venerdì 31 agosto 2012

Pluripremiato e candidato all'Oscar per il Miglior Film Straniero, arriva "Monsieur Lazhar"

Candidato all’Oscar 2012 per il Miglior Film Straniero e vincitore di cinque premi internazionali, arriva in contemporanea col Festival di Venezia il film canadese “Monsieur Lazhar” di Philippe Falardeau, tratto dall’opera teatrale “Bachir Lazhar” di Evelyne de la Cheneliére.
Un dramma realistico su immigrazione e insegnamento, passione e solitudine, infanzia e maturità, passato e presente che ruota intorno al personaggio centrale, particolare e universale al tempo stesso. Un ritratto ora toccante ora buffo, ora drammatico ora divertente, come l’esistenza stessa. In una scuola elementare di Montreal un’insegnante muore tragicamente. Dopo aver letto la notizia sul giornale, Bachir Lazhar (grande il francese Fellag), un immigrato algerino di 55 anni, si presenta nella scuola per offrirsi come supplente. Immediatamente assunto per sostituire la maestra scomparsa, si ritrova in una scuola in crisi, mentre è costretto ad affrontare un dramma personale, che nessuno conosce. Bachir impara a conoscere i ragazzi scossi ma attenti, tra i quali ci sono Alice (la sorprendente Sophie Nélisse) e Simon (il tormentato Emilien Néron), due bambini vivaci, ma particolarmente turbati dalla morte della loro insegnante, infatti, il
ragazzino si sente addirittura colpevole. Mentre la classe ritorna lentamente alla normalità, nessuno nella scuola è a conoscenza del doloroso passato dell’uomo, nessuno sospetta che è a rischio espulsione dal paese che lo ha accolto. Però Lazhar potrebbe essere uno qualsiasi di noi che, per caso o per forza, si ritrovi catapultato in un paese sconosciuto, dove l’unica cosa in comune con la nostra storia e il nostro passato è la lingua, la cultura, la voglia di comunicare agli altri quel – poco o molto – che sappiamo. Non quelle fredde e supertecnologica di oggi, ma quelle nate e costruite tra passioni e sentimenti, curiosità e rapporti. Proprio quelle ‘cose’ che trascuriamo o dimentichiamo di insegnare ai bambini di oggi, lasciandoli credere di imparare tutto da computer e internet. Tanto che è l’autore stesso – al suo quarto lungometraggio dopo un’apprezzata carriera tra documentario e fiction - ad affermare: “Il personaggio non avrebbe dovuto solo padroneggiare la lingua francese, ma anche amarla. Perché nella mia testa il processo di guarigione accade attraverso il linguaggio, l’insegnamento e l’amore per la lingua e la letteratura francese. L’Algeria poteva funzionare poiché lì ci sono molti intellettuali, grandi scrittori. Una volta entrato nella scuola del
Quebec, Bachir è catapultato in un sistema che non conosce, egli deve cercare di trarre da se stesso quello che gli è stato insegnato durante la sua infanzia. Così il suo unico riferimento è il metodo di insegnamento francese considerato ormai superato. Non dimentichiamo che Bachir è un immigrato nord-africano profondamente laico. Io ne ero consapevole. Egli rappresenta ‘l’altro’ alla ricerca di soluzione non nella religione o nella morale e nemmeno nei riferimenti culturali francesi nel senso etnico del termine, ma la relazione all’insegnamento, nei comuni rapporti con la lingua e la letteratura francese e poi negli atti elementari della comunicazione. C’è anche dell’ironia nel fatto che lui è andato ad insegnare in un ex colonia che ha un legame particolare con la lingua francese, proprio quando anche egli proviene da un ex colonia francese”.
E, nonostante l’origine teatrale, la pellicola non lo è per niente, nemmeno claustrofobica, perché il regista, attraverso atmosfere e personaggi, ci fa assaporare grandi spazi e ci riporta col pensiero fuori dalla scuola, magari proprio a quelle aule che erano ‘fuori’ del tutto, come un balcone di fronte ad un mondo per noi ragazzi allora sconosciuto, in tutti i sensi. José de Arcangelo

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