mercoledì 5 ottobre 2016

Un mistero lungo oltre trent'anni perché "La verità sta in cielo", il caso Emanuela Orlandi secondo il film-inchiesta di Roberto Faenza

Ad oltre trent’anni di distanza, Roberto Faenza porta sul grande schermo la storia della scomparsa in pieno centro di Roma della quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un messo pontificio; una storia senza fine che attendeva di essere raccontata al pubblico non
solo italiano ma internazionale. “La verità sta in cielo” ricostruisce un caso ancora irrisolto, forse il più clamoroso della nostra storia recente, conosciuto anche all’estero. Uno dei tanti misteri dell’Italia contemporanea, un ‘cold case’ che ancora oggi reclama verità e giustizia, perché tutti ne abbiamo bisogno.
“Devo ringraziare Rai Cinema per il coraggio – esordisce il regista alla conferenza stampa di presentazione del film – perché stavolta ha affrontato il ruolo da servizio pubblico perché la verità sta in terra e l’indagine deve andare avanti. Il progetto era nato cinque anni fa e se ne poteva trarre una serie in tante puntate, perché ci sono tanti personaggi che sarebbe giusto seguire nel loro percorso criminale e, inoltre, c’è un dossier in Vaticano (88 pagine) che se viene fuori, anche la verità verrà a galla. E, dato che Papa Francesco crede nella trasparenza, penso che farà uscire qualcosa fra un mese”. Infatti, la richiesta di archiviazione del caso Orlandi (e Mirella Gregori) avanzata il 5 maggio 2015 dal procuratore della
Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, non è stata firmata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, sino allora a capo della inchiesta, che riteneva necessario proseguire le indagini. Il 6 maggio 2016 la corte di Cassazione ha convalidato l’archiviazione. La famiglia Orlandi si è opposta risolutamente a entrambe le decisioni, riservandosi di ricorrere alla Corte di giustizia europea. “Per quanto il cinema sia sempre finzione – dichiara l’autore -, ogni avvenimento qui narrato è suffragato da una rigorosa documentazione e da testimonianze acclarate da sentenze passate in giudicato. Di qui, la scelta di fare nomi e cognomi senza ricorrere all’anonimato”.
Tra film inchiesta e impegno civile, “La verità sta in cielo”, parte da quel tragico 22 giugno 1983, quando Emanuela scomparve nel nulla. Dopo decine di indagini, oscure ipotesi, coinvolgimento di ‘poteri forti’ - fra Stato e Chiesa, finanza e criminalità - depistaggi di ogni genere, una cosa è certa: Emanuela non ha fatto più ritorno a casa. Sollecitato dallo scandalo ‘Mafia capitale’ che attanaglia Roma ai giorni nostri, il direttore di un network televisivo inglese (Shel Shapiro) decide di inviare a Roma una giornalista di origine italiana, Maria (Maya Sansa) per raccontare dove e quando tutto ebbe inizio. Aiutata dalla collega Raffaella Notariale (Valentina Lodovini), inviata di un noto programma televisivo italiano (Chi l’ha visto?), che ha scoperto una nuova pista, entra in scena un personaggio inquietante: Sabrina Minardi (Greta Scarano, in versione
prima e dopo grazie al riuscito trucco). E’ l’amante di Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), meglio conosciuto come Renatino, il boss che ha saputo gestire meglio di ogni altro il malaffare della capitale, poi finendo sotto i colpi della banda rivale della Magliana. Nonostante il suo passato, Renatino verrà sepolto nella Basilica di S. Apollinare, nel cuore di Roma, proprio accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela: un altro mistero. La Minardi, dopo tanti anni, decide di raccontare quanto afferma di sapere sul sequestro della ragazza. E’ la verità? Quale intreccio indicibile si cela dietro i delitti rimasti impuniti nell’arco di trent’anni?
“Sono stato aiutato nella maggior parte dai giudici, dalla famiglia Orlandi e soprattutto dal fratello Pietro, anche se temevo un coinvolgimento più emotivo che obiettivo. Invece, senza di loro non ce l’avrei fatto. Ho ricevuto minacce tramite Internet, l’avvocato di De Pedis ha chiamato in Rai dicendo che avrebbe chiesto il sequestro del film e del libro omonimo (di Vito Bruschini, ispirato al film, edito da Newton Compton Editori ndr.) credo che il dolore di questa famiglia debba avere una risposta. Come direbbe Shakespeare, in questa storia tutto è così incredibilmente vero da sembrare impossibile”.
