mercoledì 18 febbraio 2015
Approda in sala l'opera prima del piemontese giramondo Paolo Mitton "The Repairman" un'inconsueta e riuscita commedia esistenzial-ecologica dai toni surreali e ironici
Presentato in anteprima al Raindance Film Festival, poi a quello di Torino e, infine, al Shanghai FilmFest, “The Repairman” del piemontese Paolo Mitton approda nelle sale italiane dal 26 febbraio, ma sarà dal 19 nei cinema del Piemonte, dove è stato ideato, realizzato e girato.
Un’opera prima originale e insolita nel panorama italiano, una commedia esistenzial-ecologica di un regista, laureato in ingegneria e giramondo - dal Belgio a Parigi, da Londra alla Spagna - che ha voluto tornare in Italia per firmare il suo primo lungometraggio, dopo anni di gavetta negli effetti speciali e soprattutto nel montaggio, proprio a Londra, dove ha lavorato per “Troy”, “Harry Potter” e “La fabbrica di cioccolato”.
“E’ un film nato in casa – esordisce il regista esordiente nel lungometraggio, alla presentazione romana - insieme allo sceneggiatore (Francesco Scarrone ndr.), anche lui nato in Piemonte, dove è ambientato dato che girarlo altrove avrebbe significato un budget troppo alto, così abbiamo situato la storia in modo che fosse più vicina ai posti dove abitiamo e che conosciamo bene. Siamo partiti dal personaggio, poi ci sono state numerose versioni della sceneggiatura, all’inizio Scanio si occupava di tutt’altro, infatti, quello che non è mai cambiato è il personaggio, che nasce proprio da una scintilla dell’anima e dell’amicizia che univa noi, dalle cose in comune che abbiamo, e pensavamo praticamente alla storia di un incompreso, un po’ come noi chiusi in casa a scrivere mentre gli altri lavoravano”.
“Nei comportamenti, nei dialoghi – prosegue sugli spunti autobiografici -, quando ti concentri, vengono fuori da te, e per forza di cose il personaggio è un po’ quello che sei. Ho fatto dei lavori in Inghilterra, il mio percorso parte da lontano, dalla rete dell’ingegneria da cui pian piano mi sono allontanato e mi sono avvicinato al cinema. Ho fatto un corto prima Spagna, poi un altro in Italia, e come ho constatato che al cinema è più facile entrare dagli effetti speciali e visto le mie conoscenze di ingegneria, ci sono riuscito. Durante la notte avevo scritto la sceneggiatura del cortometraggio, girato nella stessa zona, ma poi ho fatto la post produzione nello studio dove lavoravo a Londra; dopo ho fatto il montatore free lance per qualche anno, infine ho lavorato nella sceneggiatura”.
“Parla di una vita più lenta – aggiunge sulla sua opera prima originale e inconsueta nel panorama italiano -, è un elogio non escludendo che ci siano altre alternative, è un film che mostra diversi modelli di vita e di raggiungere la felicità, a qualcuno di voi sarà capitato di ricevere una telefonata – come nel film – di qualcuno che vi dice di darvi un mossa; uno si schiera da una parte o dall’altra, e presentando un incompreso devi metterti nella posizione che gli altri comprendano un po’ di più”.
“Infatti, i distributori e Slow food, vedono un modello slow di vita che si adatta alla loro filosofia, e cercare di essere felice dipende dai propri ritmi. Anche l’affezione ad un valore nostro (le riparazioni) volevamo presentare persone con altri interessi, la riparazione mi piace più personalmente del riuso, dato che ho fatto ingegneria per anni, e per fare venir fuori questa cosa ci siamo detti ‘se mettessimo un braccio meccanico per mantenere il caffè freddo’. E’ il fatto di passare semplicemente da riparatore a inventore”.
