giovedì 24 aprile 2014

"Il venditore di medicine", un film che farà discutere perché parla del 'mercato' della salute

Ecco nelle sale, dal 29 aprile in 50 copie distribuito da Cinecittà - Luce, "Il venditore di medicine" di Antonio Morabito presentato, fuori concorso, al Festival Internazionale del Film di Roma, scatenando qualche polemiche nell'ambiente medico.
"E' un'osservazione della realtà alla ricerca della verità - esordisce Morabito alla presentazione stampa alla Casa del Cinema di Roma -, e tutto è partito da un caso personale, mio padre si era ammalato e mi son dovuto occupare della ricetta di un farmaco, così mi sono trovato a indagare come fosse prodotto e come venisse immesso nel mercato. Ho avuto l'occasione di consultare vari informatori medici, e qualche dirigente d'azienda farmaceutica e, unendo i tasselli, sono arrivato a vedere le cose che ci sono nel film. Durante la scrittura ho avuto due sponde fondamentali, Amedeo Pagani (anche produttore ndr.) e Michele Pellegrini, diversissimi fra loro, e quindi si è arrivati a questa storia. Ma c'erano due rischi: da una parte cadere in un'inchiesta e dall'altra nel consueto pietismo. Perciò siamo stati secchi e molto diretti". "Credo che un riferimento sia stato il cinema di Elio Petri (regista troppo presto caduto nel dimenticatoio ndr.) - ribatte Pagani -, soprattutto nella scena in cui Antonio si trova nell'albergo dove si svolgeva 'Todo modo'. E il nome del medico è stato scelto proprio come punto di riferimento abbastanza dimenticato, ma il taglio è completamente diverso, sono allusioni votive dedicati agli autori che amiamo". "In realtà si parla poco sui media delle case farmaceutiche perché fanno molta pubblicità - dice Marco Travaglio coinvolto nel ruolo di un primario, all'apparenza incorruttibile -, si sa quello che è successo con l'acqua minerale, dato che sono principali insersionisti televisivi. Si evita di parlarne per non spaventare troppo la gente, e ti rendi conto che la salute non si tratta di un diritto costituzionale ma di un'occasione di fare lucro e profitti, usando le persone come cavie, quelle propriamente dette, anche la cavia quotidiana, il paziente sano imbottito di farmaci con la complicità di medici, informatori e farmacisti. E' una situazione che non rassicura per niente, c'è anche gente che per una malintesa sicurezza cerca di riempersi la casa di farmaci per sentirsi bene. Il film, credo, rompa un tabù e, forse, il cinema italiano fin dai tempi del 'Medico della mutua' non entrava in questo campo minato". "Infatti, il motivo per cui la comunità scientifica e medica non possano parlarne apertamente è il problema pubblicità - ribatte il regista -, e rimane lo stesso sulle riviste mediche sostenute dalle case farmaceutiche, o comunque da loro sponsorizzate, non possono pubblicare i dati che vogliono. E il loro è un fatturato mondiale tra i più importanti". "Persino la BNL era disposta a partecipare al film tramiteil il Tax Credit - aggiunge Pagani - ma poi ci ha ripensato perché non volevano mettersi contro le case farmaceutiche, ma la sanità rappresenta un certa parte nel film". "Una volta arrivato il copione, ho incontrato Antonio che mi ha raccontato la sua storia personale - confessa Isabella Ferrari nel ruolo della dirigente farmaceutica -, non solo un atto denuncia, ma una storia importante. Uno sceglie anche le storie non solo i personaggi, e questo mi ha molto toccato, incuriosito, affascinato il ruolo di questa carogna, costretta al comando e all'isterismo per non soccombere, il tema dell'alienazione del lavoro, nella situazione in cui si trova tra l'incudine e il martello per primeggiare e non perdere il lavoro. Il film racconta anche la nostra società, l'aspetto sociale e politico e affronta la corruzione in maniera non eddulcorata, questo oggi ha ancora un senso, non un cinema che deve strappare per forza la risata, quando non c'è niente da ridere".