“La verità sta in terra – ribatte Maya Sansa -, ma è molto dura da accettare, dobbiamo renderci conto che spesso non ci raccontano la verità, ci tirano per il naso, peccato non ne abbiamo il modo di provarlo. Speriamo che la partecipazione al lavoro di Faenza, legato al caso Orlandi, serva a farlo riaprire. Il mio personaggio è quello di una italiana che vive in Inghilterra, a Londra ha tagliato i ponti con l’Italia e per anni ha seguito un altro tipo di notizie, ma si ritrova in missione con uno sguardo ignorante rispetto al pubblico italiano, e spero che lo spettatore si renda conto che la faccenda è più complessa di quello che sembra. E quando lei più si avvicina alla verità più aumentano le minacce e i pericoli”.
“Sarei andato anche gratis a interpretare un personaggio così – afferma Riccardo Scamarcio nel ruolo di De Pedis -, il film di Faenza su Emanuela parte dall’epoca della mia adolescenza, spero ne venga riconosciuto il suo valore perché tenta di fare delle domande e dare delle risposte attraverso la narrativa d’inchiesta. E’ un film necessario di un autore molto serio, sicuro e con un approccio di responsabilità e rischio visto che affronta una vicenda controversa. Il motivo importante era dare una mano anche se nel film interpreto un cattivo, un colpevole. Ma vorrei che in questo Paese paghino anche i mandanti non solo gli esecutori”. “Sono una cittadina indignata – dichiara Valentina Lodovini -, ma credo che la conoscenza ci salverà. Il mio personaggio è quello di una donna che si schiera e ama agire, penso che più si denuncia un fatto questo, alla fine, porta a qualcos’altro. Non tutti i giornalisti d’indagine restano in silenzio e sono degni di stima perché fanno qualcosa di importante per arrivare alla verità”.
“Quando ho fatto il provino per Sabrina giovane non sapevo che avrei dovuto interpretarla anche a cinquant’anni – confessa Greta Scarano -, ma ho scoperto che c’era questa possibilità. Sabrina incontra De Pedis e ne diventa l’amante, una pedina in un rapporto molto complesso, non una storia d’amore genuina. Per la seconda parte, ho visto il video per ‘Chi l’ha visto’, ho letto il libro, le domande e le risposte che hanno rappresentato la sua vita. Come fumava, come parlava, come si muoveva per restituire la sua vera personalità, un lavoro molto intenso. In lei ho sentito una incoscienza genuina, maliziosa a suo modo, poi si è persa, ma alla fine si è guardata allo specchio e ha cercato di redimersi attraverso le confessioni. Da attrice mi sono ritrovata in due ruoli in un solo film, un’opportunità unica resa possibile dal trucco”.
“Dai racconti della Minardi – ribatte Scamarcio -, De Pedis ha un ruolo chiave nella vicenda, quello dell’organizzatore del rapimento, perché aveva la capacità e la possibilità di frequentare i luoghi di potere, dai servizi segreti al Vaticano, dai politici agli uomini d’affari e ai giornalisti importanti, ma il mondo non è soltanto Roma”. “In Italia non si approfondisce mai la verità – dice Shel Shapiro -, né chi la commette. Speriamo che il film aiuti a riaprire l’archiviazione che è in linea con questo paese su tutto, da sempre. La pedofilia nella Chiesa, Calvi, la Banca Ambrosiana tutto si archivia”.
Dopo aver raccontato dolorosi episodi – tra cui una telefonata in cui si affermava che Emanuela era viva in un convento in Lussemburgo - e insabbiamenti sulla tragica storia della sorella, Pietro Orlandi, non ha mai smesso di cercare giustizia e ha scritto anche un libro, afferma: “Quando incontrai Papa Francesco e mi disse ‘Emanuela sta in cielo’, le sue parole mi ferirono. Dopo cominciai a pensare ad un segno di collaborazione, ma la mia interpretazione si è rivelata solo una speranza perché da allora ho fatto tante richieste, tutte puntualmente respinte. Spero che il film possa smuovere le coscienze di chi conosce la verità”.
“Ho tentato di mettere in pratica nel film – conclude l’autore - quello che diceva Jean Vigo: ‘un regista dovrebbe sperimentare un approccio documentario’. Non è contro il Vaticano perché presenta due chiese, la parola di Cristo e l’anima del diavolo. Come dice un vescovo nel film è sempre ‘meglio il clamore del silenzio’ e penso che se all’epoca ci fosse stato Bergoglio questo film non avrebbe ragione di esistere”. Infatti, quello che coinvolge lo spettatore è l’enorme bagaglio di informazioni e tracce, alcune inedite, che rendono più importante il contenuto della forma, la quale purtroppo assomiglia più alle inchieste televisive che al cinema di impegno civile a cui Faenza ci aveva abituato in passato. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 6 ottobre presentato da O1 Distribution

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