giovedì 2 aprile 2015

"Second Chance", il nuovo toccante dramma della regista danese Susanne Bier indaga, come in un thriller, sulle fondamenta morali e i valori etici. Incontro con Nikolaj Coster-Waldau

Presentato in anteprima ai Film Festival di Toronto e di Torino, “Second Chance” è il nuovo, toccante, dramma contemporaneo della regista danese Susanne Bier, Golden Globe e premio Oscar per il miglior film straniero con “In un mondo migliore”.
Tornata in patria, dopo la commedia romantica “Love Is All You Need” e quella hollywoodiana “Una folle passione”, la regista stavolta narra una vicenda umana incentrata su Bene e Male attraverso il filtro del pregiudizio, sulla scia dell’antico proverbio “le apparenze ingannano” nel rapporto genitori e figli (neonati). Infatti, il luogo comune vuole che si giudichi le madri o i genitori in generale, dalle apparenze, in base alle condizioni sociali, alle scelte di vita, ma sono solo segni esteriori che spesso nascondono la vera radice del problema, una verità che non è mai uguale per tutti. E, in fin dei conti, su tutto regnano l’ambiguità e le contraddizioni dell’uomo. Sceneggiato dalla regista stessa col fedele Anders Thomas Jensen, il film racconta la storia del poliziotto Andreas (Nikolaj Coster-Waldau, diventato famoso con “Il trono di spade” e ormai attivissimo a Hollywood) che sembra vivere una vita perfetta: ama il suo lavoro, è felicemente sposato con Anna (Maria Bonnevie) e ha avuto da poco un bambino.
Durante una perquisizione, insieme al collega Simon, incontra Tristan (Nikolaj Lie Kaas), amico di un tempo e ora delinquente tossico allo sbando, incapace di prendersi cura della compagna Sanne (la modella Lykke May Andersen al suo debutto sul grande schermo), anzi la maltratta e la costringe a farsi, e del figlio, anche lui neonato. Ma, quando una tragica fatalità investe la vita di Andreas, i destini delle due famiglie si incrociano e si troveranno uniti in una sconvolgente serie di eventi, che lo spettatore dovrà scoprire insieme allo stesso Andreas. E se ‘apparentemente’ tutto sembra prevedibile, non lo è affatto. Già perché la Bier costruisce questa vicenda umana come un thriller dei sentimenti più profondi e persino nascosti e non solo ci coinvolge in prima persona ma ci fa partecipi delle riflessioni e delle reazioni del protagonista con una straordinaria intensità emotiva.
“Il film racconta quello che accade – dice l’autrice – quando delle persone vulnerabili sono costrette ad affrontare delle circostanze al di là del loro controllo. Racconta che non siamo immuni al caos come crediamo e che coloro che ci sono più vicini nascondono segreti inconfessabili. Ma molte domande del film vanno al di là della dimensione personale: abbiamo cercato di esplorare le fondamenta morali della nostra società, per spingere il pubblico a riflettere sui propri valori etici. Con un film puoi fare luce su argomenti di natura etica attraverso le emozioni. I film non sono parole. Sono immagini. E per me vuol dire immagini di essere umani e di situazioni umane”. Un dramma che ci costringe a indagare anche dentro noi stessi, a provare emozioni e sentimenti ambigui, inconfessabili, persino contraddittori, a svelarci quello di cui siamo capaci di fare pensando di fare del Bene e invece provocando del Male, ovvero tra commozione e angoscia, dubbio e certezza.
“Credo sia importante – aggiunge la Bier – che il pubblico provi empatia per qualcosa, come il comportamento del protagonista, che è chiaramente sbagliato, ma che allo stesso tempo è anche giusto, secondo una logica pratica. Amo questo genere di situazioni perché credo che la vita funzioni in questo modo, un modo molto complicato. Questo non vuol dire che non esistano il bene e il male, in senso morale, ma una situazione simile amplifica la nostra comprensione del perché gli esseri umani si comportino in modi non sempre apparentemente comprensibili”. Nel cast anche Ulrich Thomsen (Simon, collega di Andreas), già in “Non desiderare la donna d’altri” della stessa Bier e anche lui ormai diviso tra Scandinavia e America; Peter Haber (Gustav), Thomas Bo Larsen (Klaus), Molly Blixt Egelin, Charlotte Fich (Dommer). La fotografia è di Michael Snyman, il montaggio di Pernille Bech Christensen e le musiche di Johan Soderqvist. José de Arcangelo