"Mi sono appassionato alla storia e al personaggio - afferma Santamaria, il protagonista -, dopo il 'travaglio' iniziale del film, perché è stato difficile trovare i finanziamenti. Penso vada oltre raccontare questo, non la corruzione dei piani alti, nell'accenno sul capo, in cui si capisce che anche lei è sotto pressione, ma attraverso il braccio, l'ultima ruota del carro che è quello che va a vendere. Dentro uno storia umana abbastanza forte, non solo della classe dei lavoratori che inseguono con tutte le forze un sogno che non esiste, perché non saranno mai un ingranaggio più grande. Un uomo che, inseguendo un sogno, distrugge tutto il bello che ha intorno, l'affetto, la famiglia, l'amore. Racconta una cosa molto grande attraverso una formica, una cosa molto piccola. Ci tenevo molto a farlo e ancora ci tengo". "C'era una battuta, poi tagliata, chi mi ha molto colpito - dichiara Evita Ciri nel ruolo della moglie usata come cavia a sua insaputa -, secondo me è il cardine, una litigata in cui Bruno spiegava perché i farmici si vendono, 'è il principio stesso degli alimenti'; consumatori, mediamente sani, che cercano di farsi aiutare un pochino, una piccola assuefazione che garantisce che vengano venduti per tutta una vita, un altro gioco è quello degli effetti collaterali. Mi ha colpito l'ambiguità del consumo, quella linea sottile in cui siamo tutti dentro, a vari livelli, io stessa nel rapporto col mio corpo non so quale è il confine, questo baratro ha creato una serie di stati emotivi, e mi ha aiutato a lavorare sul personaggio, rappresento un lato luminoso vivendo nell'immaginario di una vita normale. Il problema suo è non vedere quanto sia corrotto il marito, quanto sia sottile il modo per essere tirato fuori in maniera non dolorosa".
"Il mio personaggi non posso giudicarlo, anzi non lo giudico - dice Santamaria -, da attore è difficile, soprattutto mentre lo fai, anche se dovessi interpretare Hitler non potrei chiedermi perché si comporta in quel modo. Il mio personaggio lo ritengo una vittima per quanto complice, e alla fine è una vittima perché rimane incastrato in questo ingranaggio, un po' cavia lui stesso, mi fa molta pena". "Sono terribilmente spaventata da quel ruolo - ribatte la Ferrari -, un personaggio, un essere umano vicino a noi, anche se poi c'è sempre un po' di pudore nel raccontarlo. Ho preso informazioni da un capo area e, nonostante abbia persone del settore vicino a me, ho potuto raccontare molte cose, anche nell'incontro tra due capi area, perché tutti sanno ma nessuno parla. Me la sono immaginata così, se la devo giudicare, credo sia totalmente una carogna, anche se lo fa per salvare il suo posto, rimane una carogna. Molto spesso i capi sono i peggiori senza rendersi conto".
"Eravamo a teatro con Isabella a fare uno spettacolo a Firenze - racconta Travaglio - quando venne a vederci Amedeo e propose a Isabella quella parte, e poi mi disse 'ci sarebbe una parte che non abbiamo ancora assegnato anche per te, uno stronzo pazzesco'. Pensavo fosse uno scherzo fino a quando abbiamo provato in ufficio, al 'Fatto quotidiano', e ho pensato che mi avrebbero scartato per qualche motivo, pensato di lasciar perdere e prendere un attore. Se la mia presenza è estemporanea nel film ma contribuisce a far parlare del tema ben venga. Ho accettato per pura curiosità, ma alla fine sono contento di esserci perché penso rompa un bel tabù. E' poco rassicurante anche per il pubblico, perché qua c'entrano tutti, fa capire l'aberrazione della crisi, i capi diventano come lo descrive Isabella, e va giù giù fino all'ultimo formica, il confine è labilissimo. I personaggi sembrano dei mostri quando li vedi, ma nella cronaca gli scandali nel mondo della sanità, nessuno fa niente perché vengano alla luce, poco fa è stato scoperto che i bambini vengono usati come cavie per gli ormoni. E' la banalità del mostro che fa parte della nostra società anche se sta nell'ombra". "Quello farmaceutico è ill quarto fatturato mondiale dopo i carburanti, l'energia e le armi - dice Giorgio Gobbi -, sono giri mostruosi di denaro, che il medico che interpreto è persino bonario, rispetto al fatto del mostro che ci sta accanto, mi sono appassionato a prestare la faccia simpatica a un medico condotto che potrebbe essere uno dei mostri che ci fa prendere dei farmaci che non servono a nulla. C'è stato lo scandalo, un mese fa, di Roche e Novartis che sono stata multate e hanno dovuto far ammenda nel mondo intero sul cartello creato per proteggere il loro farmaco (per la vista soprattutto per gli anziani ndr.) e far prendere il più costoso. E dal nostro medico, una volta uscito il paziente, arriva il promotore e fanno affari loschi, per miliardi e miliardi di dollari".