“Sul personaggio ho fatto un lavoro durato circa un annetto – dice l’efficace protagonista Daniele Savoca -, su cosa doveva essere Scanio di fronte a quello che lo circonda, sulla maschera, la mimica facciale, perché si porta nel volto questa dissonanza, tutto il processo per occupare una buona parte del personaggio. Nella prima parte mi sono identificato a memoria piatta su quello che è il personaggio, le parole che poi diventeranno pensiero: prima a ripetere in maniera piatta le battute partendo dalle immagini e avere una reazione, poi la base è la struttura fisica del personaggio, si abbassano le spalle, si tira fuori la pancia, si aprono le gambe – e ho preso dieci chili in più -, infine, si continua con la ripetizione piatta finché non dici la battuta nel modo giusto, infatti, plasmare la battuta è l’ultima cosa, perciò al principio deve essere piatta”.
“Io tendo più per l’improvvisazione – precisa -, una volta che ho imparato la battuta nel modo giusto mi aiuta, mi offre un perché per andare avanti”.
Infatti, è la storia di Scanio (Daniele Savoca), un ingegnere mancato che si guadagna da vivere riparando macchine da caffè, ma a causa di un’infrazione si ritrova in un corso di recupero punti in un’autoscuola di provincia. Costretto a spiegare come abbia perso la patente, travolge insegnanti e compagni di corso nel dettagliato racconto del suo ultimo anno di vita, ed è qui che inizia e finisce il film.
Circondato da amici ormai ‘realizzati’ che non perdono occasione per criticarlo e spingerlo a ‘sistemarsi’, da un vecchio telefono a disco che continua a squillare e dallo zio panettiere che lo incoraggia a valorizzare le sue doti, Scanio si trova in raro equilibrio tra le contraddizioni del mondo contemporaneo. Un mondo che preferisce correre e non incoraggia chi, come lui, si prende il tempo per capire ciò che ancora funziona e ripararlo. Solo Helena (Hannah Croft, attrice e moglie del regista), giovane inglese trasferitasi in Italia per lavorare come esperta di risorse umane (incaricata di ‘licenziare’ gentilmente) sembra in grado di capirlo e rassicurarlo, tant’è che decidono di vivere insieme ma…
“Una volta che ho incontrato Daniele e deciso che sarebbe stato il protagonista – ribatte il regista -, ho dovuto in un certo senso ribaltare la sceneggiatura e adattarla all’attore. Anche gli inglesi sono d’accordo che il personaggio sia universale, e non slegato dai posti in cui sono cresciuto. Forse legato in modo molto intimo, inconsciamente volevo legarlo alla mia terra e ho scritto con e sulle persone del posto, anche perché se avessi girato a Londra non avrei potuto chiedere al panettiere di usare il forno per le riprese, invece da noi, in paese, sono stati molto accoglienti, avevo lavorato con Fabio (Marchisio, produttore e attore ndr.) nel corto, e mia moglie è l’attrice protagonista, Hannah Croft”.
Un curioso personaggio ma non troppo, in questa nostra società dell’usa e getta, cioè post vecchio consumismo, in cui non si ripara più niente ma si sostituisce, inondando il mondo di rifiuti di ogni sorta il che - in un momento di crisi come questo - significa spreco e (auto) distruzione.
“Quando Paolo Giangrasso (con Filippo Margiaria fondatori della Aidìa Productions ndr) che conosco da trent’anni mi disse che avrebbe fatto il film con una troupe ridotta – dichiara Fabio Marchisio, anche nel ruolo di Gianni -, e che Daniele (Savoca) sarebbe stato il protagonista; mi ha coinvolto nell’idea della casa di produzione, ho pensato che, spostandomi da semplice attore, fosse un’esperienza che valesse la pena provare, orientandomi su un’operazione da cui partire. E quando mi ha fatto leggere uno stralcio, non tutta la sceneggiatura, per i provini, sono stato colpito dalla scrittura e ho fatto un provino come tutti gli altri attori. Io e Filippo, dopo aver letto la sceneggiatura, abbiamo convenuto che non se ne trovano simili nel cinema italiano, ci sembrava particolare, e abbiamo cercato di implementare al film le stesse caratteristiche per le maestranze, dal direttore della fotografia (David Rom) di Channel Four e della BBC che si è prestato a lavorare nel cinema italiano, abbiamo coinvolto sul film anche Vitaliano, capo del Teatro stabile di Torino, per un gruppo coeso di attori professionisti. Paolo nel dirigere gli attori ha lavorato in modo atipico, facendo fare anche prove a tavolino. Devo dire che sono contento che per me sia stato il primo progetto, perché propone un esordiente e può interessare il mercato e gli interpreti. E fatto con le sue gambe”.