(3 ½ stelle su 5) Nelle sale dal 2 aprile distribuito da Teodora Film INCONTRO A ROMA CON NIKOLAJ COSTER-WALDAU “Second Chance”, il nuovo film della premio Oscar Susanne Bier arriva nelle sale italiane, e a presentarlo alla stampa italiana è arrivato il protagonista, Nikolaj Coster-Waldau, diventato improvvisamente popolare in tutto il mondo con la serie televisiva “Il trono di spade”. Un toccante dramma che parla di pregiudizi e apparenze che ingannano, soprattutto nelle coppie giovani alle prese con il primo figlio: responsabilità morale e affetto, trascuratezza e dedizione, amore o rifiuto, padri e madri di oggi, forse di sempre. “Sono stato sempre un fan di tutti i suoi film – esordisce Coall’incontro romano alla Casa del Cinema -, noi tutti abbiamo un’etica e una morale, ma certe volte ci troviamo a fare delle cose che non avremmo mai pensato di fare. All’apertura del film tutti vogliamo salvare quel bambino, vediamo la vita con gli occhi di Andreas, però è come giudichiamo e vediamo gli altri”.
Infatti, perché volente o nolente spesso ci facciamo ingannare dalle apparenze, del bianco o nero, del bene e male. “Come attore usi tutto quello che hai per dar vita ai personaggi, io ho due figlie, sono padre, tutte le cose ti portano a pensare a quello che potrebbe succedere, ovviamente interpreto tutti i ruoli senza aver mai fatto quello che fanno loro, ovviamente ho fatto il killer senza aver mai ammazzato nessuno”. “Uno dei temi del film è ‘non giudicare il libro dalla copertina’ (come dicevamo prima le apparenze ingannano ndr.), sono due mondi opposti, estremi, da una parte c’è il compagno che abusa di Sanne, la maltratta tant’è che lei non può accudire e curare il figlio; dall’altra c’è il mondo perfetto di Andreas e Anna, dovremo essere contenti perché fortunati per quello che abbiamo, ma a volte ci sentiamo colpevoli di essere felici e proviamo un grande dolore. Il cuore della questione è che mia moglie nel film vive una situazione d’inferno paragonata a quella, diversa, di Sanne. Susanne riesce molto bene a mostrare le contraddizioni o le giustapposizioni, e ci fa riflettere, è molto pericoloso giudicare perché abbiamo poche informazioni sulle questioni di cui siamo testimoni”.
“E’stata dura col bambino - prosegue - perché è la quintessenza della purezza, vuoi proteggerlo, accarezzarlo. Le mamme, invece, portavano i bambini a cospargerli di merda per quella terribile scena iniziale, a girare si è fatto in fretta perché nei primi mesi crescono tantissimo, infatti, dopo la pausa di Natale abbiamo dovuto lavorare con due nuovi bambini. La scena più dura è quella in cui ci svegliamo di notte e scopriamo che il bambino è morto”. “Interpreto un essere umano e anch’io lo sono – dichiara -, poi sono anche padre, ma dovevo riconoscermi in una storia estrema, ogni scena uno stress per il personaggio. E’ il sogno di ogni attore perché c’è tantissimo materiale da gestire e per scavare. Susanne ha un vero stile personale, unico, lavorando per lui tutti si concentrano e si sorprendono, probabilmente anche il pubblico, e ha un occhio e un orecchio speciale per gli attori”. “Non è l’uomo al centro del film ma il bambino – chiarisce -, ed è molto raro vedere sullo schermo il rapporto stretto di un uomo con un bambino, si prende su di lui tutta la responsabilità, come padri non ci sentiamo da meno nel rapporto coi figli, anche se l’approccio è diverso. Soprattutto nell’ultima parte ci sono delle scene emozionanti, commoventi, il padre si unisce al bambino, di solito è la madre ad essere rappresentata come centro privilegiato nel rapporto col bambino”.
“E’ difficile recitare in entrambe le lingue (lui danese nei film e serial americani recita in inglese ndr.) – conclude -, il mio sogno di attore è nato con Sergio Leone e ‘C’era una volta in America’, perciò prediligo le storie in cui rappresentare quello che avevo provato guardando quel film. Sono danese, europeo, lavorare come ora, di qua e di là dell’oceano, mi fa sempre piacere. Sarebbe stato fantastico, sono orgoglioso di questo film, un’esperienza importantissima, un piccolo film che se le mie fan (quelle del serial televisivo ndr.) andranno a vedere in sala sarò contentissimo, ma pensare ad un successo planetario per questo film, non sarebbe giusto”. José de Arcangelo

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