venerdì 20 novembre 2015

Luca Guadagnino presenta "A Bigger Splash" un personale rifacimento, ambientato a Pantelleria, con Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Matthias Schoenaerts e Dakota Johnson

Dopo il ‘passaggio’ alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e al Festival di Londra, approda nei cinema “A Bigger Splash” di Luca Guadagnino, rifacimento del capostipite dei thriller dei sentimenti “La piscina” di Jacques Deray, con la coppia icona degli anni Sessanta Alain Delon-Romy Schneider (più Maurice Ronet e l’allora lolita in ascesa Jane Birkin). Non è proprio un remake dato che l’autore di “Io sono l’amore” lo fa suo, magari approfondendo personaggi e relazioni (pericolose), ma più che l’idea del quartetto, “residuo inconsapevole, inconscio tanto da voler tenere i nomi”, e facendo dell’ambiente un altro protagonista, anzi come afferma il regista stesso “una sorta di antagonista dei personaggi, catalizzatore e provocatore al tempo stesso. Volevo che il paesaggio fosse il personaggio silenzioso che si aggiungeva ai quattro. Perché da un lato funzionasse come marca potente del reale e dall’altro, come specchio che rifletteva i conflitti. Pantelleria è un posto incredibilmente violento, è adagiata su un vulcano le cui attività sono silenziose, ma costanti. Il vento la sferza, il caldo non dà tregua, ma possono esserci sbalzi di temperatura quasi africani con notti inaspettatamente fredde. E’ un luogo non riconciliato, e questo mi piaceva molto”.
La leggenda del rock Marianne Lane, senza voce e appena operata alle corde vocali (sempre sorprendente Tilda Swinton ma, forse, non ha il fisico del ruolo) è in vacanza sull’isola vulcanica di Pantelleria con il compagno Paul (il Matthias Schoenaerts di “Un sapore di ruggine e ossa” e “Via dalla pazza folla”) quando arriva inaspettatamente a interrompere la loro solitaria vacanza Harry (uno scatenato Ralph Fiennes che si mette a nudo, fisica e psicologicamente come mai prima), produttore discografico iconoclasta nonché suo ex, insieme alla figlia Penelope (la rivelazione Dakota Johnson, già protagonista di “50 sfumature di grigio”), provocando un’esplosione di nostalgia delirante dalla quale sarà impossibile sfuggire.
“Nel personaggio del produttore musicale c’è un sentimento di nostalgia per l’amore verso Marianne che non ha saputo tenere per sé, per un’epoca di cui è stato protagonista. E lo spirito rivoluzionario c’è ancora, anche se il ‘sogno’ non si è avverato, e mi piace che sia lui l’agente di disturbo dei sentimenti, così come mi piaceva l’idea della forza musicale del rock’n’roll – che fa parte della nostra cultura occidentale e ci caratterizza - e ho pensato non potevano essere altri che i Rolling Stones. La loro è stata una grande esperienza negli anni Sessanta riportata alla Nouvelle Vague da Godard che ha cercato di dialogare con l’esperienza anglosassone”. Un dramma ‘in pieno sole’ (nell’originale già c’era il riferimento al romanzo di Patricia Highsmith e al film di René Clément, 1959, proprio con Delon e Ronet) tra risate e ossessione, segreti e verità, desiderio e rock’n’roll, “A Bigger Splash” è un ritratto sensuale e, in un certo senso travolgente, che deflagra in violenza sotto il sole del Mediterraneo.
“All’origine di ‘A Bigger Splash’ – scrive il regista nelle note - ci sono un triplo desiderio e un duplice rifiuto. StudioCanal mi avvicinò dopo l’uscita di ‘Io sono l’amore’ chiedendomi di dirigere un rifacimento di ‘La piscine’ di Jacques Deray - l’avevo visto in tivù trent’anni fa e non mi aveva colpito particolarmente -. Alla prima richiesta risposi ‘no grazie’. La cosa mi fu riproposta dopo un mese e io dissi nuovamente di no. Quando tornarono da me per una terza volta mi ricordai di uno dei miei motti e cioè che ai desideri altrui si deve venire incontro. ‘La piscina’, che uscì nel ’69 mentre esplodeva la Nouvelle Vague in molti paesi, con un decisivo cambiamento di linguaggio e stili, è un film antitetico a quel momento storico. Ma parlava di desiderio, di quattro persone chiuse in una stanza mentale che è la villa in cui si svolge l’azione. Di temi che mi attraggono: la rinuncia, il rifiuto, la violenza nei rapporti tra le persone”.
