mercoledì 13 luglio 2016
Tanto atteso quanto deludente, ecco "Cell" di Tod "Kip" Williams, dal romanzo di Stephen King, con John Cusack e Samuel L. Jackson
Tanto atteso e altrettanto deludente. Doveva essere un horror epocale, inquietante e apocalittico, però “Cell” diretto da Tod “Kip” Williams – chiamato però in extremis a sostituire un collega più noto -, infatti, parte da uno spunto realistico e possibile – nel frattempo sfruttato persino nell’ultimo James Bond – ma non riesce a coinvolgere lo spettatore perché suspense e tensione latitano spesso annullate da luoghi comuni e da situazioni prevedibili.
E, purtroppo, la pellicola si rivela anche convenzionale nella forma e nello stile, nonostante porti la firma di Stephen King, autore del romanzo da cui è ispirato e cosceneggiatore con Adam Alleca.
A Boston la vita sembra scorrere serena finché, all’improvviso, tutti i cellulari iniziano a squillare e un misterioso impulso si impossessa della volontà di chi risponde o chiama al telefono, trasformando le persone in mostruose creature assetate di sangue. Da Londra a Roma, da Sydney a Rio (questo si sa dal libro, nel film si intuisce) solo in pochi restano misteriosamente immuni alla più grande ‘epidemia’ tecnologica mai esistita.
Tra questi, il disegnatore Clayd Riddell (John Cusack anche produttore, pressoché irriconoscibile), che mentre chiama dall’aeroporto la moglie Sharon, da cui è separato - per comunicarle l’inaspettata vendita dei diritti del suo fumetto per un videogame e, per l’occasione, la voglia di tornare a da lei e dal figlio Johnny -, la linea si interrompe.
L’artista è costretto ad allearsi con il conducente della metro Tom McCourt (Samuel L. Jackson) e, insieme, riescono a fuggire dalla città verso la periferia attraverso il tunnel della metropolitana. Ma, arrivati nell’appartamento di Clay, i due incrociano la diciassettenne Alice (Isabelle Fuhrman, da “Orphan” a “Hunger Games”), anche lei rimasta sola. Mentre la città è ormai presa d’assalto dalle creature assassine, il trio decide di dirigersi verso nord alla ricerca della famiglia di Clay ma… i pericoli e gli imprevisti sono tanti e ovunque.
“Ci sono sei bilioni di utenti di cellulari in tutto il mondo – dice il regista, che ha all’attivo “Paranormal Activity 2” -, quasi l’80% della popolazione globale. Il nostro rapporto con questi dispositivi è onnicomprensivo e incredibilmente intimo; hanno cambiato il modo in cui ci rapportiamo allo spazio, al tempo e alla comunità, addirittura alle nostre stesse esistenze. Ci hanno cambiato”.
Infatti, è questo il dato inquietante che ci torna in mente quando, soprattutto sulla metropolitana, scopriamo di essere gli unici senza un cellulare o phone o tablet che sia, oppure siamo uno di loro. E dove, nessuno guarda più di fronte a sé o in faccia qualcuno, ma sono (o siamo) tutti concentrati sul piccolo schermo da cui non tolgono lo sguardo né quando salgono né quando scendono.
Il romanzo è ovviamente una metafora attraverso un’apocalisse possibile, perché basta un genio cibernetico, o un hacker fantasioso per realizzare un attentato di massa – da cui non sono immuni né istituzioni pubbliche o private -, anche perché se la rete è fuori uso o ‘contagiata’ dai virus si resta isolati da tutto e da tutti, anche dalla possibilità di chiedere aiuto. Tanto che persino i serial americani affrontano questi inquietanti temi, tipo il blocco delle comunicazioni col pronto soccorso e con gli ospedali, per non parlare di quelli più eclatante che riguardano il Pentagono, forze dell’ordine o addirittura i servizi segreti.
Però “Cell” procede, fra più bassi che alti, senza coinvolgere né sconvolgere, nonostante le buone intenzioni di Williams che confessa le sue intenzioni: “Cell parla dell’annichilimento dell’individuo, la distruzione di ogni essere umano, di ogni ‘se stesso’ sul pianeta. E’ guerra tra la collettività e l’individualismo, ma quello che lo rende interessante è che si tratta di qualcosa che va oltre la guerra, è un argomento esistenziale. Il film non rende le cose facili, nulla è scontato o risolto: pone domande e il pubblico si sporge dalle poltrone per dare risposte e, anche se distratto, diventa aperto a vivere un’esperienza spaventosa ed elettrizzante, di cui continuerà a discutere una volta uscito dal cinema e ironicamente anche su Facebook o Twitter, con dei sms e proprio sui cellulari”.
Peccato che tutto ciò sia quello che lui si augura, ma che sullo schermo non traspare, se non velatamente sullo sfondo e magari soltanto a chi ha già riflettuto seriamente all’argomento. E dichiara persino di essersi ispirato ai metodi visivi di Kathryn Bigelow e dei fratelli Dardenne.
Oltre il trio protagonista – ce la mette tutta ma non riesce a dare spessore ai personaggi originali -, ci sono il grande, vecchio, Stacy Keach nel, piccolo ma intenso, ruolo del preside Charles Ardai e il giovanissimo Owen Teague in quello dello studente sopravvissuto, Jordan.
José de Arcangelo
(1 ½ stelle su 5)
Nelle sale italiane dal 13 luglio distribuito da Notorious Pictures
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento