giovedì 7 giugno 2018

L'altra faccia 'der Canaro' vista dal regista Sergio Stivaletti in "Rabbia furiosa" con Riccardo de Filippis, in un thriller visionario e onirico

Ecco l’altra rivisitazione del terribile fatto di cronaca nerissima degli anni Ottanta: “Rabbia Furiosa – Er Canaro” sceneggiata (con Antonio Lusci e Antonio Tentori) dal mago degli effetti speciali e di trucco Sergio Stivaletti, già autore di due horror “MDC – La maschera di cera” e “I tre volti del terrore”. Ma non si tratta di un horror ma di un dramma thriller che riserva, sul finale, la lunga sequenza delle mortali torture
riservate all’amico-nemico (non tutti, forse, ce la faranno a guardarla fino in fondo), queste sì ricostruite con lusso di dettagli, visto che Lusci li ha trascritti direttamente dai verbali della polizia. D’altra parte, il film è solo ispirato alla vicenda del Canaro della Magliana perché come dice lo stesso regista si tratta del ritratto di un ‘Canaro ideale’, quello che è rimasto impresso nella memoria collettiva di quegli anni – attraverso il racconto dei giornali, le discussioni al bar -, e in parte (ri)disegnato dalla fantasia.
E anche Stivaletti - come Garrone in “Dogman” - si allontana un po’ dalla realtà, per privilegiare il privato – il rapporto con la moglie e la figlia –, mette in risalto il lato umano, e parte dall’ultima parte dell’intera vicenda vera, quando Fabio (un efficace e terreno Riccardo de Filippis) è appena uscito di galera dove ha scontato 8 mesi, per un crimine che non ha commesso, al posto di Claudio, il suo ‘amico’ ex pugile, un brutale piccolo delinquente che ambisce a diventare il boss del Mandrione (anziché della Magliana), un luogo senza tempo dall’atmosfera e dagli scorci addirittura poetici.
Claudio Renzi (un ambiguo e irriconoscibile Virgilio Olivari), invece, gestisce traffici vari, dai furti ai combattimenti di cani, cosa ovviamente non gradita a Fabio che spesso deve curare clandestinamente nella sua toeletta per cani, con operazioni e medicazioni animali ridotti male. Infatti, l’amicizia tra i due è molto ambigua, quasi malata, Claudio ha una personalità bipolare che lo porta ad agire con estrema cattiveria nei confronti di Fabio che subisce senza reagire. Finché un giorno, non potendo più sopportare violenze e umiliazioni, progetta e poi compie con assoluta freddezza la sua terribile vendetta. Il ‘canaro’ diventa un feroce e spietato assassino, sorta di mix tra Hyde e Frankenstein.
E solo allora, per circa un quarto d’ora (che, forse, non tutti gli spettatori riusciranno a guardare), che il thriller si trasforma in horror iperrealistico per completare il ritratto di un “Canaro ideale” come lo definisce Stivaletti. Il quadro di un riscatto sociale e morale, di un uomo che vuole recuperare la dignità perduta con un gesto estremo. Anche se, a un certo punto, non si capisce bene se la sua sia una rabbia vera (quanto malattia) o solo uno scatto di rabbia mai esplosa prima, accumulata pian piano nella mente e nel fisico.
“Sono sempre stato affascinato – scrive il regista nelle note – dai film in cui il personaggio centrale dopo lunghe vessazioni ed ingiustizie trova finalmente la forza di vendicarsi facendosi giustizia da solo per poi oltrepassare un limiti normalmente invalicabili sconfinando nella crudeltà pura. Mi hanno in questo ispirato da sempre i western di Sergio Leone e molte pellicole dei cosiddetti poliziotteschi che hanno rappresentato un vero e proprio genere”. E infatti, le scene di violenza e ricatto ricordano proprio i poliziotteschi, in cui spesso erano brutali, feroci ed efferate (soprattutto “Milano odia: la polizia non può sparare” di Umberto Lenzi, con un Tomas Milian prima di Monnezza, 1974). Non mancano emozioni e commoventi (vedi la scena del salvataggio in extremis del cagnolino), realtà e finzione.
“Altre fonti di ispirazione – aggiunge l’autore - sono le pellicole in cui un debole a cui viene sottratta la dignità finisce per trovare un’energia e una forza inspiegabili che gli consentono di sopravvivere e farsi giustizia. Chi non ricorda il Dustin Hoffman di ‘Cane di paglia’ (di Sam Peckinpah, 1971 ndr.)? O Alberto Sordi in ‘Un borghese piccolo piccolo’ (di Mario Monicelli, 1977 ndr.)? Bene, l’idea di ‘Rabbia furiosa’ si rifà in parte a quei film e in una parte più consistente trae invece ispirazione da un famoso fatto di cronaca degli anni ’80 in cui a Roma la follia ebbe il sopravvento e trasformò un uomo incline alla sottomissione in un feroce assassino. E’ la storia di Pietro de Negri detto er Canaro che si vendicò del suo vessatore oltrepassando i limiti della più spinta e malata delle immaginazioni”.
Anche qui il cast offre il meglio, dal protagonista de Filippis, un Canaro più terreno che pian piano diventa inquietante a Olivari che è un Claudio credibile; da Romina Mondello nel ruolo perfetto della moglie Anna, alla piccola Eleonora Gentileschi che è la figlia Silvia. Infine i caratteristi Gianni Franco (commissario Ferri), Romuald Klos (Lo Sceriffo), Rosario Petix (ispettore Lo Russo), Luis Molteni (il boss), Ottaviano Dell’Acqua (Spartaco), Marco Ferri (Er Cencio), Eugen Neagu (Ilie). La fotografia è firmata Francesco Ciccone, le musiche originali Maurizio Abeni e il montaggio Alfredo Orlandi e Crescenzo Mazza. José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 7 giugno 2018 distribuito da Apocalipsis

Nessun commento: