giovedì 29 settembre 2016

Nelle sale italiane il film sorpresa delle Giornate degli Autori alle 73.a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia: "Indivisibili" del visionario Edoardo De Angelis

Ecco il film sorpresa del recente Festival di Venezia (Giornate degli Autori), Premio Francesco Pasinetti del SNGCI (miglior film italiano), presentato anche a Toronto e al BFI London Film Festival: “Indivisibili” di Edoardo De Angelis con le gemelle (non siamesi) rivelazione Angela e Marianna Fontana. La storia di Viola (Angela) e Dasy (Marianna) due gemelle siamesi che cantano a matrimoni, comunioni e feste e, grazie alle loro esibizioni, danno da vivere a tutta la famiglia. Tutto fila liscio finché non scoprono -dal professor Fasano (un inedito Peppe Servillo) che opera in Svizzera – di potersi dividere. Infatti il loro sogno è la ‘normalità’: un gelato, viaggiare, ballare, bere vino senza temere che l’altra si ubriachi… fare l’amore, “Perché sono femmina” come dice una di loro.
“A Venezia, a Toronto, a Napoli ha provocato nel pubblico le medesime emozioni - esordisce De Angelis alla presentazione romana alla Casa del Cinema – perché racconta una storia di realtà nostrana che diventa universale”. “Hanno apprezzato il film – ribatte Marianna – e ci avvicinavano per complimentarsi perché emozionati, è andata benissimo. I due personaggi ci hanno aiutato a crescere e insegnato a vivere, a capire l’importanza della libertà della persona, ma restare unite, camminare con tre gambe non è stato facile”. “Siamo gemelle ma l’essere siamesi – aggiunge Angela -, fare ogni cosa con un altro a fianco fa male però ti fa crescere, scoprire l’importanza dell’indipendenza. Noi abbiamo delle affinità mentali molto forti, lavorare attaccate insieme è una cosa molto particolare. Abbiamo la nostra indipendenza ma dividerla con un altro è complicato, il pensiero della divisione c’è sempre, ed è sofferenza”. “Viviamo insieme molto bene – precisa Marianna -, perché oltre che gemelle siamo amiche. Grazie al film abbiamo avuto tantissime emozioni, siamo cresciute tantissimo perché si tratta di vivere ed essere accettate. Abbiamo capito molte cose, superato dei limiti, sbloccato molti lati”.
“E’ un film sulla separazione e sul dolore che comporta – riprende De Angelis -. Ho ragionato sull’idea che a volte, per crescere, bisogna farsi del male, rinunciare ad un pezzo di sé stessi. Ho cercato un’immagine che rappresentasse al meglio questo concetto e l’ho trovata: due gemelle siamesi appena maggiorenni che scoprono di potersi dividere. Due ragazze attaccate per il bacino che, guardate singolarmente, dovevano essere belle per permettermi di realizzare quell’equilibrio tra attrazione e repulsione che è la linea guida estetica di ogni inquadratura che compongo”.
“Ho fatto il giornalista – afferma lo sceneggiatore (col regista e Barbara Petronio) Nicola Guaglianone, autore anche del soggetto – , avevo seguito per due settimane il caso di due gemelle siamesi e ho scoperto che erano abituate a dire ‘noi’ anziché io. Non hanno momenti di intimità e, divise, hanno la possibilità di dire ‘io’. Avevo pensato di far morire una delle due, perché non si rassegnano alla decisione di altri. Viola si ribella al proprio destino, deve vincere ad ogni costo. Al di là dell’arte l’importante è che le loro reazioni emozionano”.
“Volevo dar loro il premio della libertà di scelta, visto che per ottenere la libertà si paga sempre un prezzo molto caro, la vita è uno slancio di lotta, sofferenza e fatica. Loro si conquistano la possibilità per riuscire ad avere un’identità – spiega il visionario autore di “Mozzarella Stories” e “Perez” -; cercano di abbandonare la ribalta e si costruiscono la loro libertà”.
Sulle diciottenni Fontane, cantanti anche nella vita, dichiara: “Al primo provino ho chiesto loro di scegliersi il ruolo, sono molto legate, inseparabili ma non fisicamente come le protagoniste. Sono affascinato dal cinema che può far succedere delle cose ma non è necessario forzarle, ne scaturisce una sorta di magia che emoziona. Loro hanno dimostrato di essere delle vere professionisti, perché non sei mai sicuro delle cose che accadono sul set, e l’ hanno garantito con la loro rettitudine al lavoro. Sono state tre mesi, tutti i giorni, legate, abbattute da un’intimità forzata che non avevano mai vissuto, hanno sopportato cinque ore di trucco, unite da un silicone chirurgico, girato sempre in sequenza, affrontato lo stress fisico, e nonostante tutto hanno dato un’interpretazione naturale al di là della traccia della sceneggiatura e delle indicazioni di regia. Personalmente ho ammirato queste due ragazze, eccellenti artiste. So che addirittura hanno scritto dei diari segreti”.
“Studiamo al conservatorio – dice Marianna – perché bisogna sempre avere una base”. Belle, sorprendentemente brave, le esordienti attrici gemelle esprimono due caratteri opposti ma complementari, ‘vivono’ i loro personaggi offrendoci emozioni e sentimenti che, spesso, nemmeno i professionisti riescono ad esprimere, attorniate da comprimari di tutto rispetto. Da Antonia Truppo (Titti, la madre) a Massimiliano Rossi (Peppe, il padre); da Tony Laudadio (Nunzio) a Gianfranco Gallo (Don Salvatore); da Marco Mario De Notaris (zio Nando) a Gaetano Bruno (Marco Ferreri, appunto).
E sui personaggi, Gaglianone afferma: “Volevamo evitare di dividerli in buoni e cattivi, l’essere umano ha delle debolezze, non bisogna giudicare ma amare i personaggi, mio padre è calabrese, mia madre napoletana, e c’è sempre il ricatto morale fino a quando non hai 18 anni, finché stai a casa. I genitori bisogna raccontarli senza giudicarli. Il presupposto è surreale, due siamesi che cantano neomelodico; quello che ha fatto Edoardo è renderle molto realistiche, vere. Un genitore sbaglia, può essere crudele, ma l’intenzione è positiva. E’ surreale ma sullo sfondo c’è una grande realtà”. “Da ‘Mozzarella Stories’ a qui mi sono molto focalizzato sul linguaggio: il primo film era molto lineare – spiega De Angelis -, ‘Perez’ aveva un protagonista unico, e delineavo la relazione conflittuale fra uomo e ambiente, fra i grattacieli e l’architettura; lavoravo su primo piano e controcampo. Stavolta anche la storia della famiglia è molto ampia rispetto alla sceneggiatura. Credo che ognuno di noi si sia sentito sul set il terzo gemello come me, e tendiamo al piano sequenza sempre più lungo per evitare i tagli. E’ la chiave che utilizzo per rispettare il tempo, una tecnica sofisticata in cui la macchina da presa si eclissa, si avvicina di più alla vita. Come quando vedo una persona sott’occhio, se decido di fermarmi arrivo in ritardo. Voglio esprimere l’emozione in maniera più diretta, perché il filtro della mdp scompaia quasi”.
“Il mio riferimento erano le gemelle siamesi di ‘Freaks’ (il capolavoro di Tod Browning, 1932 ndr.) – prosegue -, Violet e Daisy Hilton, cantanti e ballerine attaccate come loro, erano belle ragazze e a loro modo dei mostri, quello che provocavano era vertigine e desiderio, attrazione e repulsione al tempo stesso. La scommessa della sceneggiatura era un racconto realista che doveva pulsare della vita di queste due e il desiderio di superarla. Il racconto di Gaglianone è molto suggestivo, così come pensavo che l’immagine delle Hilton fosse un riflesso del mondo. A volte una foto colpisce di più che dal vivo”. Ma i riferimenti sono anche altri maestri, come Marco Ferreri che non è soltanto il nome del personaggio interpretato da Gaetano Bruno, ma anche nella visionarietà che viene fuori dallo scenario quasi apocalittico della spiaggia e ricorda “Ciao maschio”, oppure il ‘fenomeno da baraccone’ che rimanda non solo al Fellini de ‘I Clowns’. Sono citazioni, forse inconsce, che arricchiscono un film di per sé originale e importante, metafora della società contemporanea ma anche della difficoltà della ricerca di un’identità in un mondo tanto incerto quanto ingiusto, tanto crudele quanto intollerante. Persino di quello che vorremmo essere ma ci viene negato dalla famiglia e dalla società.
“La magia della persona – riprende De Angelis -, il modo per individuare sia la fuga individuale sia dalla desolazione. Poi ci sono le credenze popolari, si dice che due indivisibili portano bene, un po’ come la gobba, un’implicazione che diventa più forte in un luogo dove manca la speranza. Io lavoro su questo deficit che fornisce due icone. Ad un certo momento la religione sembra dare una risposta a due che non ce l’hanno. La religione vede la loro innocenza come un miracolo unico e protegge questa purezza. La linea guida estetica del film è in bilico fra terreno e spirituale, a volte quando è sbilanciato a me crea emozione. La frequentazione assidua di questo bilico mi ha portato ancora una volta a Castelvolturno. C’ero già stato, è vero, infatti questo film comincia dove finiva il precedente, sulla riva destra del Volturno. Quel territorio è un simulacro straziato di una bellezza passata, materiale perfetto per costruire la gabbia dalla quale i miei uccellini vogliono disperatamente scappare”.
“Mi affascina il mondo femminile – conclude il regista -, ma ogni volta mi devo innamorare dell’essere umano, della sua sincerità, del suo carisma, della sua umanità”. Quindi un’opera che meraviglia e commuove, un cinema che tocca le corde del cuore e della mente, quindi emoziona e fa riflettere. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 29 settembre distribuito da Medusa in oltre 150 copie

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