giovedì 1 dicembre 2016

Eduardo e Shakespeare si incontrano nell'Arte della Commedia grazie a Gianfranco Cabiddu che li fa rivivere nel sorprendente film "La stoffa dei sogni" con un ottimo gruppo di attori

Una sorprendente commedia che celebra allo stesso tempo William Shakespeare ed Eduardo De Filippo, “La stoffa dei sogni” di Gianfranco Cabiddu, che - dopo la presentazione in anteprima alla Festa del Cinema 2015 –, come più spesso accade, ha dovuto aspettare oltre un anno per uscire nelle sale italiane. Un film che parla di noi,
della nostra cultura, delle nostre tradizioni, della nostra arte. Non è un caso perché al regista (da “Disamistade”, 1994, a “Faber in Sardegna”, 2012) si è sentito dire, da produttori e distributori, “Shakespeare ed Eduardo? Non interessano a nessuno, chi lo va a vedere?”, nonostante si tratti di una commedia (dell’arte), popolare e al tempo stesso sofisticata, se vogliamo
d’autore, ma anche divertente e metaforica. Anche perché Cabiddu era stato collaboratore del Maestro e proprio quando stava traducendo il Bardo in napoletano. “Trarre un film da ‘La tempesta’ – esordisce il regista alla presentazione stampa - già ‘re-interpretata’ nella visione squisitamente teatrale che Eduardo De Filippo ha operato nella traduzione in napoletano del testo shakespeariano, mi sembrava un progetto a me, sardo e isolano, più naturalmente vicino. Ero solo un ragazzo di 29 anni quando ho avuto in sorte la fortuna di essere l’unico collaboratore di Eduardo alla
incisione audio de ‘La tempesta’, con lo stesso Eduardo che interpretava tutti i personaggi maschili. Da allora questo testo mi ha accompagnato sempre. In questo soggetto utilizzo come ‘punto di partenza’ l’Arte della Commedia, sempre di Eduardo, per giungere finalmente alla Tempesta e rendere merito alla sua grande intuizione, che nella traduzione riporta Shakespeare alla parola teatrale, a qualcosa che possono recitare tutti. Nel tempo si è poi messo a fuoco il ‘senso’ necessario di riproporre, reinventandoli, questi testi teatrali, facendoli risuonare metaforicamente oggi, ‘necessari’ a noi contemporanei in un periodo storico dove
‘tutto il mondo è palcoscenico, tutti sono attori, hanno le proprie uscite e le proprie entrate’ (Shakespeare)”. Per fortuna Cabiddu ha incontrato Isabella Cocuzza e Arturo Paglia che, con la loro Paco Cinematografica, hanno deciso di produrlo e, ora esce finalmente nelle sale. “Anche a noi l’hanno detto – dichiara Paglia –, ma per fortuna grazie a Rai Cinema ci siamo riusciti, e ora grazie a Microcinema che lo distribuisce, a tutti gli attori, usciamo nei cinema, perché non è stato facile”.
“Ugo Chiti (sceneggiatore con l’autore e Salvatore De Mola ndr.) mi ha aiutato a levare un po’ il peso del testo originale – prosegue il regista -, a ricordare il vero senso dei testi e omaggiare due grandi del teatro, due capocomici che lavoravano per il pubblico, a raggiungere un film che usa il teatro e attraverso la lievità del racconto restituisce il valore universale di una tradizione. Luca (De Filippo, figlio di Eduardo, scomparso mesi fa ndr.) ha fatto in tempo a vedere il film e a partecipare (nel ruolo del Capitano ndr.) in
quanto testimone ed erede della tradizione di suo padre e di suo nonno, perché bisogna guardare alle nostre tradizioni per progettare un futuro”. Girato interamente all’Asinara che, “rimasta per 120 anni carcere, ora è diventata parco – aggiunge l’autore -, ci è sembrata un’isola incantata come quella a cui è approdato Calibano mentre da Tunisi si dirigeva a Napoli; pensavo potesse essere l’incipit dell’Arte della commedia, anzi l’Asinara è un personaggio quanto Shakespeare e il capocomico”.
In un periodo imprecisato del Primo dopoguerra. Camorristi in fuga e attori, passeggeri clandestini, si ritrovano dopo il naufragio su un’isola-carcere e si mescolano. Ma lo sguardo indagatore del Direttore del Carcere impone ai naufraghi la messa in scena de “La Tempesta” convinto di smascherare i camorristi che la nave portava nella ‘sua’ prigione, mentre tra la figlia ribelle del Direttore e il figlio del boss – creduto morto – sboccia l’amore. E Calibano/Antioco, unico abitante superstite di un’isola ‘occupata’ dal carcere, ne è testimone. Per assonanze e similitudine col testo shakespeariano, procede la vicenda umana dei personaggi,
