mercoledì 27 aprile 2016

Tutte le sfumature del rap italiano in una commedia sentimentale fra amore, musica e amicizia, "Zeta" di Cosimo Alemà

Una classica commedia sentimental-adolescenziale dalla struttura tradizionale, “Zeta” di Cosimo Alemà (“At the End of the Day” e “La santa”) offre uno spaccato di vita dura e cruda nel mondo del rap italiano fra amore, musica e amicizia. Infatti, se lo spunto e la narrazione non sono originali, il punto di vista è quello della generazione hip-hop italiana di oggi, ma il
riferimento non è “8 Mile” né “Straight Outta Compton” come si potrebbe pensare (ci sono però punti in comune) bensì, per ammissione dello stesso regista, “Il tempo delle mele” che ha visto e amato nella sua adolescenza e a cui ci ha pensato durante la scrittura (con Riccardo Brun e la collaborazione di Paolo Bernardelli), dato che è un po’ il simbolo della generazione anni Ottanta, quando si facevano ancora le festicciole a casa. E la commedia americana ’80 sulle prime amicizie, da “Cocktail” a “Ufficiale e gentiluomo”.
In una metropoli divisa verticalmente tra centro e periferia, ricchi e poveri, famosi e non, Alex/Zeta (Diego Germini/Izi), Gaia (Irene Vetere) e Marco (Jacopo Olmi Antinori) sono tre amici d’infanzia non ancora ventenni col sogno di sfuggire al destino che la società ha in serbo per loro. La vita di strada, il lavoro come pescivendolo al mercato, i casermoni di periferia, la povertà, il piccolo spaccio, il sogno dell’hip hop: questa è la vita per Alex fin quando il sogno non si avvera, e si ritrova catapultato nel mondo del rap a giocarsi la sua partita per dimostrare quanto vale.
Ma gestire il proprio destino non è facile e Alex commette – come tanti coetanei - molti errori, fino a ritrovarsi solo, con un effimero successo e senza punti di riferimento. Allora, dovrà affrontare i suoi demoni, la durezza del mondo che lo circonda e la sua confusione per superare la linea d’ombra, imparando ad amare la sua rabbia e riuscendo nell’impresa più difficile: capire fino in fondo cosa desidera.
“Dopo i miei primi due film, storie quasi senza speranza – dice il regista -, volevo farne uno fondamentalmente sull’amore, e sul mio amore per la musica, visto che i ragazzi alla prima cultura a cui si appassionano è quella musicale, come noi trent’anni fa. Volevo ricostruire quell’atmosfera che ho conosciuto attraverso il mio lavoro quasi trentennale sul campo e, quindi, coniugare cinema e musica”. Infatti, lo stile è quello dei video musicali, di cui Alemà è uno specialista, visto che maggiormente li ha girati per i rapper nostrani più famosi, presenti in partecipazione speciale e/o cameo nel film e presenti in conferenza stampa.
“Il rap è un fenomeno esploso in modo viscerale - prosegue l'autore -, perciò è importante, ma non credo che in Italia sia stagnante, anzi vive un momento di grande esplosione a livello popolare, arriva anche alle orecchie del pubblico che di solito non l’ascolta e il nostro è un progetto per traghettare questa musica verso chi non la conosce. Irene stessa all’inizio delle riprese aveva quasi una certa ostilità, ma si è dovuta ricredere”. “All’inizio ignoravo il genere – confessa Irene Vetere -, non avevo voglia di approfondirlo, ma mi sono sorpresa conoscendo molti artisti qui presenti e non, grazie agli amici, e questo mi ha completato dal punto di vista musicale e ho cominciato ad apprezzarlo, anche perché sono molto giovane”.
