giovedì 16 gennaio 2014
"Lo sguardo di Satana" ovvero "Carrie" di Stephen King / Brian De Palma trent'anni dopo, purtroppo senza un vero crescendo di terrore
Delude un po’ tutti (l’atteso?) il remake del celeberrimo horror dal romanzo omonimo di Stephen King (stavolta il titolo è stato rovesciato in “Lo sguardo di Satana – Carrie”), il primo portato sul grande schermo dal giovane Brian De Palma con un’indimenticabile Sissy Spacek e il ritorno della diva anni Cinquanta Piper Laurie nel ruolo della madre, fanatica religiosa e fino all’eccesso.
Rivista dallo sguardo femminile di Kimberly Peirce, persino la vicenda dell’adolescente tormentata e derisa che scopre di avere degli incontrollabili poteri telecinetici non ‘prende’ lo spettatore, prima di tutto perché non c’è un vero crescendo di tensione nella narrazione perché è trascurato anche il percorso psicologico della dolce e incompresa ragazza. Infatti, sembra che anche la sua vita segua un copione prestabilito come il film, però senza scatti né suspense, privo dei sogni (incubi) e dell’inquietudine che domina quell’età.
La vicenda della timida ed emarginata Carrie White (Chloë Grace Moretz) e di sua madre (Julianne Moore), donna iperprotettiva e profondamente religiosa - sceneggiata da Roberto Aguirre-Sacasa -, sembra la fredda ricostruzione di un fatto di cronaca, che trascura la riflessione di ogni sorta, né psicologica né sociale né generazionale. E non bastano telefonini, bullismo via rete e altre variazioni tecnologiche ad aggiornare l’argomento, anche perché ‘l’orrore’ che ci pervade nell’adolescenza è uguale per tutti e, quindi, per tutte le generazioni. Una sorta di metafora in anticipo sulla futura esistenza da ‘vittime’ o ‘carnefici’, o tra vendetta e redenzione. Fate voi.
Ovviamente, quando Carrie subisce l’ennesima angheria al ballo di fine anno, come nell’originale, la ragazza scatena il suo potere telecinetico terrorizzando l’intera cittadina, anche se salverà comunque qualcuno, non perdendo completamente la fiducia nell’altro. Anche se nell’originale sull’ennesima beffa, a lei (e non solo) restava il sospetto che fossero tutti coinvolti, anche i ‘buoni’.
Brave ma sprecate le due protagoniste, assecondate da Judy Greer (Ms. Desjardin), lanciata da “Paradiso amaro” accanto a George Clooney; Portia Doubleday (Chris Argensen), Alex Russell (Billy Nolan), reduce di “Chronicle”; Gabriella Wilde (Sue Snell), vista ne “I tre moschettieri”; l’esordiente Ansel Elgort (Tommy Ross), che rivedremo presto in due film; e Zoe Belkin (Tina).
“Il film di Brian De Palma – ha dichiarato la Peirce -, con le memorabili performance di Sissy Spacek e Piper Laurie, è riuscito a catturare la freschezza culturale dell’epoca. Il materiale originale precorre i tempi, presenta temi universali di uno spessore tale, che a distanza di 40 anni, è possibile far coesistere entrambi i film”. Però, purtroppo, non è riuscita a trasmetterlo allo spettatore odierno.
La colonna sonora è firmata da Marco Beltrami, da “The Hurt Locker” (seconda nomination all’Oscar) a “World War Z”; la fotografia da Steve Yedlin (“Looper”); i costumi da Luis Sequeira (“La madre”); la scenografia da Carol Spier (“La promessa dell’assassino”), e il montaggio da Lee Percy (“Boys don’t Cry”) e Nancy Richardson (“Twilight: Eclipse”).
José de Arcangelo
(2 stelle su 5)
Nelle sale dal 16 gennaio distribuito da Warner Bros. Pictures Italia
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