nella sottile linea che divide il vero dal verosimile nel palcoscenico della vita. Il teatro diventa così la zona franca in cui ciascuno potrà ritrovare se non il proprio ruolo sociale, la propria umanità. “Il mestiere dell’attore parte da un’empatia con la scenografia, i vestiti – dichiara Sergio Rubini che è Campese il capocomico -, e capisci che la tua vita diventa parte della vita che c’è intorno. L’Asinara è bellissima e inospitale, un posto vero con i suoi pericoli e le sue ambiguità, ti ritrovi davanti a un cinghiale, anzi due, col telefono ma non c’è campo né un approdo, solo un ostello dove eravamo tutti insieme
in un’atmosfera di vero cameratismo”. “In questo momento è come se la natura avesse assunto per me un ruolo importante – afferma Ennio Fantastichini nei panni di De Caro, il direttore del carcere – all’Asinara ho avuto un impatto potentissimo con lo spazio, cinghiali sotto la finestra, cavalli selvaggi, due civette che si ripresentavano ogni sera, un ricordo memorabile su come un posto possa rimanere puro così e a cui non siamo più abituati. E’ la protagonista del film e ha un rapporto empatico”.
“Ci ha messo tutti insieme – ribatte Teresa Saponangelo, Maria, attrice e moglie di Campese – e Rubini è stato costretto a cenare con noi – scherza -. Un’occasione per confrontarci e parlare fra teatro e cinema, una tavolata che ci ha messo insieme saldamente”. “Una protagonista che non solo si vede – chiosa Renato Carpentiere, Don Vincenzo, il boss -, ma dà lo spazio della riflessione, in questo caso ne La Tempesta, ma che si può adattare a qualsiasi modo e testo. Un posto in cui abbiamo un po’ sofferto perché mancavano sigarette, cibo, alberghi, però che offre un respiro di riflessione”.
“Per retaggio della mia età – riprende Fantastichini sulla situazione attuale del cinema – penso che nel momento che stiamo attraversando, soprattutto ultimamente, non ci si chiedi più com’era il film ma quanto ha fatto. Credo che le cose debbano farsi puntando sulla qualità, ma quando si vuole piacere a tutti si finisce per volare basso. Il rapporto produzione, distribuzione, esercenti basato sull’avere più profitti non può essere dominante. Penso serva un impegno più robusto, più amore per i bambini, più rispetto per gli anziani, più poesia. Da una parte mi conforta che un film che ho fatto recentemente, “Caffè” (coproduzione Italia-Cina ndr.) almeno in Cina è uscito in 1.200 copie!”
“Mi colpisce il fatto – ribatte Rubini – che nel 450 a.C., Aristofane propose la commedia brillante ‘Le rane’. Allora Atene andava malissimo in tutti i sensi: economico, politico, bellico e culturale, Eschilo e Sofocle erano morti. Nella commedia, allora, il dio del teatro, Dioniso, fa un viaggio nell’Ade per risollevare le sorti della città e cerca di resuscitare Sofocle, sperando che così tutto rinasca. Perciò non posso pensare che oggi Shakespeare ed Eduardo possano essere addirittura un problema per un film. Bisogna rifletterci”.
“Volevo dire quattro cose, anzi cinque sul film – dice Carpentieri -, prima che mi è piaciuto molto; secondo, che ho visto noi attori bravi; terzo, che mi ha colpito la delicatezza nel rapporto tra Miranda e Ferdinando, ma anche fra i nostri, c'è un'attenzione umana in cui piccoli gesti diventano grandi cose; in quest'epoca in cui la velocità ci perseguita e i film sono sempre più veloci, questo mi sembra l’andamento giusto; e quinto, spero nella mia vita di fare ‘La tempesta’ nella versione di Eduardo, quindi, questo film è stato un mio avvicinamento. Anche perché ci ho provato e la risposta è stata: non si fa una lira”.
“Siamo stati diretti con grande delicatezza – conclude Saponangelo - e con uno sguardo mai volgare. E’ stato un lavoro prezioso, per me una delle scene più commoventi è stata quando Shakespeare viene tradotto in napoletano, una lingua fortemente teatrale, che va protetta perché ha un valore assoluto per il nostro paese”. Quindi un esaltante mix di teatro e cinema, realtà e finzione, magia e arte, vita e natura, libertà e prigione, modernità e tradizione, e se la vita è una commedia, noi tutti siamo attori delle nostra esistenze e non solo spettatori. E gli attori del film sono tutti all’altezza del testo, anzi dei testi, di due giganti del teatro che rivivono in una favola che rispecchia la realtà.
Completano il cast Gaia Bellugi (Miranda, figlia del direttore), Francesco Di Leva (Andrea), Ciro Petrone (Saverio), Nicola Di Pinto (Pasquale), Jacopo Cullin (tenente Franci) e Fiorenzo Mattu (Antioco). Contribuiscono alla riuscita del film, il direttore della fotografia Vincenzo Carpineta e Francesco Piersanti, autore delle musiche. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 1° dicembre distribuito da Microcinema in 30 copie

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