venerdì 14 settembre 2012

Arriva tre mesi dopo l'atteso "Prometheus" di Ridley Scott, 'precedente' del cult "Alien"

Tre mesi dopo l’uscita americana (e internazionale) approda nei cinema italiani il tanto atteso ‘precedente’ – mon proprio un prequel secondo l’autore - dell’ormai cult movie “Alien”, diretto dallo stesso Ridley Scott, oltre trent’anni dopo. Proprio per questo ,forse, il film delude in parte, ma non solo. Certo, “Prometheus” mantiene quel che promette soprattutto nella prima ora – fatta eccezione per alcune imprecisioni storiche e/o antropologiche, cui nemmeno la fantascienza dovrebbe ignorare. Coinvolgono curiosità e fascino visivo, quel certo recupero della filosofia classica e l’uso misurato di effetti speciali di nuova generazione, l’ormai immancabile 3D, citazioni e autocelebrazioni (c’è anche l’illustre ombra del capolavoro “Blade Runner”), forse troppe, tanto di diventare nella seconda parte e nella conclusione un accumulo di già visto e riciclato, negli ultimi tre decenni.
Un vero peccato perché l’inizio – fin dal prologo - è veramente coinvolgente, fra mistero e sorpresa, sogno primordiale e mito, omaggi e riferimenti, dallo ‘storico’ e onnipresente Stanley Kubrick di “2001: odissea nello spazio” al Peter O’Toole di “Lawrence d’Arabia”, preso ad esempio da imitare dal robot, interpretato da Michael Fassbender, che si chiama David/Dave proprio come il protagonista dell’inimitabile capolavoro, ma che si ‘comporta’ come Hall – è anche lui geloso e arrogante -, il supercomputer che controlla l’astronave e lo stesso ‘navigatore/scienziato’. Il concetto alla base di Prometheus nasce da una figura appena accennata nel capostipite della saga e che sembrava dimenticata una volta che il protagonista xenomorfo è balzato letteralmente sullo schermo nel 1979. Ma questo misterioso essere – una gigantesca creatura fossilizzata con il petto squarciato, che sarebbe divenuta nota come lo Space Jockey, era rimasta in mente all’uomo che l’aveva portata in vita. “E’ qualcosa che porto con me da allora – dice il regista e produttore -, il mistero che si nasconde dietro. Chi era? Da dove proveniva? Qual era la sua missione? Che tecnologia possedeva? Pensavo che queste domande potessero rappresentare la base per produrre idee molto importanti”.
Però, gli sceneggiatori Damon Lindelof (dal serial “Lost” a “Cowboys & Aliens”) e Jon Spaihts (“L’ora nera”), nonostante confessino di ispirarsi all’umanità e alle idee scientifiche e filosofiche più importanti, lo fanno purtroppo superficialmente (non basta citare la Bibbia, le mitologie sumera e greca, antiche civiltà), perché se la storia narrata è ambientata nel 2093, non vuol dire che la vera storia dell’umanità vada cambiata, o trascurata. Inoltre quello che manca è proprio la ‘sostanza’ ed è quello che accomuna il film ai blockbusters odierni sia cinematografici che televisivi. La squadra di scienziati ed esploratori a bordo della Prometheus – dal nome del titano ribelle che donò agli umani intelligenza e memoria, ovvero il fuoco divino - è impegnata in un viaggio spaziale per fornire delle risposte ad alcune delle maggiori domande sulla vita, spinti dalle scoperte (graffiti di 35mila anni fa, ma i primi risalgono a 30mila anni fa) in Scozia di due giovani e brillanti scienziati, Elizabeth Shaw (Noomi Rapace) e Holloway (Logan Marshall-Green), che spinti da ragioni contrastanti, conducono la spedizione.
Shaw è credente (porta con sé un crocifisso donatole dal padre): lei vuole incontrare questi ‘dei’, in modo da avvicinarsi alle sue convinzioni religiose tradizionali, mentre Holloway vuole sfatare questi concetti spirituali. Nella loro ricerche di archeologi, hanno scoperto una sorta di ‘messaggio’ nei pittogrammi delle caverne creati da antiche civiltà, che indicano lo stesso luogo nello spazio profondo, e così hanno convinto una corporation, la Weyland Industries, a finanziare la loro missione. Ma né gli scienziati né lo scettico equipaggio sono preparati alle trame degli sponsor, agli orrori inimmaginabili e alle terribile delusioni che incontreranno in un pianeta lontano parecchi anni luce dal nostro… In un cast di tutto rispetto, spicca soprattutto un sempre impagabile Fassbender che dà all’androide anche ‘un’anima’ (persino perfida); mentre l’efficace Rapace - protagonista della trilogia tratta da “Millennium” e ormai lanciatissima a Hollywood -, non regge il confronto con Sigourney Weaver; poi ci sono una poco presente Charlize Theron (Meredith Vickers), un irriconoscibile ‘novantenne’ Guy Pearce (Peter Weyland), Idris Elba (Janek), noto per il “Luther” televisivo; Sean Harris (Fifield), Rafe Spall (Milburn), Emun Elliott, Benedict Wong (Ravel) e Katie Dickie (Ford).
Per fortuna anche la cornice e la resa visiva sono, come di consueto, di qualità: dalla fotografia di Dariusz Wolski al montaggio di Pietro Scalia, dalle scenografie curate da una vera équipe (Alex Cameron, Anthony Caron-Delion, Peter Dorme, Marc Homes, Paul Inglis, John King, Adam O’Neill, Gunnar Palson, Karen Wakefield), e in parte anche queste ispirate a “2001”, alle musiche di Marc Streitenfeld, collaboratore fisso di Ridley Scott negli ultimi anni, fin da “Black Hawk Down”. Ed è già stato annunciato il sequel “Prometheus 2” - quindi nuova trilogia -, e confermati Fassbender e Rapace come protagonista, ma non la regia di Scott (per il momento solo produttore come del resto per la saga di “Alien”) né gli sceneggiatori. José de Arcangelo

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