lunedì 13 gennaio 2014
"La mia classe" di Daniele Gaglianone, con Valerio Mastandrea, un'unica storia vera in un unico film di 'vera finzione'
Dopo la presentazione in anteprima alla 70a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sezione Giornate degli Autori, arriva nelle sale nel modo ormai consueto al nostro cinema indipendente, quello che fonde documentario, dramma sociale e cinema nel cinema: uscita in un ‘non circuito’ tradizionale, ma comunque presente in ogni grande città, magari per pochi giorni, ma con una presenza ‘in tour’ attraverso gli schermi alternativi, da sale specializzata a circoli dei cinema, dalle associazioni alle scuole. E, infatti, a Roma avrà un’anteprima domani al Nuovo Cinema Aquila per andare poi in programmazione dal 23 gennaio, mentre a Milano è uscito l’11 e in date successive in altre città capoluogo e non.
Prodotto da Gianluca Arcopinto per Axelotil Film, Kimerafilm e Relief con Rai Cinema e con il contributo di MiBac - Direzione generale per il cinema con il patrocinio del Ministro per l’integrazione, “La mia classe” di Daniele Gaglianone con Valerio Mastandrea, un attore che impersona un maestro che dà lezioni di italiano ad una classe di stranieri che mettono in scena se stessi. Extracomunitari che vogliono imparare la lingua per avere il permesso di soggiorno, per integrarsi, per vivere e lavorare in Italia. Provenienti da diversi, lontani e vicini, posti di ogni angolo del mondo e ciascuno porta in classe il proprio mondo.
Ma durante le riprese accade un fatto per cui la realtà prende il sopravvento. Il regista dà lo stop, ma l’intera troupe entra in campo: a quel punto tutti diventano attori di un’unica vera storia, in un unico film di ‘vera finzione”.
E questo irrompere della realtà nella finzione mette in risalto le contraddizioni della nostra società e del mondo contemporaneo, offrendo ora un’atmosfera rarefatta ora ambigua, a tratti commovente a tratti divertente, sempre in bilico fra il dramma e la commedia dell’esistenza umana (universale).
“Una delle esperienze più stimolanti che abbia fatto come attore – esordisce Valerio Mastandrea, sul suo ruolo finto/vero dell’insegnante di italiano per stranieri -, un film perché il pubblico capisca quello che attore regista produttore fanno, e ci si domandi a cosa serve. Sebbene tratti il tema dell'immigrazione, parla della voglia di vivere la vita, perché ognuno è lì col proprio bagaglio. Il problema dell'integrazione è probabilmente più forte e può sembrare che un film come questo non serva a niente, perché non basta più testimoniare, ma bisogna spingersi a cercare una risposta”.
“Spesso i film hanno un effetto giustamente catartico – ribatte il regista -, ma per risolvere una contraddizione, la si mette in scena. La frase di Valerio ‘sarebbe da prendere il treno’, forse, non serve a un cavolo, però credo che dirselo serva invece moltissimo, perciò mi sono stupito parecchio a Venezia quando il pubblico ha reagito con applausi spontanei in momenti molto divertenti”.
“Uno dei personaggi più borderline, più in progress - riprende Mastandrea – che ho fatto, certo ci siamo affidati alla casualità perché di solito giravamo tre ore di seguito; tre ore al giorno senza fermarci tanto che dopo la prima lezione ero devastato, con un mal di testa che non ho mai avuto. Tanta concentrazione, molta attenzione a quello che buttavamo lì; un lavoraccio, nuovo nuovissimo per tre settimane, abbiamo girato alla scuola Pisacane, nel Centro Territoriale Permanente (Ctp). Parecchi di noi non conoscevamo questa realtà, qualcuno ha sviluppato un interesse rispetto questo mestiere, a me ha incuriosito molto di più come attore”.
“Non sapevo dell’esistenza dei Ctp – aggiunge -, avevo avuto modo di parlarne un po' con Claudia Russo (la sceneggiatrice col regista e Gino Clemente, e co-autrice del soggetto ndr.), che ha fatto l’insegnante, una sorta di precariato molto interessante, per cui la loro ricerca era più approfondita. Vedere un’insegnante, conosciuta soprattutto lavorando nel film, grazie alla quale abbiamo scoperto che l’italiano è un passaggio burocratico per ottenere il soggiorno. Non riesco a parlare di personaggio, perché in questo caso lo è a metà, anzi andava oltre, e non mi sono preoccupato perché abbiamo 'vissuto' in maniera diversa i nostri ruoli”.
“All’inizio tutto aveva una struttura e davo a Valerio dei suggerimenti – afferma la Russo -, tipo ‘oggi parliamo di lavoro’, lui prendeva spunto dalla mia esperienza e loro rispondevano come fanno in classe nella realtà. E’ tutto vero, in realtà si tratta di uno escamotage politico per un accordo di integrazione per cui tutti quanti devono raggiungere un livello di conoscenza della lingua solo in questi Ctp, ma il lavoro lo fanno dei volontari, e le cose non dovrebbe andare così, non è giusto a livello istituzionale né politico”.
“Molte cose girate poi le abbiamo dovuto tener fuori dal film – confessa Gaglianone -, anche perché affronta un tema di molta attualità, e quando uno decide di raccontare una storia deve prendere una posizione. Rispetto al problema specifico potevamo dire qualche frase (sull’obbligo della lingua italiana) ma il fine del film era un altro. Il punto di partenza fondamentale era la classe, non è un film sulla problematica della scuola. Sicuramente ci sono sfuggite cose importanti da dire, credo succeda sempre. Un problema spinoso come questo rischia di diventare un groviglio, però il film volevamo farlo e l'abbiamo fatto”.
