giovedì 13 ottobre 2016

Un viaggio come destino per costruire la propria leggenda in "Neruda" del cileno Pablo Larraìn

Presentato alla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes 2016 e ora candidato all’Oscar dal Cile per il Miglior Film Straniero arriva nelle sale italiane il penultimo film del cileno Pablo Larraìn “Neruda”. Non è un biopic nonostante racconti un periodo della vita del grande poeta,
ma un sorprendente viaggio nella vita e nell’opera di un artista universale che è diventato anche una leggenda, e narra episodi storici, pubblici e privati, del periodo in cui il grande scrittore stava compilando quel “Canto general” che divenne una sorta di inno e, al tempo stesso, manifesto dell’America Latina.
“Nel 1947, dieci anni prima della rivoluzione cubana e a quasi trenta del governo di Salvador Allende, Neruda doveva essere Presidente – esordisce Larrain alla presentazione romana del film -, perché allora più della metà del mondo era comunista. Come sarebbe stato? Il fascismo era stato sconfitto, non si può fingere di non saperlo, è un film storico ma non si tratta di vedere quello che accadde, perché sappiamo quello che è successo nel dopoguerra: è stata una sorta di distruzione del Cile: Neruda sognava un Paese che non è mai stato, anzi è arrivato ma è stato distrutto”.
Infatti, il film si apre nel 1948, quando anche in Cile era arrivata la Guerra fredda. Al congresso, il Senatore Pablo Neruda (un grande Luis Gnecco) accusa il governo di tradire il Partito Comunista e subito dopo viene a sua volta messo sotto accusa dal Presidente Gonzalez (l’attore feticcio di Larraìn, qui in un ruolo ‘minore’). Il prefetto della Polizia, Oscar Peluchonneau (un inedito e intenso Gael Garcia Bernal), viene incaricato del suo arresto. Neruda tenta di fuggire dal paese assieme alla moglie, la pittrice argentina Delia del Carril (Mercedes Moràn) e, nel frattempo, i due sono costretti a nascondersi. Traendo ispirazione dai drammatici eventi della sua vita di fuggitivo, il poeta scrive la sua epico raccolta di poesie,
“Canto General”, mentre in Europa cresce la leggenda del poeta inseguito dal poliziotto, e alcuni artisti guidati da Pablo Picasso iniziano a invocare la libertà di Neruda. Ciononostante, il poeta vede questa battaglia contro la sua nemesi Peluchonneau come un’occasione per reinventare se stesso. Gioca con l’ispettore, lasciandogli indizi architettati per rendere più pericoloso e intimo il loro gioco tra ‘gatto e topo’. In questo inseguimento del poeta perseguitato dal suo implacabile avversario, Neruda intravede per se stesso dei risvolti eroici: la possibilità di diventare un simbolo di libertà, oltre che una leggenda della letteratura.
Tra sogno e realtà, poesia e arte, vizi e virtù un percorso dove vita e morte, amore e odio si fondono e si confondono trasformandosi in un thriller dell’anima e una rivisitazione storica degli anni a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, non solo in Cile, ma in tutto il Sudamerica, e di riflesso nel mondo. Un film apparentemente semplice ma in realtà complesso – per certi versi e soprattutto nella struttura rievoca “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore - che seduce e travolge attraverso una narrazione che capovolge la tradizione del film storico o biografico, anche attraverso una ricerca dell’immagine che diventa lo scenario ideale del noir anni Quaranta.
“Quando Neruda ricevette il premio Nobel (il primo del Cile e dell’America Latina ndr.) fece un discorso che si riferisce a questa epoca che non si sa bene se la visse, la sognò o la scrisse. Il ‘cosmo nerudiano’ è così vasto, complesso, profondo che non trova spazio in una sola pellicola. Ci sono tante biografie per cui lo sceneggiatore Guillermo Calderòn scelse ‘Confieso que ho vivido’ (t.l. Confesso che ho vissuto) e dalla gente che lo conosceva ha appreso che era amante della buona cucina, del vino e delle donne, che è stato diplomatico, senatore comunista, una sorta di
liberatore per la libertà che offriva; e la sua passione come lettore era il poliziesco. Ma la ricerca non basta perché Neruda sta nell’acqua, nell’aria, nelle piante, nel corpo, nei capelli, nella mia testa e nel mio sangue”. “Pablo Neruda è stato un creatore talmente complesso e vasto – prosegue Larraìn -, praticamente infinito, che è quasi impossibile collocarlo in una singola categoria, o raccontarlo in un solo film, capace di capire e definire la sua personalità o la sua opera, in maniera immediata e rapida”.
“E’ per questo – conclude – che abbiamo scelto la storia della sua fuga, delle indagini e della leggenda letteraria. Per noi, ‘Neruda’ è un falso biopic. E’ un biopic che non è veramente un biopic perché ci siamo assunti il compito di fare un ritratto del poeta che fosse totalmente serio. Semplicemente perché ciò è impossibile. Piuttosto, abbiamo deciso di costruire un film mettendo assieme elementi inventati e giocosi. In questo modo, il pubblico potrà librarsi assieme a lui nella sua poesia, nella sua memoria, e nella sua ideologia comunista, tipica della Guerra Fredda”.
Infine, chiude confessando: “Ci ho lavorato per cinque anni, ma preferisco non parlarne, per me è terribile spiegare la mia opera, perché è come un bambino con una bomba che esplode quando vuole. La comunicazione è più importante del contenuto, mi piace prendere un personaggio nel momento cruciale della sua vita, perciò è un anti-biopic, un noir, una commedia nera, un western, una sorta di road movie che cambia man mano che va avanti, un viaggio come destino. Neruda ha costruito la sua leggenda e il poliziotto pure, il viaggio stesso è il suo destino. Il cinema è atmosfera, qualcosa di più viscerale; e con Sergio (lo sceneggiatore ndr.) cerchiamo di catturarla sul set perché come diceva Truffaut bisogna lottare contro la sceneggiatura e nel montaggio contro le riprese”.
Dopo l’opera prima “Fuga”, tutti e sei film successivi di Larraìn sono stati presentati e/o premiati nei più importanti Festival Internazionali: “Tony Manero” (2007) è stato presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2008; “Post Mortem” è stato passato in concorso al Festival di Venezia 2010; “No - I giorni dell’arcobaleno” (2012) sempre alla Quinzaine des Réalisateurs e prima nomination agli Oscar; “Il Club” (realizzato quando era già pronta la sceneggiatura ma non la produzione di “Neruda”), presentato in concorso al Festival di Berlino 2015, ha vinto l’Orso d’Argento, ed è stato candidato ai Golden Globe. E l’ultimo (nelle sale italiane prossimamente) e primo film girato negli Usa, “Jackie” è stato presentato in concorso al Festival di Venezia 2016 dove ha vinto il premio per la Miglior Sceneggiatura.
Nel cast anche Pablo Derqui (Victor Pey), Jaime Vadell (Jorge Alessandri), Alfredo Castro (Gabriel Gonzàlez Videla), Marcelo Alonso (Pedro Dominguez), Francisco Reyes (Bianchi), Alejandro Goic (Jorge Bellet) e Emilio Gutièrrez Caba (Pablo Picasso). L’ottima cornice è firmata dal direttore della fotografia Sergio Armstrong, dal montatore Hervé Schneid, dalla scenografa Estefania Larrain, dalla costumista Muriel Parra. Le musiche sono di Federico Jusid. Una coproduzione fra Cile, Argentina, Francia, Spagna e Usa. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 13 ottobre distribuito da Good Films

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