giovedì 7 luglio 2016

Un suggestivo viaggio esistenziale, tra passato e presente, musica e 'ayaguasca', dall'Argentina alla foresta amazzonica in "Toxic Jungle" di Gianfranco Quattrini

Arriva nei cinema italiani un suggestivo viaggio a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta in una storia – inventata ma credibile e coinvolgente – attraverso la ricostruzione della giovinezza di
due mitici fratelli del rock argentino: “Toxic Jungle” (Planta Madre) di Gianfranco Quattrini, nato in Perù ma cresciuto fra Stati Uniti e Argentina, e co-prodotto da Rosanna Seregni e Sandro Frezza, con i paesi sudamericani.
Ambientato tra Argentina e Perù, questa sorta di film nel film, racconta la storia, dalla nascita alla morte e al ritorno del sopravvissuto, dei Fratelli Santoro, mitica band di pionieri del rock argentino nella psichedelica onda della fine degli anni ’60 e i primi ’70. Dall’educazione musicale dei piccoli fratelli Diamond e Nicky, al primo singolo trasmesso in FM, al successo del primo disco, tra concerti, ragazze e prime esperienze psicotrope. Fino al richiamo
della magica Ayahuasca (in quechua: anima + liana), la ‘buona medicina’ da prendere nel folto sciamanico della Foresta Amazzonica. E alla preparazione del secondo disco rimasto incompiuto. Il tutto ritorna in mente (e lo scopriamo pian piano attraverso i flashback) e continua a perseguitare Diamond, che quarant’anni dopo torna a Iquitos per intraprendere quel magico viaggio nella foresta che Nicky sognava. E liberare, in questo modo, il fantasma di una musica intrappolata nel cuore.
Un dramma in musica che, tra mito e biopic immaginario, passato e presente, ricostruisce le atmosfere, la voglia di libertà e/o di fuga, di quegli anni mai dimenticati per chi li ha vissuto e che incuriosiscono i giovani registi di oggi – spesso nati nel decennio successivo - che, nel bene e nel male, rievocano la giovinezza dei genitori alla ricerca delle proprie radici. Ma non solo. “Sono nato in Perù, ma poi sono emigrato negli Stati Uniti e, infine, in Argentina – dice l’autore di origini italiane alla conferenza stampa romana -; da adulto volevo capire la mia identità, così sono tornato a vivere dove ero nato, per conoscere di più, oltre la città, la gente e il modo di
pensare. Infatti, ho scoperto cose particolari e altri simili alla mentalità argentina, paese dove ho studiato e sono diventato cineasta”. Infatti, anche nel film – sceneggiato dal regista con Leonel D’Agostino e Lucia Puenzo - si riflette questa ricerca esistenziale, prima rispolverando il mito di questi The Doors sudamericani, poi in cerca dello sciamano e, infine, di quell’erba – che non è una droga – apparentemente magica che aiuta ad accettare i propri sbagli e fare i conti col passato.
“L’idea del film è mia – conclude il regista -, ma il progetto è piaciuto a Luis Puenzo (il regista argentino candidato all’Oscar e Palma d’oro a Cannes per ‘La storia ufficiale’, che l’ha prodotto con i figli Esteban e Lucia e ndr.), ma la sceneggiatura l’ho modificata persino in fase di montaggio. Ero andato a Iquitos, dove è nata mia nonna, e lì ho scoperto questa strana particolarità, arriva gente da ogni parte del mondo (soprattutto dal dagli Stati Uniti e dal nord
Europa precisa la produttrice Seregni) per vivere l’esperienza del rito che ruota attorno all’Ayahuasca, una pianta sacra chiamata anche la ‘liana dei morti’. Durante la cerimonia i canti dello sciamano rappresentano il veicolo per compiere un viaggio di esplorazione interiore che cancella i limiti tra realtà e allucinazione, tra la vita e la morte. ‘Toxic Jungle’ racconta la storia di due fratelli, legati per sempre dalla musica. Costantemente alla ricerca del loro destino e della guarigione nel cuore della Selva Amazzonica”.
E poi racconta la sua esperienza: “E’ una miscela di erbe, la medicina ancestrale della zona. Dopo averla bevuta perdi il senso del tempo, ti gira la testa, espelli (letteralmente) tutto quello che hai dentro, devi aggrapparti alla canzone, alla litania dello sciamano. E’ un’esperienza psicotropa che provoca un’apertura mentale e ti porta a spandere la conoscenza; l’ho fatta tante volte, ma oggi in Perù non è più comune, la gente ne ha addirittura paura. Ho pensato che il film potesse
avvicinare il pubblico ad un’esperienza piacevole perché, se ti senti male e il tuo corpo si perde, è come trovarsi davanti uno specchio in cui vedi tutti gli errori che hai fatto. E’ come pulire l’anima e liberare la coscienza. Una pulizia dello spirito e del corpo, un cammino da percorrere per conoscere più di te stesso, e non è un additivo. Ovviamente non tutti i ‘curanderos’ sono affidabili, ma è una pianta legale, però i rischi stanno in te stesso, perché non dovresti né mangiare né bere alcolici o ingerire droghe o altre medicine prima del ‘rito’.”
“Filmare in Amazzonia (negli stessi luoghi dove Herzog girò “Fitzcarraldo” ndr.) non è a basso costo – conclude – e questa è una ragione della coproduzione, perciò la parte italiana è entrata soprattutto nella post produzione. Il film è uscito in Argentina nel 2014 e l’anno scorso in Perù”. Il secondo lungometraggio di Quattrini – dopo “Chicha tu madre” (2006) presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia – riconferma il gusto per le ‘indagini’ esistenziali del regista che, attraverso sentimenti ed emozioni, rendono anche questo universale. Senza dimenticare la realtà che circonda i personaggi, e qui incroceranno trafficanti e musicisti di oggi (cumbia amazzonica).
Nel cast Robertino Granados (Diamond Santoro), Manuel Fanego (Nicky Santoro), Emiliano Carrazone (Diamond giovane), Camila Perissè (Pierina, l’ex ragazza di Nicky), Rafael Ferro (Pato), Santiago Pedrero (Fefè), Lucho Caceres (Sanabria), Manolo Rojas (Sandor) e Andrea Prodan (Luciano), in un ruolo omaggio al fratello Luca, musicista morto proprio in Argentina. Le musiche sono di Ariel Minimal, Marcelo Chaves, Lito Castro & Agustin Rivas Vasquez.José de Arcangelo (3 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 7 luglio distribuito da Istituto Luce - Cinecittà in 25 copie

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