giovedì 16 giugno 2016

"La casa delle estati lontane", opera prima della regista Shirel Amitali, un dramma sui toni della commedia surreale su tre sorelle divise e al tempo stesso riunite dai ricordi dell'adolescenza

Tre sorelle riunite e al tempo stesso divise dai ricordi ora nostalgici ora fiabeschi ora poetici della loro infanzia, allontanate dalla casa dei sogni, dalla vita. C’è chi vuole dimenticare tutto,
chi invece è fortemente attaccata a quella casa dei ricordi spensierati e felici dell’adolescenza, e chi è in bilico tra le due, anzi quasi apparentemente indifferente, perché la più fragile. Un dramma sui toni della commedia surreale sulle contraddizioni di Israele e dei rapporti familiari nell’opera prima di Shirel Amitai, “La casa delle estati lontane” (Rendez-vous à Atlit), con un trio di attrici sorprendenti come Géraldine Nakache (“Gli infedeli”), Yael Abecassis (da “Kadosh” a “Vai e vivrai” e “Ballo a tre passi”) e Judith Chemla.
Ma nell’ennesima, ultima, estate da adulte e reduci della dura e frenetica esistenza a Parigi, le tre sorelle finiranno per superare differenze e conflitti per ritrovare se stesse, condividere ricordi e illusioni e rinnovare il loro rapporti. E saranno proprio i ‘fantasmi’ dei genitori ad aiutarle a decidere che fare di quella ‘magica’ casa delle estati passate in Israele, lontana (non troppo) dalla metropoli e dalla guerra. Ma sarà il tragico assassinio di Rabin a riportarle alla realtà e ad infrangere ancora una volta la pace, non fra loro ma nell’intero paese e nel mondo.
Israele, 1995. La pace è finalmente tangibile. Nella piccola città di Atlit, Cali ritrova le sue due sorelle, Darel e Asia, per vendere la casa ereditata dai genitori, immersa nel verde e a due passi dal mare. Tra momenti di complicità e incontenibili risate, riaffiorano i dubbi e gli antichi dissapori, ma appaiono anche strani convitati che seminano un'allegra confusione. Il 4 novembre il processo di pace viene annientato, ma le tre sorelle rifiutano di abbandonare la speranza. Dall’impianto teatrale, “La casa delle estati lontane” è sostenuto abilmente dai dialoghi e dall’interpretazioni delle attrici, assecondate da Arsinée Khanjian e Pippo Delbono nel ruolo dei genitori scomparsi, rispettivamente Mona e Zack. La regista franco-anglo-ebrea, già assistente di
Jacques Rivette e di Arnaud Desplechin tra gli altri, alla sua prima regia dopo la sceneggiatura di “Questioni di punti di vista”, tenta la strada della metafora attraverso la vicenda privata e la memoria di vicende quotidiane di una famiglia ebrea francese. “Il punto di partenza – dichiara Amitail - è l'idea che la pace può avere inizio solo quando si conosce e si occupa il posto giusto. Avere dei fratelli o delle sorelle è una ricchezza: può essere
un'esperienza divertente e leggera, ma può anche capitare di vivere atti di violenza e di sentirsi feriti. A volte è una guerra, una guerra di luoghi. Tra fratelli o sorelle si è costretti a condividere, ma i primi conflitti iniziano con la frase: ‘E’ mio!’. Un'eredità solleva una serie di quesiti sul concetto di spazio perché probabilmente è l'ultima cosa che si divide. Quando si arriva a contemplare anche l'idea del ‘è nostro’ e del ‘è tuo’, la pace diventa possibile. E poi tutto è animato dai nostri demoni personali ai quali forse accordiamo un posto eccessivo”.
“La storia delle tre sorelle – aggiunge la regista -, del loro rispettivo posto, dei loro conflitti, possono effettivamente estendersi e portarci a parlare di Israele e della Palestina. Ogni nazione ha bisogno di avere un suo territorio delimitato da confini chiari e precisi. Anche all'interno di una famiglia bisogna sapere porre dei limiti. Lo spazio chiuso mi interessava anche perché avevo voglia di raccontare l'incontro a distanza di anni di queste tre sorelle in un luogo e un tempo unici senza che si sappia troppo delle loro vite. Quello che avviene in quella decina di giorni avviene soltanto lì”.
Un’opera prima che può sembrare estremamente simbolica (facilmente secondo qualcuno), ma lo è con delicatezza, quasi con il tocco leggero e bonario dei ‘fantasmi’ che popolano quella casa, attraverso sentimenti mai espressi fino in fondo, di illusioni infrante, di barriere invisibili. L’inquadratura iniziale dell’asino ricorda, non a caso. “Au hasard Balthazar” di Robert Bresson (1966), storia di un asino ‘martire’ nel mondo degli umani, e sicuramente è un omaggio al grande maestro.
Nella pellicola recitano anche Makram J. Khoury (Mafous), Pini Tavgar (Dan), Yossi Marshak (Amos), Mohamad Hamdani (Ziad), Hanna Reiber (a donna della visita), Eithan Lev (l'uomo della visita), Gilles Bendavid (il vicino), ed Eran Bohem (il poliziotto). Il film, presentato in anteprima al Festival dei Diritti Umani di Milano, è consigliato dalla Fice - Federazione Italiana Cinema d’Essai. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 16 giugno distribuito da Parthénos

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