Chi non ama il cinema del poco prolifico (4 lungometraggi ma tanti documentari) Guadagnino, nato come cinefilo e critico cinematografico, forse non apprezzerà questo suo lavoro, ma proprio per questo nei suoi film non mancano i riferimenti, qui riconosciuti da lui stesso: “Dal punto di vista formale ‘Viaggio in Italia’ di Roberto Rossellini – dice – ha certamente rappresentato una fonte di ispirazione. Come ‘One plus One’ di Jean-Luc Godard, il film sulla creazione di ‘Simpathy for the Devil’ dei Rolling Stones. Il mio metodo di lavoro è essere molto preparato e molto spericolato, così, con lo sceneggiatore (David Kajganich), abbiamo fondato il film su questo concetto del rock’n’roll e, dopo aver letto la sceneggiatura, i celebri musicisti hanno aderito con entusiasmo, visto che si parla di loro, e dato l’ok per l’uso della loro musica e dei riferimenti alla loro carriera nel film. Tant’è che nella versione internazionale l’ultima aria del ‘Falstaff’ viene sostituita da una cover di Emotional Rescue suggerita proprio da loro”. In Italia uscirà il videoclip.
Sul cast dice che di solito c’è una ‘pigrizia mentale e si cercano i ‘nomi’ che permettono di produrre i film. Tra me e Tilda (Swinton) c’è una conversazione non interrotta, una passione per provare delle cose, di giocare a far qualcosa di completamente diverso. Lei è una cineasta suprema, per cui mi sento privilegiato ad accendere la macchina da presa su di lei. Ralph Fiennes era il mio mito dai tempi di ‘Schindler’s List’ che si è cimentato con ‘Strange Days’ e ‘Fine di una storia’. Erano sempre personaggi tormentati, romantici, contorti, poi l’ho visto nel trailer di ‘Grand Budapest Hotel’, vestito di rosa che slittava quasi sul pavimento, e ho capito che era lui Harry.
L’ho incontrato prima a Los Angeles e poi a New York, dove mi ha chiesto ‘come fai a sapere che sono così’, avevo intuito qualcosa di lui. L’energia di Harry è molto prossima a lui, e ha sentito che poteva fidarsi. Matthias l’avevo scoperto in ‘Bullhead’. E’ molto cinematografico, con un corpo massiccio, perfetto per rappresentare quel concetto di virilità eterosessuale all’interno della dinamica padre-figlio, tipica della competitività sulle donne. Per il ruolo di Penelope avevo pensato ad un’altra attrice che all’ultimo momento non ha potuto e ne incontrai tante altre. Alle fine ho seguito il consiglio di un amico e, in ritardo, incontrai Dakota. Ho visto in lei una sorta di anziana volontà, quasi d’acciaio, dotata di un’intelligenza molto prensile, un volto che non cogli al primo colpo che però mi ha colpito subito, anche se non l’avevo vista recitare (’50 sfumature di grigio’ non era ancora uscito ndr.)”. Nel cast anche la rediviva Aurore Clement (Mireille), Lily McMenamy (Sylvie), Elena Bucci (Clara) e con Corrado Guzzanti nel ruolo del maresciallo dei Carabiniere, che scatenò qualche polemica al Lido. E Guadagnino difende la sua scelta: “Inizialmente ha fatto sempre personaggi ironici, sardonici e qui è in un ruolo chiave: Ammiro profondamente il lavoro di Corrado perché è un vero ‘comedian’, un attore-autore molto timido che ha dato molto”. Però questo epilogo ironico, cambia il tono e dilunga un finale che si voleva più asciutto.
L’incontro col regista si conclude con una chiacchierata sui mestieri (critico e regista). “Ho una fascinazione sul mestiere del critico cinematografico, visto che mi sono laureato con un tesi sul cinema con il professor Giovanni Spagnoletti, per molti anni ho scritto per lui, ho fatto delle recensioni, partecipato a convegni. Ero dall’altra parte, anche al festival di Venezia avevo partecipato come critico. La mia partenza non è stata la scuola di cinema, ma guardando classici e leggendo sui grandi maestri, da Truffaut a Hitchcock. E’ un mestiere fantastico voglio più critici e più critica perché la riflessione su un’opera d’arte ci aiuta a comprendere chi siamo noi, infatti, la critica francese è protagonista. Il film a Venezia è stato accolto in maniera molto positiva, mi ha fatto piacere scoprire qualcosa che non avevo capito, anche le critiche negative, se fatte con intelligenza propositiva, ci aiutano. Il problema è che spesso si fa cachinno, il giudizio per il giudizio, dimenticando che la critica è una categoria della cultura, e usando le parole come se si scorreggiasse. Giudizi come ‘è orrendo’ o ‘è brutto’ non mi interessano. Voglio capire, voglio un pensiero, ma ogni tanto prende il sopravvento lo sfregio”. Infatti, noi possiamo aggiungere che spesso una certa critica lancia dei giudizio generali tra cui non esiste la mezza misura, o i film fanno ‘schifo’ o sono dei ‘capolavori’. Infine, fan dell’horror, Guadagnino si appresta a girare, senza paura, il remake di “Suspiria” ma in un dittico ambientato nel 1977, e la prima parte si intitolerà, forse, ‘Colpa e maternità’. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 26 novembre distribuito da Lucky Red

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