venerdì 15 maggio 2015
Il Maestro Folco Quilici racconta la storia degli "Animali nella Grande Guerra" ovvero le incredibili storie di uomini e animali nella I Guerra Mondiale con inedito materiale di repertorio e inserti fiction
“Per mia fortuna Rossini mi ha chiesto di lavorare a questo lungometraggio, una proposta che ho accettato molto volentieri”, esordisce il Maestro Folco Quilici alla presentazione romana del suo nuovo documentario, originale e da un punto di vista inedito, per ricordare il centenario della Prima Guerra mondiale: “Animali nella Grande Guerra - Le incredibile storie di uomini e animali nella Prima Guerra Mondiale” prodotto, appunto, da Mario Rossini per Red Film in associazione con Istituto Luce Cinecittà..
E non poteva essere un altro che il celebre e premiato regista – da “Sesto continente” (1954) a “Cacciatori di Navi” (1991), per ricordare solo il primo e l’ultimo lungometraggio per le sale - perché il grande documentarista e giornalista italiano è un vero esperto e un sincero animalista che ci trasporta nel mondo inesplorato degli animali al fronte, altre vittime innocenti della follia dell’uomo.
“E ci sono antefatti personali – prosegue -, perché avevo fatto un viaggio nella zona che era sempre al centro dei racconti di mio padre e di mio zio; finita la guerra, andavamo in vacanza in quei posti dove avevano combattuto tanti giovani senza capire molto perché. Poi ero tornato da regista, in occasione de ‘L’Italia vista dal cielo’, nella regione orientale e, infine, ora per rievocare le zone della battaglie dove ci sono ancora le trincee, i sentieri, con lo sceneggiatore Marino Maranzana che è da quelle parti e mi ha aiutato a evocare gli episodi di fiction. Così come sono ritornato al Luce - dopo il racconto di un secolo (“L’Italia del XX Secolo”) che andava dal Primo Novecento fino al 31 dicembre 1999 -, perché mi garantiva la presenza di molto materiale, anche se allora era un enorme caos, in un angolo erano ammucchiate tante scatole di materiale di scarto che rischiavano il macero, ma in realtà era prezioso perché in esso c’erano i tagli delle cerimonie e visite ufficiali, magari il momento in cui Hitler inciampava o Mussolini si soffiava il naso. Però sono stato entusiasta ed emozionato di collaborare nella ricerca di filmati su questo tema per cui dobbiamo sottolineare il lavoro dei cineoperatori che furono più bravi del dovuto perché non avevano nessun interesse a filmare gli animali, visto che non erano nemmeno presi in considerazione. Perciò abbiamo lavorato su materiale di diversa provenienza. Infatti, tutti gli animali, dai cavalli e gli asini ai topi sono stati filmati per caso. Il materiale più vero e originale è quello in cui si spande il gas e si vede da un angolo un cane che esce al galoppo dalla nube: è stato ripreso per fortuna e per caso”.
Dopo un intenso lavoro di impegno e ricerca, e attraverso singoli episodi narrativi – con materiale d’archivio dell’Istituto Luce e della British Pathé e piccoli inserti girati appositamente (a colori) negli stessi luoghi -, Quilici racconta l’utilizzo di un dato animale durante il primo conflitto mondiale. Vengono così alla luce caratteristiche inedite ai più, in relazione al particolare rapporto che si veniva a instaurare tra soldato e bestia, spesso finalizzato anche a una sorta di pet therapy ante litteram e non solo alla collaborazione bellica, visto che i rapporti istintivi degli animali sono privi dell’odio e della malvagità dimostrata dall’essere umano. Si instauravano così dei veri e propri legami affettivo in un campo dove regnava l’odio forzato.
“E’ stata una sorpresa positiva – aggiunge Quilici – perché proprio per caso celano molto più immagini sull’argomento di quello che pensiamo, e non solo in battaglia; sull’argomento potevamo trovare difficoltà, infatti da questa parte ci sarebbe una critica negativa a tutti gli archivi perché ancora non usano le nuove tecnologie per archiviare l’intero materiale in maniera più ordinata, magari per argomenti. La nostra è stata una ricerca minuziosa, testardamente abbiamo trovato cose interessanti e cercato di riunirle in un’unica storia. Spero che questo film spinga il Luce e tutti gli altri archivi europei ad accettare l’idea di mettere insieme tutto il materiale su digitale perché la pellicola, pur essendo forte e robusta, bisogna salvarla da ulteriore degrado”.
“Dovendo attingere a documenti, film e foto – conclude Quilici -, risalenti al primo conflitto mondiale e non intendendo limitare il nostro film ad una antologia di sequenze tratte dal vasto repertorio dell’epoca, mi è parso necessario alternare ai vecchi documenti sequenze girate oggi. Quindi sequenze a colori in contrapposizione alla preziosità dei documenti allora filmati in bianco e nero”.
Infatti, il documentario riesce efficacemente a raggiungere l’esito prefissato di fornire un racconto anticonvenzionale del tragico conflitto, attraverso lettere, diari e fotografie scattate dagli stessi combattenti – ma che raramente sono apparse su giornali, libri e riviste dell’epoca e nemmeno nel secolo successivo – , e raccolte nel libro che Lucio Fabi ha ricavato dalle sue ricerche, “Il bravo soldato mulo” (Mursia).