“Conosco l’argomento e la scelta di girarlo all’interno per rappresentare l’istituzione o l’associazione che se ne occupa. Questa è l’unica struttura statale esistente qui ad occuparsi della faccenda, l’insegnante in quel momento rappresenta l’istituzione perché si trova lì, però la soluzione penso possa essere più forte. Parlando in generale di una realtà poco nota, in maniera più ampia, il film è diventato la voce dei ragazzi; infatti, inizialmente aveva una diversa struttura, e la sceneggiatura poi è saltata quasi del tutto. E’ un contesto riconoscibile, una sorta di allegoria degli incontri. Personalmente prima di iniziare penso sempre che qualcosa poi si sacrificherà, ci saranno delle notazioni più puntuali, cambiamenti nella scelta. La natura e il tono del film diventano molto legati alla realtà, e poi c’è una dimensione altra sospesa”.
“E’ già uscito a Milano, al cinema Messico – afferma Arcopinto -, abbiamo avuto anche proposte dai distributori, visto che non esiste più un sistema soddisfacente. Abbiamo fatto un piccolo film rischiando senz’altro sostegno che quello dello Stato e della Rai. Non mi sono disperato, e non volevo ripercorrere un sistema distributivo devastante, e il film avrà una vita molto dignitosa, abbiamo tantissime date senza cercare la contemporaneità ma in varie città: a Roma dal 23, a Bologna dopodomani, a Perugia il 16, il 23, forse, anche a Torino. Tutti gli spazi possibili al momento. Io personalmente ho pensato da subito a questo, e c’erano tante teste pensanti disposte a dare un’impronta da battaglia come volevo io, Valerio era con me, e la Rai non ha battuto ciglio. E’ un meccanismo distributivo di questo tipo che ha ucciso il cinema italiano”.
“Per trent'anni ho fatto questo lavoro – prosegue il produttore -, e dovevo sempre correre a farmi la doccia, ma non mi sono mai guardato in faccia, e ancora non riesco a guardarmi allo specchio; dopo aver fatto più di 60 film, quanti compromessi ho fatto? Nessuno. Faccio quello che voglio sull'onda dell’entusiasmo, è più facile da produrre, ed è giusto spiegare un progetto che nasce da noi. Me l’hanno proposto Claudia Russo e Gino Clemente, che lavorano con me, come una cosa per la tivù, ma tutto potrei fare nella vita tranne il produttore televisivo, così mi è venuto in mente un film per il cinema ed è stato automatico pensare a Daniele e Valerio. L'assetto di lavoro è stato costituito in poche ore, ottenuto con facilità l’appoggio della Rai, tanto che la prima volta che mi sono attivato a parlare della sceneggiatura l’ho fatto senza consegnare una riga scritta, ma l’ho fatto ricordando ‘Diario di un maestro’ e affermando che al posto di Vittorio De Seta c’era Gaglianone e in quello di Bruno Cirino, Mastandrea. Il resto l’ho finanziato io, anche perché d'altra parte tutti i soldi che guadagno li investo o li butto, stavolta speriamo di uscirne pari”.
E i giovani stranieri protagonisti hanno raccontato la loro nuova, inattesa, esperienza
“Rimane per sempre la nostra amicizia – dice l’egiziano Shadi Ramadan -, dopo ho conosciuto altri venti amici e vorrei tenerli per sempre perché siamo diventati come una famiglia, è una sensazione che non riesco a spiegare, ma che sento. Non ho mai pensato prima di Venezia, anzi non sapevo se sarei stato accettato o meno perché non ho mai pensato di fare l’attore”.
“Le lezioni erano normali, c’è stato il professore che insegna e in classe noi studenti normali – dichiara il brasiliano Pedro Savio de Andrade -, e parlavamo del lavoro come di solito facciamo, altre volte non sapevamo l'argomento, ma quelle delle lezioni - a parte le telecamere – sono storie vere”.
“Io vengo dalla Turchia e non indovinavo mai – ribatte Remzi Yucel -, ma dovevamo fare un film insieme, dove ognuno racconta una storia, ci siamo conosciuti perché abbiamo fatto il film insieme. Mi sono trovato benissimo, e qualche parola in italiano l’ho imparata. E’ molto bello, un’atmosfera bellissima”.
“Prima ho parlato della mia vita – confessa l’iraniana Mahbobeh Vatankhah -, devi dire quello che vuoi. E’ diventata un’esperienza importante perché eravamo persone di 16 paesi diversi, con storie diverse, tristi, strane, perché nessuno proviene da realtà normali, tranquille, e da un ambiente forte. Io spero che succeda qualcosa di positivo dopo perché altrimenti non posso dire cosa faccio qui”.
Mamul “Io sono del Bangladesh, da 6 anni sto a Roma – conclude Mamon Bhuiyan -, loro sono venuti a parlare con noi e ci hanno detto che avevo deciso di fare un film. ‘Ti interessa? Mi hanno chiesto. ‘Io dono pronto’ ho risposto, perché da quando ero piccolo rubavo i soldi a mio padre per andare al cinema. Posso fare l’attore come loro’. Oggi finalmente l’ho fatto e il mio sogno si è avverato”.
Gli altri studenti: Bassirou Ballde (Guinea), Gregorio Cabral (Filippine), Jessica Canahuire Laura (Perù), Metin Celik (Turchia), Ahmet Gohtas (Turchia), Benbdallha Oufa (Tunisia), Easther Sam (Nigeria), Shujan Shahjalal (Bangladesh), Lyudmyla Temchenko (Ucrania), Moussa Toure (senegal), Issa Tunkara (Costa D’Avorio), Nazim Uddin (Bangladesh).
José de Arcangelo
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento