mercoledì 14 settembre 2016

L'assurda e tragica odissea di un vecchio disoccupato nell'Inghilterra contemporanea raccontata da Ken Loach in "Io, Daniel Blake", Palma d'Oro a Cannes

Cronaca di una morte annunciata (fisica del protagonista e metaforica del ‘cittadino’), voluta dallo Stato, anzi dagli Stati, soprattutto per chi resta senza lavoro, magari dopo quarant’anni di attività e nel rispetto dei doveri ma senza più ‘diritti’,
addirittura malato di cuore e in attesa di pensione, oppure giovane genitore, disoccupato e senza una casa, come i personaggi del film. Soprattutto in Occidente, nella nostra stessa Europa dove cambiano paese, regole e leggi ma il risultato è sempre lo stesso: umiliazioni, indifferenza e negazione di un’esistenza degna di questo nome. Accade anche da noi, dove non ci sono nemmeno i sussidi di disoccupazione e si annunciano continue riprese.
Questo è il tema centrale di “Io, Daniel Blake”, ultima fatica di Ken Loach – a Roma per presentare il film -, reduce dell’acclamata Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes e Premio del pubblico UBS al Festival di Locarno. “Bisogna riappropriarsi del termine ‘cittadino’ – esordisce l’infaticabile regista inglese alla conferenza stampa romana -, lo Stato, anzi tutti gli Stati europei non fanno più gli interessi delle persone ma del capitale. E lo scopo del capitale è rendere vulnerabili i lavoratori e, se sei in difficoltà, farti credere che è colpa tua – il cv non è adeguato, sei in ritardo di un
minuto all’appuntamento, non riesci a compilare il modulo sul web e vieni addirittura multato -, ma in realtà è che i posti di lavoro non ci sono, gli altri sono piuttosto precari. E la tua non è una vita dignitosa e il salario non è adeguato”. Sceneggiato col fedele Paul Laverty, il film narra la vicenda del sessantenne Daniel Blake (Dave Johns) di New Castle che, da sempre, fa il falegname. Dopo un infarto, per la prima volta nella sua vita, ha bisogno dell’aiuto dello Stato. Daniel nell’andirivieni negli uffici di assistenza sociale e collocamento incontra Katie (Hayley Squires), madre single con due bambini piccoli, Daisy (Briana Shann) e Dylan (Dylan McKiernan).
Per Katie, l’unica possibilità di sfuggire alla vita in una camera di un ostello londinese per senzatetto, è quella di accettare un appartamento in una città di periferia che non conosce, a 500 km da Londra. Daniel e Katie si trovano in una terra di nessuno, prigionieri del soffocante sistema burocratico che caratterizza il sistema sociale inglese (non solo). Tutto conferma la retorica tipica dell’Inghilterra contemporanea, che vuole la popolazione divisa in chi lavora duro e chi sfrutta i sussidi statali pur di non lavorare.
“La precarietà – riprende il pluripremiato regista – è un valore inestimabile per il capitale, un rubinetto che non si deve chiudere e, questo, per la classe lavoratrice è un disastro. In qualunque comunità i lavoratori si sostengono l’un l’altro, si organizzano campagne per i senzatetto, perché i disabili e gli anziani abbiano le cure mediche pubbliche, per le scuole, associazioni di beneficenza. Ci sono segni di grande solidarietà in Gran Bretagna. Ma, in realtà non possiamo continuare a vivere in una situazione di perenne precarietà, dove i disabili non possono nemmeno avere ed usare gli attrezzi necessari. Il tessuto sociale è terribilmente mutato e, sorprendentemente, un motivo di speranza lo offre il social-democrativo James Corbyn che è riuscito a farsi eleggere, nonostante l’ala destra del suo partito la pensasse diversamente; in realtà ha ottenuto il 60% dei voti e il partito ha ora un milione di iscritti. E sono convinto che se il partito lo rieleggesse un cambiamento sarebbe possibile”.
“Il governo sa perfettamente quello che fa – prosegue l’autore di “Il vento che accarezza l’erba” e “Dalla parte degli angeli” -, architettato ad hoc per farlo, sa benissimo che le persone non riusciranno a seguire le istruzioni e avranno tante di quelle ‘sanzioni’ che non raggiungeranno i punti desiderati e, in questo modo, punire le parti più vulnerabili della società. Nelle sequenze ambientate nel centro di collocamento, dietro le scrivanie sono quasi tutti ex dipendenti di quelle strutture – tranne due o tre attrici - che hanno lasciato perché non sopportavano il trattamento troppo crudele riservato alle persone (un’impiegata viene rimproverata perché aiuta Daniel a compilare un modulo ndr.), tanto che ci raccontavano anche loro delle storie analoghe a quelle descritte nel film”.
