giovedì 19 novembre 2015

"A testa alta" di Emmanuelle Bercot, un classico mélo sui ragazzi dall'infanzia difficile dedicato agli assistenti sociali e ai giudici minorili

Presentato in apertura all’ultimo festival di Cannes, “A testa alta” (La tete haute) di Emmanuelle Bercot è un solido melodramma tradizionale incentrato su un tema non nuovo - forse troppo lungo -, ma comunque toccante, quello dei ragazzi dall’infanzia tormentata, quasi orfani nonostante i genitori siano in vita. Ma stavolta l’argomento viene visto dal punto di vista degli operatori sociali e soprattutto del giudice minorile, a cui il film è dedicato.
Infatti, narra la storia di Malony, abbandonato dalla madre (una Sara Forestier sopra le righe) quando aveva sei anni (sorprendente il piccolo Enzo Trouillet che lo ‘interpreta’ solo con sguardi e gesti), che entra ed esce dal tribunale dei minori. Ma, attorno, a questo bambino diventato adolescente allo sbando, ribelle senza causa apparente, si forma una sorta di famiglia adottiva: Florence (la sempre sobria ed elegante Catherine Deneuve), un giudice minorile vicino alla pensione, e Yann (Benoit Magimel), un assistente sociale a sua volta reduce di un’infanzia molto difficile.
Entrambi seguono il percorso del ragazzo e tentano di salvarlo in ogni modo. Poi Malony (l’esordiente rivelazione Rod Paradot, trovato a scuola) finisce in una struttura correttiva più restrittiva, dove incontra Tess (l’androgina Diane Rouxel), una coetanea molto speciale che gli farà capire che ci sono motivi per continuare a sperare.
“Vogliamo cominciare con un’opera differente – aveva dichiarato il direttore del Festival di Cannes Thierry Frémaux -, forte ed emozionante. Un film che dice cose importanti sulla società di oggi e rappresenta perfettamente il cinema moderno, focalizzato sulle questioni sociali, con un carattere universale e, perciò, capace di parlare a tutto il mondo”.
Quindi, un tema universale rivisitato in chiave contemporanea che vuole essere anche un omaggio a chi segue questi ragazzi e cerca di salvarli da un destino avverso, spesso vittime degli stessi genitori e della nostra società. Non a caso, la regista si è ispirata allo zio che è stato assistente sociale e “si era affezionato a un giovane criminale che aveva seguito per molti anni, insieme a un giudice minorile, una donna alla vigilia della pensione. Mi sono ispirata a questa storia in maniera diretta. Il ragazzo si era molto attaccato a mio zio e al giudice. Mio zio mi ha raccontato di aver detto un giorno al giudice: ‘Per lui, tu sei sua madre ed io suo padre’.
Lei aveva risposto: “No, tu sei sua madre ed io sono suo padre’. Da quel momento ho deciso che il giudice nel mio film sarebbe stata una donna e doveva essere Catherine Deneuve a recitare quella parta. E’ stato solo dopo questa prima fase di ricerca documentaria che ho contattato Marcia Romano (la co-sceneggiatrice ndr.) per scrivere insieme la sceneggiatura”. Comunque si tratta di un film che coinvolge, a tratti commuove, ed è sostenuto da un cast davvero all’altezza. Peccato che si dilunghi a volte in particolari scontati e/o ripetitivi.
Nel cast anche Elizabeth Mazev (Claudine), Anne Suarez (direttore di JDC), Christophe Meynet (sig. Robin), Martin Loizillon (pubblico ministero), Lucie Parchemal (impiegata), Catherine Salée (Gladys Vatier), Ludovic Berthillot (Ludo), Michel Masiero (il nonno) e Marie Piemontese (la preside). José de Arcangelo
(2 1/2 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 19 novembre distribuito da Officine Ubu

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