lunedì 25 maggio 2015

Arriva nei cinema "Pitza e Datteri" una gradevole commedia multietnica che trova ispirazione in quella italiana per parlare di un tema delicato e complesso con leggerezza

Approda nelle sale italiane una piacevole commedia multietnica a proposito di un tema delicato e complesso come immigrazione-integrazione, sceneggiata (a quattro mani con Antonio Leotti) e diretta da Fariborz Kamkari, curdo nato in Iran, diviso tra l’Italia e il Kurdistan. Ovviamente il riferimento dell’autore del non dimenticato “I fiori di Kirkuk” è la commedia all’italiana.
“Era inevitabile – esordisce Kamkari alla presentazione stampa romana – perché anch’io ho imparato tante cose dal cinema italiano, soprattutto il suo tono ironico che ha influenzato e avuto un enorme impatto sul cinema mediorientale e nella mia esperienza personale. Bisogna sempre prendere le distanze senza panico, perché l’impatto è sempre politico”. Quindi, una commedia corale che rappresenta tutte le sfaccettature e i colori della nostra società contemporanea ma, forse, attraverso uno sguardo troppo ottimista e poco graffiante, come tema e situazioni meritano. “Sono cresciuto in un ambiente mussulmano – dichiara il regista – e credo sinceramente che una cultura moderna e laica mussulmana esista e si svilupperà sempre più, anche per effetto del confronto con lo stile di vita e il modello culturale europeo”.
“Trattare temi molto seri e importanti con leggerezza – prosegue -, dà la possibilità di toccare questioni assai delicate senza essere necessariamente provocatori. ‘Pitza e datteri’ è un film realistico. Insieme ai miei collaboratori abbiamo cercato la soglia di credibilità di ogni situazione: scene di grande attualità, girate nelle vere location con la partecipazione di gente vera, molti non attori. Al realismo si aggiungono alcuni elementi ‘fatali’, che danno un tono incantato al film per trasmettere la magia della straordinaria avventura di Saladino, giovanissimo Iman che dallo ieratico deserto si ritrova inaspettatamente trapiantato in una fluida città sull’acqua”. La pacifica comunità mussulmana di Venezia è stata sfrattata dalla sua moschea da un’avvenente parrucchiera, anche lei ‘immigrata’, che l’ha trasformato in un coloratissimo salone di bellezza. A risolvere la situazione viene chiamato un giovane e inesperto iman afgano il quale dovrebbe riconquistare il luogo di culto. Ma tutti i suoi goffi tentativi così come quelli dei fedeli falliscono miseramente, però alla fine riusciranno a trovare un luogo e un aiuto da chi non se l’avrebbero mai aspettato...
“Io sono un immigrato di prima generazione – riprende il regista – ma non vengo considerato parte integrante della comunità mussulmana, però tutti siamo visti come un pericolo, mentre siamo ostaggi di una minoranza che parla a nome della comunità, e molto spesso trascurati dai media perché l’immigrato moderno e integrato non fa notizia”. Comunque, Kamkari usa stereotipi e luoghi comuni nel modo giusto per poi rivoltarli pian piano con effetti se non esilaranti almeno divertenti, in qualche caso gustosi, e sostenuto da un azzeccato cast multietnico che offre una ricca galleria di personaggi tra cui spiccano il veneziano Bepi (Giuseppe Battiston), convertitosi all’Islam; il giovanissimo iman Saladino (Mehdi Meskar, calabro-magrebino-parigino cresciuto a Treviso); la sensuale parrucchiera Zara (la franco-africana Maud Buquet); il ‘presidente’ della comunità Karim (l’attivissimo attore pakistano Hassani Shapi), la mussulmana progressista Fatima (l’italo-africana Esther Elisha) e il curdo Alà (il siciliano Giovanni Martorana).
“Nella prima parte del film – spiega l’autore – i personaggi e le circostanze, sembrano corrispondere ai comuni stereotipi (sugli immigrati mussulmani, sugli italiani e sui francesi). Man mano che la storia si sviluppa questi stereotipi diventano troppo stretti e la metamorfosi dei protagonisti li contraddice. Ai modelli familiari e riconoscibili fanno seguito i nuovi e inaspettati aspetti dei personaggi e delle situazioni. Saladino, per esempio, ben nota tipologia di islamico radicale, diventerà un fedele mussulmano moderno e moderato”. “Volevo rompere il ghiaccio attraverso una femminilità che parla di disagio sociale, di una ricerca di equilibrio lunga più di cent’anni per essere presente nel mondo moderno. Le donne sono una grande presenza di un cambiamento che spesso non viene rappresentato, ed è arrivato il momento di dar voce a questa maggioranza silenziosa”. “Sono contenta che il film esca dopo il periodo di terrore vissuto in Francia – afferma Maud Buquet – perché parla di cose profonde senza paura, e dopo gli attentati la comunità islamica non aveva voce. E credo che il film non l’offenda, anzi”.
“Il film apporta un messaggio positivo – ribatte Mehdi Meskar -, di un incontro importante e soprattutto di convivenza. Saladino quando se ne va è più aperto, e spero che i fanatici abbiano il coraggio di vedere il film perché capiranno che c’è dietro una volontà positiva”. “La comunità islamica non è mai un monolite – dice Esther Elisha -, il film offre uno sguardo interno pieno di sottigliezze e sfumature, intelligente ed ironico. La paura è forte, ma bisogna lottare nel quotidiano, confrontarsi con coraggio, mettersi in gioco nell’arte e nella cultura. Sono un po’ l’alter ego, un’avvocatessa femminista che dice come stanno le cose nella religione e fuori”. “Ho pensato a Battiston alla prima stesura della sceneggiatura – confessa il regista – perché il suo è un personaggio estremo, il più mussulmano di tutti. Volevo che fosse credibile e sono lieto che abbia accettato di collaborare perché gli avevo detto lo faccio solo se ci sei tu”. “L’idea del veneziano che si converte all’Islam – ribatte Battiston – per poi diventare fondamentalista maldestro è bellissima. E affrontare un tema necessario, senza paura, non nega la possibilità di riflettere su una minoranza. Ho capito la necessità di raccontare questa storia d’incontro e d’integrazione. Il mio personaggio è un emarginato che si converte perché è il solo modo per venire accettato dalla comunità, e poi per far capire la sua scelta di diventare fondamentalista: un pensiero deteriore che può attecchire negli strati più disagiati, tra miseria economica e intellettuale”.
Il tutto ambientato a Venezia, storico crocevia tra Oriente e Occidente – da sempre luogo ideale per racconti di scambi culturali e integrazione – e commentato dall’effervescente musica dai suoni multietnici dell’Orchestra di Piazza Vittorio, autrice della colonna sonora, già in vendita nei negozi di dischi. A dare le giuste luci e colori alla vicenda ci ha pensato la fotografia di Gogò Bianchi. Nel numeroso cast anche Gaston Biwolè (Aziz), Monica Zuccon (Cesarina), Hafida Kassoul (Miriam), Glaucia Paola Virdone (Mina), Leonardo Castellani (Lo Turco) e Alessandro Bressanello (il sindaco). José de Arcangelo
Nelle sale dal 28 maggio distribuito da Bolero Film

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