giovedì 19 febbraio 2015

"Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza" in un'opera dello svedese Roy Andersson in bilico tra commedia dell'assurdo e graffiante dark comedy, vincitrice del Leone d'Oro al 71° Festival di Venezia

Una commedia – apparentemente dell’assurdo - nera esistenziale molto particolare sulla scia dell’ormai maestro Aki Kaurismaki, ma ancora più funerea e inquietante se possibile, visto che inizia proprio con quattro brevissimi ‘episodi’ sulla morte.
“Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” dello svedese Roy Andersson – Leone d’Oro al 71a. Mostra Internazionale di Venezia, dove tutti davano per vincitore “Birdman” – è ambientato in un’atmosfera cupa, sbiadita (colori pastello per niente vivaci come quelli del collega finlandese) e senza tempo, ma con riferimenti agli anni Sessanta (soprattutto su costumi e scenografie). Incursioni nel passato storico (e non) che vanno da un gruppo di militari colonialisti inglesi che ‘friggrono’ degli schiavi africani in una strana macchina che emette una sinfonia meravigliosa, al re Carlo XII di Svezia (1697-1718) - soprannominato ‘l’ultimo dei Vichinghi’ e presunto omosessuale, che andando in guerra si invaghisce di un cameriere e lo porta con sé al fronte.
Ma anche, grazie ai ricordi di uno dei personaggi che frequenta il bar da una vita, ci fa ripiombare nel ’43 – proprio durante la guerra – quando la barista, per intrattenere i clienti e i soldati intona una tanto funerea quanto divertente versione di “Glory Glory Alleluja”. Il regista – che nel titolo lungo ed enigmatico si rifà al vecchio cinema dell’Est europeo più che ai film della Wertmuller -, mette in scena la squallida quotidianità dell’uomo, grande o piccolo che sia, e l’assurdità della nostra esistenza buttandoci con corrosiva ironia in un pessimismo, forse, senza speranza alcuna.
Un cinema prettamente d’autore e terza parte di una trilogia che comunque non offusca la visione del singolo film, dato che Andersson stesso dichiara: “Sono convinto che ogni film possa, e debba, essere visto sempre individualmente. All’interno di un solo film, ogni scena può essere vista separatamente. ‘Un piccione seduto su un ramo…’ ha 39 scene e la mia ambizione è che ognuna di esse possa apportare una diversa esperienza artistica al pubblico. In generale la trilogia chiede agli spettatori di esaminare se stessi; chiedendo loro ‘Cosa stiamo facendo? Dove siamo diretti?’, intende generare riflessione e contemplazione in merito alla nostra esistenza con una dose abbondante di tragicommedia, lebenslust, ossia passione per la vita, e un rispetto fondamentale per l’esistenza umana. La trilogia mostra un’umanità
potenzialmente diretta verso l’apocalisse, ma dice anche che il risultato è nelle nostre mani. ‘Canzoni dal secondo piano’ è intriso di Millenarismo, dalla scena del venditore che butta via i crocifissi, simboleggiando l’abbandono della compassione e dell’empatia, alla scena delle case che si muovono, che evoca la paura di crisi finanziarie cicliche, esse stesse apocalissi minori. I temi della colpa collettiva e della vulnerabilità umana sono centrali in questo film. ‘You, The Living’, ha rappresentato un avvicinamento coraggioso ai sogni, una transizione che ha aperto un’intera serie di nuove possibilità per me. Prima, i miei personaggi commentavano i proprio sogni. Oggi in ‘Un piccione seduto su un ramo…’, le scene semplicemente assomigliano a sogni, senza alcuna ulteriore spiegazione. Questo film è anche più ironico rispetto agli altri due, e il tono preponderante è quello della lebenslust, anche se i personaggi sono tristi e soffrono molto”.
Quindi, un’opera non per tutti i pubblici, anche perché si tratta di 39 piani sequenza a macchina fissa (però il film dura 100’), una sorta di ‘quadri’ in cui si muovono i diversi personaggi, dall’insegnante di flamenco innamorata del giovane allievo, ma da lui rifiutata, ai due venditori ambulanti di (vecchi) costumi, trucchi e articoli per feste, da considerare ‘i protagonisti’, interpretati da Holger Andersson e Nils Westblom. Sono loro a trasportarci in un caleidoscopico viaggio attraverso il destino dell’uomo, tra la bellezza di singoli momenti (pochi), la meschinità di altri, l’ironia e la tragicommedia della nostra esistenza, in sintesi dalla grandezza della vita all’assoluta fragilità dell’umanità.
Però visivamente, la pellicola (ovviamente girata in digitale, la prima volta per il regista) è il risultato di una ricerca non solo delle inquadratura e dei colori, perché l’autore si ispira sempre ai pittori e, stavolta, in particolare a Otto Dix e Georg Scholz, “i due artisti tedeschi le cui innovazioni artistiche sono state ispirate dalle loro esperienze nella Prima Guerra Mondiale. Le loro visioni del mondo, incrinate dalla guerra colpiscono in un modo che sento molto vicino, senza che io abbia mai preso parte a una guerra”. Infatti, Andersson ha 71 anni e realizzato 7 lungometraggi dal 1970 ad oggi. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 19 febbraio distribuito da Lucky Red

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