martedì 8 novembre 2016

Marco Bellocchio si ispira al libro di Massimo Gramellini e lo fa suo, rispettandone anima e corpo in "Fai bei sogni" con Valerio Mastandrea

Marco Bellocchio porta sullo schermo il romanzo di Massimo Gramellini, “Fai bei sogni” (Longanesi & C) e, restandone fedele, in parte lo fa suo trovando ispirazione in quei rapporti familiari a lui tanto cari, anche quando la famiglia è spesso vista come nido di serpenti. “Questo film nasce da un libro – esordisce alla presentazione stampa romana -, grande successo editoriale degli anni scorsi (e ne è sostanzialmente fedele cioè ai fatti e agli affetti che descrive). Ma non è questo il motivo che mi ha convinto (l’essere un best seller), ma il tema, il
dramma che il romanzo contiene. La morte della mamma, l’essere orfano quando si è ancora bambini. Il dolore di Massimo che perde la mamma adorata a nove anni (adorata nel doppio senso di un amore, che Massimo sente ricambiato, assoluto ed esclusivo), la sua ribellione a questa tragedia ingiusta, poi col passar del tempo, il suo adattamento per sopravvivere a questa perdita incomprensibile. Adattamento alla vita che ha un costo pesante per Massimo perché oscura, riduce, proprio per la necessità di difendersi per sopravvivere, la sua capacità di amare, la raffredda, la annulla con
dei danni che si prolungheranno nell’adolescenza e poi nella sua vita adulta. Finché questa corazza di indifferenza, per circostanze complesse e incontri solo apparentemente casuali, non incomincerà ad incrinarsi”. Non a caso è questa prima parte, anche se ricostruita attraverso lunghi flash back, a coinvolgere più lo spettatore, forse perché lo riporta alle proprie infanzia e adolescenza. “Pensando ad un’immagine del film – confessa il regista -, mi viene in mente quella del bambino in fondo al corridoio quando arriva la bara, e non è diventata il manifesto perché era un po’ funebre – lì, infatti, c’è un momento gioioso -, ma è stata quella il punto di partenza perché si ricollega
in qualche modo a situazioni che ho vissuto da bambino, dato che la mia infanzia è passata attraverso alcuni funerali. La storia parte da un amore non patologico, ma intenso e questo non l’ho mai conosciuto, ma in qualcosa del libro mi sono immedesimato, la ribellione nel funerale in cui il bambino nega che la mamma sia lì, non lo accetta, il trovare un fantasma amico (il mitico Belfagor televisivo ndr.) che lo aiuta, lo accompagna a sopportare l’insopportabile. Potrei dire ‘famiglie vi odio’ citando André Gide, ma c’è una via delle madri nel mio lavoro, tanto che
ritornano spesso; come ci sono tanti omicidi, suicidi, da ‘Nel nome del padre’, ‘Il gabbiano’ a ‘Gli occhi, la bocca’… Le morti dei figli e delle madri sono qualcosa che costituisce e rappresenta il nucleo della nostra vita. Qui c’è un rapporto madre-figlio felicissimo ma interrotto”. “E’ una storia da cui volevo distaccarmi – ribatte Gramellini in collegamento Skype da Torino -, già al primo incontro era segnato che sarebbe stato ‘un film di Bellocchio’ e non volevo essere coinvolto perché avrei finito per condizionarlo. Lui ha fatto una scelta straordinaria, interpreta
anima e corpo il libro. Belfagor? Mi mancava un personaggio negativo e Belfagor agisce però a fin di bene e si sposava bene con la storia. Il ruolo della tv nei salotti borghesi anni ’60 era quello del focolare, Marco ha fatto della mamma una fan dei personaggi della musica leggera che non era, ma riesce a concentrare la storia e a commuovere. Detesto i film che assomigliano ai libri, il protagonista si chiama Massimo ma potrebbe essere Marco; inoltre i bambini hanno i capelli neri, io ero biondo, e così ho dimenticato del tutto che riguardasse me”.
“Il dialogo tra loro sul divano è molto bello – afferma la brava Barbara Ronchi nel ruolo della madre -, il libro mi ha commosso ed è stato edificante nel lavoro. E’ stato un onore lavorare con Marco, abbiamo costruito tutte le scene insieme a lui e Nicolò (Cabras, Massimo bambino ndr.), che quando mi guarda nel film è davvero commovente”. “Siamo partiti da un soggetto fatto da Marco – dice Valia Santella, sceneggiatrice col regista ed Edoardo Albinati -, abbiamo letto il libro e poi ci siamo staccati da una parte per dimenticare e