"E' l'unica industria che non va in crisi perché la malattia non va in crisi - ribatte Santamaria -, la medicina è come qualsiasi altra azienda". "Durante la lavorazione c'è stata una protesta costante di medici e lavoratori scientifici - dichiara il regista -, tant'è che il direttore di un ospedale di Bari, dopo la conferenza stampa di inizio riprese, ha disdetto la disponibilità. Uno o due medici che ci avevano concesso di usare il loro studio privato, hanno revocato la loro disponibilità, perché lavorano per quell'ospedale, e si sono resi conto che 'dovevano fare delle cose più importanti' solo dopo la conferenza. Durante il passaggio al Festival di Roma c'è stata una protesta in varie sedi, dopo la presa di distanza della Fnomceo. Ma, dopo la presentazione ad un festival in Svizzera (il film è in coproduzione con la Radiotelevisione helvetica ndr.), un signore ci ha avvicinato, dato un biglietto da visita e ci ha fatto i complimenti perché anche lì le cose vanno in questo modo, era un parlamentare che ha in carico la farmacologia, non certo un informatore, un politico ed emissari delle vari aziende farmaceutiche". "Mi curo da tanti anni con la medicina omeopatica - afferma la Ferrari -, confesso che ho un po' paura dei medicinali allopatici". "Anch'io sono per l'omeopatico, ma ho sempre paura", ribatte Santamaria. E la Ciri: "Anch'io sono per l'omeopatico, e li prendo solo se sono strettamente costretta".
"Non credo nemmeno nell'omeopatia" ironizza Travaglio. "Prendo solo un'aspirina ogni tanto. Ma mettere la faccia è importante - dice Gobbi -, soprattutto se ognuno di noi fa un piccolo passo verso il progresso e la conoscenza dei problemi che ci affliggono". "Speriamo si fanno vedere al cinema - aggiunge il regista -, perché parla del disagio tra medico e paziente, in realtà spesso è un untore, che sta vendendo un prodotto come merce, lì è il problema, perché non destinato a determinate malattie, deve riempire il numero di ricette. Ci sono varie categorie di medici che confermano di dover fare centinaio prescrizione comunque per qualsiasi cosa, c'è stato il caso di prescrivere un antianoressico per un altro malessere, fatto che ha causato circa duemila morti. E' il sistema il meccanismo corrotto, la medicina è sacra, non un pezzo di sapone". "Il mio medico mi disse una cosa - confessa Santamaria - un suo professore all'università aveva consigliato loro: 'ricordatevi che il paziente non deve mai guarire completamente altrimenti perdete il cliente'. Ma non bisogna pensare alla sanità come un fatto clientelare, non si tratta di un qualsiasi prodotto". E poi aggiunge sul suo lavoro: "Ho girato a gennaio/febbraio il film di Ermanno Olmi sulla Prima guerra mondiale, 'Torneranno i prati'; adesso con Gabriele Mainetti, un'opera prima di un regista il cui corto è stato nella shortlist dell'Oscar, dall'America gli sono arrivate delle mail dei produttori, qui nulla. Il titolo 'Lo chiamavano Gigro Bo", su un ladro troppo buono per cui sto anche ingrassando".
"Ho fatto un film da Aldo Nove, 'La vita oscena' di Renato De Maria - ribatte la Ferrari -, e ho finito una serie per Sky 'In treatment". "Ogni azienda bolla i medici con nomi non gergali - conclude Morabito -, e ho dovuto inventarmi qualcuno per rendere riconoscibile una dicitura, 'penne' perché fa lo scrittore, e ogni medico ha un valore. Non più il nome del farmaco, il comparaggio è cambiato negli anni, in modo sublime, attraverso gli anni c'è stata una scappatoia mai messa in atto dalle aziende farmaceutiche. La mia esperienza è molto analoga, mio padre aveva un cancro, e sono dovuto informarmi su una certa cosa, mi sono interessato per questo motivo". E chiude: "Ho avuto una grande fortuna di avere collaboratori perfetti, adatti al film, con Duccio (Cimatti) siamo fin da subito entrati in sintonia per cui c'è stato un dialogo totale, volevamo cose analoghe dal film; idem per la musica di Andrea Guerra, anche se credo ci sia stato un momento in cui non mi sopportasse più, però nel tema principale penso abbia dato quel tono che cercavo". "L'uscita è casuale - afferma il produttore -.C'è una certa difficoltà, una sorta di peripezia, certo con Zalone è un'altra cosa". José de Arcangelo

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