vita nostra di tutti i giorni perché quello che ti ha colpito in quel momento in sala lo dimentichi più facilmente. La nostra vita è sottotone, tenendo il volume basso chi non ascolta lo perdi subito, chi è costretto a fare più attenzione ricorda. Se sei Ozu più facilmente, se sei Pasolini forse no. C'è una presenza più duratura, forse non vi ricorderete per nulla del mio film, non voglio dire che non riuscirò a colpirvi, ma colpirvi di più".
"L'individuo è interessante in qualsiasi situazione - afferma sui personaggi che lo attraggono -, sono più attratto da quello che non conosco, del meno privilegiato di quelli che conosco, si tratta di curiosità sul lato segreto della mia società. Mia zia mi chiedeva 'il tuo interesse per questo tipo di problematica è emotivo o intellettuale?', anche perché di solito in famiglia vengo consierato uno un po' gelido. Invece sono emotivo, caldo, interessato agli altri famigliari, a mia sorella. Credo che il mio interesse sia un po' di tutti e due; sono coinvolto emotivamente nelle vite degli altri lontani, così come uno sul treno può raccontare le cose più personali a una persona che non vedrà mai più, perché non si è capaci di esternare con quelli più vicini a noi/voi".
"Ho lasciato il liceo classico a 16/17 anni - conclude sulla vita e sul personaggio - e continuo col personaggio principale ad esprimere pietas verso il prossimo, non verso se stessi, su una vita che reputo più completa. Non penso che la sua sia una vita disperata, non è conscio della vita che conduce e scopre una vita più complessa, diversa, di rapporti umani mai avuti prima. Da questo punto di vista, una vita in contatto con gli altri, più vera, più soddisfacente personalmente. Prima limitata dal punto di vista personale a cui poi ha dato la 'penicillina'. E' meglio avere buoni amici che uno solo, anche 33 amici, la sua è un'esperienza di scoperta, come quella di passare dal tè alla cioccolata. Vorrei che potesse immaginare una vita più vera".
"Quando viene licenziato - chiude definitivamente - lui illustra il valore del suo mestiere, quanto valuta la qualità umana; poi nella seconda chiacchierata col capo parla sul valore del lavoro per il 'cliente', perché parenti e amici non ci sono o se ne fregano. La problematica è: il valore della società si può vedere per come tratta gli individui più deboli, e chi più debole di un morto che non può decidere, né esprimere i suoi desideri. Tutto ciò per ridurre la presenza dello Stato nell'economia, e questo colpisce quelli che hanno più bisogno. Per esempio, a Londra, i più deboli hanno i pasti caldi, soprattutto quelli che vivono da soli, in tutti i comuni gestiti dal Partico Conservatore; ora tutto questo è crollato perché è stato alzato il prezzo. Prima avevano ogni giorno un pasto caldo a 2 sterline, ora è passato a 4 e non possono più permetterselo, e non hanno più nemmeno il rapporto umano con chi dava loro da mangiare. Il debole viene abbandonato a se stesso. Il valore della società sta in quello che dà ai più deboli".
José de Arcangelo
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