“Il film chiaramente si rifà molto alla mia vita reale e artistica – ribatte Izi -, anch’io vengo da un paese della periferia genovese, Cogoleto, e come Alex/Zeta non avevo i soldi neanche per registrare. E come di lui, i ragazzi si innamorano di me per quello che tratto, e non mi piace trattare le cose con superficialità, cerco di far sentire determinate emozioni, e farne annegare le persone dentro. La mia storia è questa, bene o male”. “Ho deciso di girare a Roma – riprende Alemà -, ma non connotarlo con le cose che si conoscono, e chi non è di Roma nemmeno la riconoscerà. Tutto ciò che si vede è un insieme di periferie, tanto che Tor Bella Monaca è anche al di fuori del raccordo anulare; non volevo fosse così connotata,
ma una qualsiasi periferia italiana. Anche quando Alex ha successo ci sono solo interni. Poi, girare in periferia è stato molto più bello e comodo, la gente reagisce in maniera più coinvolta e partecipe, non abbiamo avuto problemi. Per esempio, nella scena in cui Alex va a distruggere l’auto, nel piccolo anfiteatro c’era un centinaio di spettatori in rispettoso silenzio. Il set in periferia viene visto come qualcosa di speciale e in questo modo qualcosa di reale, immagine anche rubate incluse, finiscono nel film”.
“Il rap è il genere musicale con cui i ragazzi si sentono identificati – dichiara Izi -, molti ragazzi vogliono sentirsi rappresentati da altri come loro. Io cerco di essere il più intimo e personale per farli ritrovare nelle mie sensazioni e la fortuna è che venga utilizzato al meglio. Credo che il rap italiano da strada ormai si ascolti in radio e si veda persino in tivù e sono molto contento che per i giovani sia diventato uno dei pochi mezzi per approcciarsi alla musica e all’arte in generale. Anche un dodicenne può prendere carta e penna e scrivere perché ognuno può fare rap, una disciplina molto complessa e al tempo stesso semplice”.
“E una questione di dialogo – ribatte Alemà -, tempo fa l’aspetto testo era secondario, nel rap la parola è di primaria importanza, il dialogo con l’ascoltatore è diretto e importante, e la musica acquista qualcosa di speciale” “I ragazzi si isolano con internet e i social – chiosa Baby K -, anche se può sembrare paradossale, e oggi escono poco; il rap è il veicolo perfetto per comunicare perché ha strofe lunghe, tante parole dentro per comunicare di più e diventa una sorta di sfogo dall’isolamento. Un linguaggio che racconta in modo sincero tante cose che viviamo, non parla solo d’amore come il pop”.
“Il rap utilizza la parola per insistere e resistere – afferma Rancore -, per rompere gli archetipi e i luoghi comuni, è libertà e comunicazione. Una spada che rompe i limiti degli stereotipi e va verso altre parole”. “Per passare da ‘Gomorra La serie” a ‘Lo chiamavano Jeeg Robot’ la strada era breve – dice Salvatore Esposito -, anche se l’ho girato dopo la prima stagione quando ero ancora sconosciuto. Invece, quando mi hanno chiesto di interpretare il rapper Sante ho detto: ‘Io rapper? Siete pazzi’, anche se sono fan del rap napoletano e americano, amo soprattutto Eminem. Purtroppo sono
arrivato ‘in ritardo’ alle riprese e mi dispiace non aver potuto interpretare le canzoni che mi hanno scritto. Dopo ‘Gomorra’ sono arrivate tante proposte ma da sempre ho deciso di sfidare me stesso e ‘Zeta’ per me era una sfida, quella di confrontarmi con un film che può, anzi sarà uno dei capisaldi per i giovani d’oggi e per chi ama le storie d’amore, musica e amicizia. Per me, che vengo da una zona particolare di Napoli, credo che il rap oggi sia un modo per i ragazzi di urlare la loro rabbia e la loro voglia di non essere coinvolti dalla malavita”.