“Eravamo presenti a Torino un anno fa – afferma Terenzio di Cineama - , e abbiamo deciso di distribuire il film perché un messaggio di riflessione sociale e fuori dal cuore, con le altre commedie italiane ha molto poco in comune, magari più vicino ai film nostalgici di Woody Allen, com’è stato già detto. Abbiamo messo più di un anno per lanciarlo, perché ragioniamo puntando l’attenzione alla selezione delle sale, spesso poche convinte dell’alta qualità; abbiamo concluso che è meglio crescere con calma, e piuttosto che uscire in tante sale allo sbaraglio, creare attorno al film un interesse con iniziative legate all’ambiente. Tant’è che ‘l’invenzione di Scanio’, il Misurometro (per misurare le onde elettromagnetiche intorno a te ndr.), presentata in collaborazione con Banca Alpi Marittime, dovrebbe essere messo sul mercato dalla Apple. Partire da un tema e portarlo in sale che hanno interesse ai film di nicchia. Partiamo con 10 o 15 copie, a Roma inizialmente con l’anteprima al Nuovo Cinema Aquila alla presenza di alcuni protagonisti, partiamo dalle città principali per proseguire le settimane successive nel resto d’Italia. Cast e regista in sala, dibattito col pubblico, un’attività che si è persa negli ultimi anni”.
“The Repairman” ha ottenuto il patrocinio di ‘Viva la reparaciòn’ (www.vivalareparacion.it) una webzine al motto di ‘ogni riparazione è una piccola rivoluzione’, e sulla tematica e il senso filosofico legato all’attività professionale ,anche di Lega Ambiente, Slowfood; sono coinvolte le associazioni Collisioni 2015 (Barolo), il gruppo volontari Restarters un progetto, che nasce da associazioni di Firenze, Torino, Milano, Aosta. Un’idea nata da un ragazzo che, a Londra, ha fondato i Restart Parties, momenti di ritrovo dove la gente porta oggetti elettronici di consumo da esperti riparatori non tanto per riparare gratis ma per imparare da loro a riparare come i nostri nonni e padri erano abituati a fare, si tratta – dice il regista - della riappropriazione di cose che abbiamo acquistato, ma il software viene fatto in modo di renderlo inutilizzabile e da sostituire, e l’ovvia conseguenza è l’aumento dei rifiuti oltre i consumi”.
“Non ci ho pensato al Ministero – conclude Mitton sul mancato sostegno del MiBAC -, mi dicevano devi fare un film, quando lo fai? Ero incosciente sul farlo. La mia necessità era di fare il film subito e insieme, in modo che si potesse realizzare, ma non avevo un particolare interesse finché Filippo e Paolo con Aidìa, si sono riconosciuti anche nel personaggio e ci hanno creduto. Abbiamo unito le varie maestranze e i produttori su valori comuni e deciso di lavorare bene insieme”.
“E’ pazzesco per me fare una cosa che non avevo fatto prima – dice il produttore Filippo Margiaria -, un po’ come fa Scanio, molte cose sono state catturate dalla sceneggiatura tant’è che non ci siamo neanche accorti, mi è piaciuto molto aver trovato un partner. In effetti, fare l’aiuto regista sarebbe stato irrepetibile (almeno fra noi) e certi valori del film mi hanno portato qui, e qualcosa in più; ci ha aiutato l’impreparazione (è il primo film prodotto dall’Aidìa ndr.); allo stesso tempo siamo amanti della verità e abbiamo dovuto inventarci delle cose che non sapevamo, anzi abbiamo chiesto a loro cosa dovevamo fare, e creato un gruppo di artigiani-artisti che ci dicevano come muovere le mani, cosa chiedere se il produttore li sa ascoltare. Ora sappiamo che non dovremo fare altro che così. Questa libertà mi ha appassionato, dato che prima avevo la passione per la scrittura, avendo tantissimi talenti tra le mani perché non fare il film. In Italia manca l’imprenditore che rischi qualcosa, io ho iniziato perché ho scoperto di avere delle capacità organizzative e poteva ancora una volta dare un calcio alla scrittura, e la nostra casa di produzione cerca qualcuno che abbia delle idee. Comunque, è un errore pensare di aver imparato abbastanza. Avere un buon riscontro col pubblico, sarebbe molto bello per una produzione indipendente, non perché dovevamo farlo a tutti i costi, ma perché quello che conta è la qualità, farlo bene, ed è sorprendente, in questo periodo, essere riusciti a trovare anche una distribuzione. Non abbandoneremo il film perché è il nostro primo figlio. C’è un’immagine orientale molto bella proposta da ‘Viva la reparaciòn’ che riporta a Scanio perché non si può avere paura dell’oggetto rotto, non bisogna averne paura, il superamento di ciò è la nostra ripresa. Nella cultura giapponese quando si rompe un oggetto di ceramica non lo buttano ma lo ricostruiscono, lo incollano riempiendo le incrinature di una pasta dorata, così è più forte, la vera crescita dell’oggetto”.
