sabato 19 gennaio 2008

Tutta la mia vita in prigione: Mumia Abu Jamal


Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2007, nella sezione dedicata ai documentari, “Tutta la mia vita in prigione - In Prison My Whole Life” di Marc Evans ‑ prodotto dal famoso attore Colin Firth (da “Another Country” a “La ragazza con l’orecchino di perla”), patrocinato da Amnesty International e distribuito dall’impegnata Fandango ‑, narra la vita di Mumia Abu Jamal, un giornalista ex membro delle Pantere Nere, condannato a morte nel 1982 per il presunto omicidio di un poliziotto di Philadelphia.

Un documentario originale anche perché a raccontarlo è William Francome – sua è la sceneggiatura scritta col regista, e l’indagine -, un giovane inglese nato lo stesso giorno in cui fu commesso il crimine.

Francome è un giovane simpatico ed educato, ha una spiccata coscienza politica ma tutto sommato è un normale ragazzo bianco della media borghesia. Quello che non è per niente comune è il suo viaggio, anzi la sua odissea, nel cuore oscuro del sistema giudiziario americano.

Mumia invece sostiene di essere innocente, ma da ventisei anni attende la sua esecuzione e, negli anni, ha ottenuto un notevole sostegno internazionale da organizzazioni come Amnesty e da figure carismatiche come Nelson Mandela. Oggi (quest’anno avrà un nuovo appello) è divenuto il condannato a morte più famoso e controverso di tutta l’America.

Oltre l’originale approccio al suo caso, quello che colpisce in questo documentario è il lucido sguardo al contesto socio-politico statunitense che ha fatto di Mumia “la voce dei senza voce”, un eroe quasi, riuscendo a penetrare nelle coscienze delle persone più lontane e diverse, come Will, grazie ai suoi discorsi diffusi su Internet, le sue trasmissioni radiofoniche, all’hip-hop, alle nuove e alternative forme di campagna politica.

In questo modo, insieme a Will, ci spostiamo dallo schermo del suo computer al mondo reale, cioè all’incontro con alcune icone politiche e culturali di un’intera generazione e oltre: da Angela Davis a Noam Chomsky, da Alice Walker a Steve Earle, da Mos Def a Snoop Dog. Attraverso i loro racconti e i loro ricordi vengono rievocati fatti che negli ultimi quarant’anni hanno scioccato, coinvolto ed appassionato l’opinione pubblica internazionale.

“In un certo senso – dice il regista Marc Evans – il film non appartiene a me, ma a Will, che seguiamo attraverso l’America nel suo viaggio mentre esplora il fenomeno di Mumia Abu Jamal. Un attivista che è stato definito il ragazzo simbolo del movimento contro la pena di morte, ed è facile vedere come, i suoi commenti radiofonici che sono al tempo stesso terribili e melliflui, ma sempre incisivi, tocchi la sensibilità dei giovani politicamente impegnati come Will; e come, attraverso internet e la musica più popolare (ha il sostegno di band come Rage Aganst The Machine e, negli anni ’90, dei Beastie Boys) la sua influenza abbia sconfinato ben oltre i singoli temi politici o razziali.”

E poi aggiunge: “Quello che mi ha interessato, in quanto collaboratore sicuramente più anziano del film (ho l’età della mamma di Will) è come la voce, che riecheggia i grandi oratori del movimento per i diritti civili degli anni ’60, si integri perfettamente in questo mondo post-moderno, post 11 settembre, e come la contro-cultura americana sia cambiata nei venticinque anni in cui Mumia ha languito nel braccio della morte. Perché se è vero che il film vuole collocare Mumia all’interno della tradizione delle voci del dissenso, si pone anche la domanda ‘c’è ancora qualcuno che ascolta?’ E se è facile per la generazione di Will ascoltare attraverso internet la voce di Mumia, ‘la voce dei senza voce’, siamo poi certi che le sue parole non cadano in un vuoto politico?”

José de Arcangelo

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