E su di sé, aggiunge: “Stranamente mi sento meno antiquato che negli ultimi cinquant’anni. Il nuovo movimento di sinistra in Gran Bretagna è stato fondato da giovani ed è pieno di giovani, un fenomeno sempre più in crescendo perché seguito dai social e dai cellulari, e questo mi carica di nuova energia. Non siamo ancora usciti dall’Unione Europea – spiega -, c’è una sorta di guerra fasulla in cui tutti aspettano che accada qualcosa, ma non succede niente; per il momento c’è stata una perdita del valore della sterlina e un aumento delle esportazioni. Ma sarà una svolta soprattutto economica perché molte imprese straniere
se ne andranno a favore di altre aziende europee, il costo del lavoro e i salari diminuiranno. L’UE è un’entità economica, non a favore dei lavoratori, e come tale promuove imprese multinazionali e la privatizzazione, il che rende ostile la sinistra. Ma se non riusciamo a pianificare la pace, figuriamoci l’economia. Chi era contrario alla Brexit a sinistra lo era per stabilire alleanze, non per promuovere le proprie idee politiche. La maggior parte di quelli che hanno votato a favore della Brexit vengono dalla middle class di destra, ma un’altra parte proveniva dalla classe dei lavoratori, come protesta perché pensa che ormai nessuno si occupi di lei. Comunque, la maggior parte proviene dalle classi meno abbienti e dalla destra”.
Sul cinema oggi? “Non c’è mai carenza di talento nell’esperienza cinematografica – dice -, incontro giovani cineasti che condividono le idee e la voglia di fare film, però la decisione di farli non dipende da loro, viene fatta dal commerciante che ha una sua visione del mondo e vuole rispettarla. Noi abbiamo imparato dalla tivù, all’epoca la classe dirigente era sicura di sé e ci lasciava fare i sovversivi. Adesso si sente minacciata, insicura, ha ridotto le regole ed è raro trovare chi produca il film. Ci sono grandi cineasti che non riescono a fare film”. Premi e riconoscimenti servono a qualcosa?
Il riconoscimento a Cannes per ‘Il vento che accarezza l’erba’ – afferma -, un film che ha reso in modo chiaro l’atteggiamento imperialista, colonialista, dell’Inghilterra nei confronti dell’Irlanda, ha mandato su tutte le furie l’establishment britannico su un fatto noto a tutti, ma che è stato riconosciuta grazie alla Palma d’oro. Infatti, dopo il premio a Cannes, stavolta sarà difficile liquidare la realtà mostrata nel film. Il premio aiuta perché offre la possibilità di essere presenti ed è facile anche trovare una distribuzione”.
Lo spunto del film è “nato dall’indignazione e dalla rabbia – conclude Loch – che abbiamo (con Paul Laverty ndr.) provato quando ci siamo resi conto che abbiamo permesso che questo accadesse. Lo stimolo è stata la solidarietà e il contatto con gli altri e le diverse realtà dei paesi europei. E non bisogna dimenticare che un film è un’opera collettiva che va dalla scrittura al set, dagli attori alla troupe, per far emergere una verità fatta di luce e di montaggio. E’ il piacere e la gioia di fare cinema che ci guida”.
E lui riesce a raccontarla ancora una volta con disarmante sincerità e passione, senza retorica né falso moralismo, indignandoci e commuovendoci con una storia quotidiana, nota a tutti, ma che spesso non tutti vogliamo (né vogliono) vedere. Merito anche del direttore della fotografia Robbie Ryan, dei tecnici del suono Ray Beckett e Kevin Brazier, della costumista Joanne Slater, del montatore Jonathan Morris e del musicista George Fenton. Nel cast le impiegate Kate Rutter (Ann) e Sharon Percy (Sheila), Kema Sikazwe (China). José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 21 ottobre distribuito da Cinema di Valerio De Paolis

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