“Il fatto che il pigiama di Scanio sia stato usato da me è vero – chiarisce l’autore -, però ripeto il film non è prettamente autobiografico, è un po’ ambiguo, non una storia vera ma a me e ad altre persone a me vicine è successa”.
Quindi, si tratta di un gustoso mix di ironia e surrealismo con cui l’autore mette a fuoco le condizioni in cui ci troviamo spesso anche noi, travolti e inadeguati, costretti a correre quando preferiremo rilassarci e goderci la vita al ‘ritmo’ giusto e coltivando le nostre ‘passioni’.
Bella la scena iniziale con il volo delle anatre in una natura apparentemente incontaminata dove troneggiano le gigantesche torri d’acciaio che sorreggono i cavi dell’alta tensione.
Gli altri attori: Paolo Giangrasso (Fabrizio), Fabio Marchisio (Gianni), Irene Ivaldi (Zoe), Francesca Porrini (Carmen), Elena Griseri (insegnante autoscuola), Alessandro Federico (Pitu), Lorenzo Bartoli (idraulico), Beppe Rosso (zio), Anna Bonasso (padrona di casa), Ettore Scarpa (commesso), Barbara Mazzi (studentessa).
La fotografia che ricrea l’atmosfera quasi senza tempo del protagonista è firmata da David Rom, mentre il montaggio da Enrico Giovannone e Matteo Paolini. Le musiche originali sono di Alan Brunetta e Ricky Mantoan.
Il film è stato realizzato dall’Aidìa Productions con la britannica Seven Still Pictures fondata dallo stesso Mitton, contando sulle competenze e professionalità della torinese Acting Out, anche FIP – Film Investimenti Piemonte si è unita al team produttivo garantendo un ulteriore supporto consulenziale e finanziario con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte e i media partner Mymovies.it e Fabrique du Cinema. Ora ha ottenuto il riconoscimento Film d’Essai dal MiBAC.
José de Arcangelo
(3 stelle su 5)
Nelle sale italiane dal 26 febbraio (in Piemonte dal 19) distribuito da Cineama in collaborazione con Slow Cinema
HANNO DETTO:
“Un delizioso esordio italiano (…) una delicata e piccola storia che ha un potenziale dal forte respiro internazionale, soprattutto se segnalato al pubblico che ha nostalgia dei primi e divertenti film di Woody Allen (…) raffinatezze tecniche impressionanti per un film dal piccolo budget”. (The Reporter)
“Un film che promette poco e regala allo spettatore tantissimo (…) Tutto sorprende: la bravura e la naturalezza degli attori, la trama, ma soprattutto la sceneggiatura”. (il film straniero)
“Spiazzante e poco convenzionale uno degli esordi italiani più interessanti degli ultimi anni”. (Mymovies.it)
“E’ certamente il miglior esordio italiano dell’anno e finalmente si può scrivere l’abusata frase: ‘un cineasta da tenere d’occhio… con questa piccola opera dimostra che un altro cinema è possibile”. (badtaste.it)
“Per la commedia italiana seguire la strada aperta da ‘The Repairman’ potrebbe essere una via d’uscita da una situazione statica”. (Raioohm)
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