“Quando ho letto la sceneggiatura – chiude Jacopo Olmo Antinori, noto per “Io e te” di Bernardo Bertolucci – mi è subito piaciuto il personaggio di Marco per questa sua assoluta dedizione al sentimento dell’amicizia. Poi ho scoperto e trovato molte cose dentro di lui, anche sul complesso rapporto con Zeta, di manifesta inferiorità creativa rispetto a lui. Questo mi ha permesso di scavare dentro quello che poteva essere Marco, in un certo qual modo romantico, oltre che così fedele e leale nonostante i suoi limiti. Per me è importante l’amicizia e spero che tutto questo venga fuori e faccia riflettere le persone”. In sintesi, un ritmo agile per una storia (stereotipi inclusi) scorrevole fra libertà, disagio e rivalsa, passione e ambizione, riscatto sociale e personale. Il tutto ambientato in una Roma di periferia, quasi totalmente inedita nel nostro cinema per un romanzo di formazione a ritmo di rap, all’inseguimento dei propri sogni e del proprio destino, anzi futuro.
Quindi una commedia musicale dolce-amara destinata agli adolescenti di oggi che, probabilmente, l’apprezzeranno perché parla di loro, della loro musica, dei loro problemi e dei loro sogni attraverso un fenomeno che in Italia, dopo un periodo di scetticismo, ha trovato un suo posto in primo piano (Sanremo incluso), come merita perché è l’unico mezzo di comunicazione, protesta e rivendicazione delle nuove generazioni: il rap è musica ma anche e soprattutto parole che esprimono disagio e insoddisfazione, dolore e rabbia, illusioni e sogni, e racconta storie vere e quotidiane, spesso dure e crude. Un’occasione per conoscere un mondo che ci sta così vicino ma che spesso non vediamo, o nemmeno capiamo.
“Zeta’ vuole essere un film generazionale – scrive, appunto, Alemà nelle note -. Un film in grado di raccontare senza fronzoli i giovani di oggi, in primis, e il mondo del rap in Italia, che con centinaia di migliaia di proseliti è diventato un vero e proprio fenomeno di massa che il cinema non può continuare ad ignorare. ‘Zeta’ vuole essere un racconto reale e metaforico al tempo stesso, un film in grado di parlare del rapporto tra individuo e identità culturale, in un mondo che sempre più tende a creare, nel bene e nel male, occasioni di contaminazione, di confusione e crisi identitaria, soprattutto quando si parla di giovani. ‘Zeta’ è pensato come un romanzo di
formazione, come un racconto non solo del reale, ma calato indissolubilmente nel reale, perché solo con esso è possibile scoprire la dimensione intima e profondamente umana della realtà stessa e anche quella di tematiche urgenti e attuali della società odierna. Per questo motivo tengo a mente costantemente l’esempio eccellente del cult-movie ‘L’odio’ di Mathieu Kassovitz, punto di incontro tra genere, dramma e divertimento, il tutto calato in una dimensione di realismo e di credibilità fuori dal comune, condivisibile in ogni angolo del mondo. Con ‘Zeta’ ho intenzione di porre particolare attenzione proprio alla ‘street credibility’ dei personaggi, dei linguaggi, delle situazioni e delle atmosfere descritte”.
Assecondano gli affiatati ed efficaci protagonisti nel cast Francesco Siciliano (Giancarlo Feo), Aldo Vinci (padre di Alex), Angelica Granato Renzi (Tina), Christian Sciuba, in arte Fatt Mac (Fatt), Marti Chishimba (Bola), Yaser Mohamed Merisi (Mauri), Eradis Josende Oberto (Skye), Indri Quytesa Shiroka (Dejan), Sebastian Gavasso (Luca Boni), Manuela Morabito (madre di Gaia), Andrealuna Posocco (Chiara), Mia Benedetta Barracchia (Marisa) e con la partecipazione straordinaria di Massimiliano Gallo (Massimiliano De Simone), Gianluca Di Gennaro (Gianluca Moccia), Edy Angelillo (Maria Godano) e Fedez, J-Ax, Salmo, Clementino, Ensi, Briga, Lowlow, Tormento, Shade, Noyz Narcos, Shablo, Metal Carter, Rocco Hunt. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 28 aprile distribuito da Koch Media

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