giovedì 2 aprile 2015
Tratto dal best-seller omonimo di Cheryl Strayed e diretto dal regista premio Oscar Jean-Marc Vallée approda nei cinema italiani "Wild" con una grande Reese Witherspoon
Tratto dal libro omonimo e autobiografico di Cheryl Strayed (Piemme), sceneggiato da Nick Hornby (da “About a Boy” a “An Education”) e diretto dal pluripremiato regista canadese di “Dallas Buyers Club”, Jean-Marc Vallée, con una grande prova d’attrice di Reese Witherspoon, stavolta lontana da ogni cliché e in zona Oscar, premio vinto dopo da Julianne Moore per “Still Alice”.
Una storia sospesa tra avventura straordinaria e tardiva formazione, di fuga e rinascita, di paura e coraggio, penitenza e redenzione, riflessione, autopunizione e pentimento. Non originale ma diversa, perché personale e, in un certo senso, unica però con precedenti cinematografici recenti e illustri: dal tragico “Into the Wild” di Sean Penn a “Tracks” di John Curran, anche lì la storia vera di una donna che ha attraversato il deserto australiano per 2700 km.
Una storia vera, una donna alla ricerca di se stessa, una sfida da affrontare e una lotta (per la sopravvivenza) da vincere, ma anche contro se stessa e il suo passato per riscoprire la vita e superare lutto e dolori, errori e sofferenze. Questo e molto altro è “Wild”, presentato in anteprima al Torino Film Festival 2014.
Dopo la prematura scomparsa dell’amata madre Bobbi (Laura Dern), del fine traumatico del suo matrimonio e, soprattutto, di una giovinezza disordinata (aborto, eroina, allontanamento del fratello) e difficile, Cheryl (Witherspoon, anche produttrice), minuta e apparentemente fragile, a soli ventisei anni si ritrova con una esistenza sconvolta, anzi da dimenticare e superare. Alla ricerca di sé e di un senso alla sua vita, la donna decide di attraversare a piedi e in solitaria l’America selvaggia (una delle prime donne della sua generazione) per oltre quattromila chilometri, dal confine col Messico oltre la frontiera canadese.
Dall’intensa e sincera scrittura della Strayed, Vallée – attraverso una calibrata sceneggiatura - ne trae un altrettanto intenso ed emozionante dramma esistenziale, da cui spiccano prepotentemente il fascino di spazi (ancora) incontaminati e la fragilità della condizione umana di fronte alla grandiosità della natura. E lo fa intervallando il lungo percorso – altrimenti sarebbe diventato pesante, forse, noioso allo spettatore – con flashback del passato della protagonista, tramite i quali conosciamo gli episodi che l’hanno spinta a prendere la drastica e pericolosa decisione che la porterà a capire che la vita, sempre e comunque, vale la pena viverla fino in fondo e, in un certo modo, a perdonarsi. Quindi, dopo l’autodistruzione (droga, sesso, lutto, perdita e perdizione) la ricostruzione di se stessa. Il tutto raccontato persino con leggerezza e ironia, un pizzico di di tensione e l’altro di suspense.
Ma la scommessa di Cheryl – per lei piccola grande donna - è doppiamente faticosa perché sopravvivere vuol dire portarsi dietro, anzi sulle sue strette spalle, un gigantesco e pesante alleato, uno zaino quasi più grande di lei e probabilmente altrettanto pesante, tanto che per alzarlo è costretta prima a inginocchiarsi e poi a rialzarsi con enorme sforzo, e quello è soltanto il primo ostacolo nel lungo e insidioso cammino verso una meta che sembra irraggiungibile, però la guida lo spirito di sua madre e il suo sostegno sono una forza di volontà incredibile e una perseveranza rara.
Nel cast anche Gabby Hoffmann (Aimée, l’amica del cuore), Michiel Huisman (Jonathan), Kevin Rankin (Greg), Thomas Sadoski (Paul), W. Earl Brown (Frank), Keene McRae (Leif, il fratello), Brian Van Holt (Ranger) e l’ormai veterano Cliff De Young (Ed), noto caratterista fin dagli anni ’70, diviso tra piccolo e grande schermo.
José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5)
Nelle sale dal 2 aprile distribuito da 20th Century Fox Italia
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