“Ricostruire le scene delle trincee è stato meno complicato ma più traumatico – confessa lo sceneggiatore e aiuto regista Maranzana -, per me nato a Trieste, questi sono i posti della Prima Guerra dove la scuola ci portava per vedere campo e trincee, ma per noi ragazzi era una sorta di luogo di gioco. L’idea già c’era nella Storia d’Italia e nel libro di Fabi. La base erano film come ‘Uomini contro’ (di Francesco Rosi ndr.) e ‘All’Ovest niente di nuovo’ (di Lewis Milestone ndr.) di cui avevo tante scene in mente e poi, dalle ricerche di immagini tra le fotografie, abbiamo scelto e deciso di semplificare o evidenziare alcune vicende facendole attraverso la fiction, e una ‘color connection’. Una formula di transizione accettabile, legata forse in modo inconscio al rigore dei documentari originali. Non volevamo inventarci o sovrapporci con delle velleità al materiale originale”.
Un documento toccante e commovente, lucido e sorprendente tramite il quale possiamo conoscere un lato dimenticato della Storia, ricostruito attraverso ricordi, storie, episodi di vita vissuta del rapporto, dentro e fuori la trincea, tra uomini e animali, tra incredibili momenti di assoluta serenità e tenerezza, alternati sullo sfondo di uno dei più tragici periodi della storia contemporanea. Quindi, un episodio da vedere e ricordare assolutamente.
Anche perché è stato un esercito parallelo quello degli animali che, accanto agli uomini, ha combattuto senza sapere il perché, e che proprio come i milioni di giovani amici umani ha sacrificato la propria vita. Muli, buoi, cani, cavalli, maiali, piccioni viaggiatori vennero usati per lo spostamento di reparti e materiali, per le comunicazioni e per il sostentamento delle truppe. Anche quelli lasciati liberi dai profughi e/o rimasti orfani dai loro padroni si univano ai soldati offrendo la loro preziosa e fedele compagnia. E tra di loro sono contati i sopravvissuti, ma alcuni sono diventati dei veri e propri eroi, come il cane riportato dai soldati americani dalla Francia negli Stati Uniti e poi diventato il più celebre di Hollywood, col nome di Rin-Tin-Tin.
Però tra di loro c’erano anche dei letali nemici per entrambi i fronti: i ratti e i pidocchi che, oltre a divorare persino i cadaveri, portavano ogni sorta di infezione e malattie anche mortali.
José de Arcangelo
(3 stelle su 5)
Nelle sale di Roma, Torino, Milano e Firenze dal 15 maggio distribuito da Istituto Luce Cinecittà – Il 24 maggio 2015 in onda su Raiuno
ECCO LA VERA STORIA
Durante la Prima Guerra Mondiale cavalli, cani, muli, asini, colombi viaggiatori e tanti altri animali vennero mandati a soffrire di stenti e a morire insieme ai soldati al fronte, per la gloria di una patria che quasi non li considerò. Forse in parte anche per mitigare la ferocia di quest’utilizzo, la Gran Bretagna ha promosso a Londra un monumento dedicato agli animali caduti in guerra e un memoriale (Animals in War Memorial Found) in cui, con sculture ed epitaffi, sono ricordati i cani da trincea della prima guerra mondiale, i canarini usati per rilevare la presenza di gas letali, i muli da soma e i cavalli da guerra, così come i delfini immolati contro le navi nemiche. Il memoriale è dedicato, simbolicamente, al “soldato 2709”, un piccione viaggiatore morto in servizio. Si stima che i cavalli impiegati sui vari fronti di guerra furono quasi dieci milioni, adibiti ai traini dei cannoni e ai carri per le colonne di salmerie.
Il mulo, il cosiddetto “amico dell’alpino”, si rivelò preziosissimo per il trasporto dei bagagli in alternativa ai carri; le sue caratteristiche fisiche lo resero indispensabile sul fronte montano nel rapporto tre di loro per un cannone: uno per la canna, uno per l’affusto e uno per le munizioni. I cani vennero utilizzati sia come guardia che come mezzo di trasporto, molto spesso come bombe viventi da spingere nella trincea nemica; il cane si rivelò un grande alleato per il soldato, ottimo camminatore e nuotatore, fine di olfatto, versatile e adattabile ai terreni difficili. I tedeschi utilizzarono i cani anche per trasporto di medicinali e ricerca di feriti: dai 2000 cani in servizio nel 1915 si arrivò ai 20.000 del 1918. L’uomo si accorse anche che alcuni animali avevano un indispensabile senso dell’orientamento, i colombi viaggiatori erano i più portati. Portatori di messaggi in piccoli contenitori legati alle zampette, nel 1914 tutti i reparti di guerra erano dotati di una zona d’addestramento per i colombi. Altri volatili vennero utilizzati per il rilevamento di gas nell’aria. Nel corso della Grande Guerra gli animali non soltanto “combatterono” a stretto contatto con il soldato, ma contribuirono fattivamente all’alimentazione di svariate decine di milioni di militari.
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