rielaborare altre, dato che sono i sentimenti la parte più forte del romanzo”. “Guidati da una lieve vena masochista – ribatte Albinati – abbiamo pescato nelle risorse delle nostre storie, fatto che non ci ha frenato ma spronato, tutti abbiamo avuto esperienze non proprio dissimili perché si parla di persone vere, e quello che sembrava un ostacolo si è rivelato un forte vantaggio, tenendo del libro quello che somigliava di più al personaggio e facendo un po’ la staffetta tra i due autori”.
“Mi ha convinto il tema e il fatto di affrontare Marco sul set – afferma Valerio Mastandrea, Massimo adulto - che è stato interessante, ho avuto tantissime garanzie e ho capito che, attraverso il personaggio, avrei elaborato qualcosa di me. Non è vero quello che dicevo anni fa, quando ero più giovane, che il lavoro è una cosa e la vita un’altra. Questo lavoro ti permette di stare in contatto con quello che sei, sei stato e sarai. Ti aiuta tantissimo a capirti meglio. Certo, ci divertiamo anche”.
“Per me fin dal provino è stato un onore e una grande scuola lavorare con Marco – dichiara Miriam Leone, nel breve ruolo del primo amore -, anche recitare con Valerio è stato divertente, il mio personaggio rappresenta l’amore giovane e incompiuto, ho avuto una fresca emozione. Lei decide di tagliare per andare avanti perché Massimo non è pronto ad amare. Ero a Torino per girare ‘Non uccidere’ (il serial tv di Raitre ndr.), e così di giorno ero su un set e la notte su quello di Marco”.
“Spero di lavorarci sempre – ribatte Roberto Herlitzka nel ruolo del prete insegnante -, è sempre un’esperienza bellissima quando c’è lui (Bellocchio ndr.) facilmente i film diventano arte. Ormai mi sono dato alla carriera ecclesiastica” – chiude scherzosamente a proposito degli ultimi, numerosi, ruoli nel ‘settore’. “Grazie a Marco Bellocchio parlo in italiano – chiosa Bérénice Bejo nel ruolo di Elisa -, è stato incredibile per me, Marco è bravo e forte e ha un’energia debordante, nel raccontare una storia
manifesta un entusiasmo incredibile. Sono felice che esista un regista del suo calibro perché i più giovani non hanno questa energia. Sono stata felice di lavorare al film e con Valerio, un ruolo piccolo che mi ha dato grande soddisfazione”. “E’ stato un periodo molto intenso – spiega Guido Caprino nel ruolo del padre -, il contatto con Barbara mi ha aiutato a raccontare questo uomo che è esistito e abbastanza fedele alla storia del libro, che mi era rimasta impressa e mi sono portata dietro”.
“Ho avuto la possibilità di andare a Sarajevo, teatro di una guerra recente presto dimenticata – racconta Pier Giorgio Bellocchio nei panni di un fotoreporter – e dove una seconda madre muore nel film, una scena emozionante nella sua drammaticità. Ed è sempre una scuola lavorare con Marco, mi sento privilegiato”. “Mi dovevo immedesimare nella parte – dice Nicolò Cabras – e com’è successo, perché ogni volta che andavo a casa provavo”. “E’ stata una bella esperienza fin dal provino – ribatte Dario Delpero che è Massimo adolescente -, e sul set sono stato accolto molto bene, a mio agio, ad essere più tranquillo e ciò mi ha aiutato
molto a immedesimarmi, a pensare a come sarebbe stata la mia vita se non avesse avuto una madre”. Quindi, un dramma corale – presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2016 - che gira intorno al protagonista per un ritratto esistenziale costruito come un puzzle, in cui tutti i pezzi non sempre combaciano, ma in complesso è suggestivo, anche malinconico, dove alleggiano i momenti felici di un’infanzia stroncata troppo presto. E c’è un’atmosfera triste che (ci) accompagna per quasi tutto il film, ovvero finché Massimo riuscirà a rielaborare il lutto e staccarsi definitivamente dei ricordi ‘scoprendo una verità’ a lungo taciuta.
Un ottimo cast fa il resto che, oltre ai sopracitati, conta su Arianna Scommegna, Bruno Torrisi, Manuela Mandracchia, Giulio Brogi, Roberto Di Francesco, Dylan Ferrario e con la partecipazione di Emanuelle Devos (la madre di un compagno di liceo), Fausto Russo Alesi nel ruolo di Simone, con l’amichevole partecipazione di Piera Degli Esposti (e Herlitzka) e con la partecipazione di Fabrizio Gifuni. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 10 novembre presentato da O1 Distribution

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