venerdì 14 settembre 2012

Una commedia nerissima sull'Italia di ieri e di oggi in "E' stato il figlio" di Daniele Ciprì

Il primo film italiano in gara alla 69a. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, accolto da quasi dieci minuti di applausi, “E’ stato il figlio” di Daniele Ciprì, dal romanzo di Roberto Alajmo, sceneggiato da Massimo Gaudioso col regista stesso, arriva ora nelle sale italiane. La vera sorpresa del nostro cinema al festival, almeno nel concorso, perché segna il debutto, ‘da single’ nel lungometraggio cinematografico, del regista siciliano che ha diviso per anni la sua opera con Maresco, dall’ormai mitico “Cinico tv” a “Il ritorno di Cagliostro”, oltre all’ottimo lavoro svolto come direttore della fotografia per Roberta Torre e Marco Bellocchio, e, infatti, al Lido ha ricevuto l’Osella per la fotografia di “Bella addormentata”.
Storia di umane miserie, ieri come oggi, “E’ stato il figlio” è una commedia amara, anzi nera, acida e cattivissima, in cui tutti sono (siamo) ‘brutti sporchi e cattivi’ come affermava il non dimenticato film di Ettore Scola e, infatti, anche qui il sangue porta soldi che riportano altro sangue. Una “tragedia greca sull’ottusità umana” che diventa spietata commedia, dove cinismo ed egoismo, avidità e violenza sono sempre di inquietante attualità e disarmante universalità. Una storia del passato (anni Settanta) ricostruita come un puzzle, raccontata da un misterioso e trasandato signore di nome Busu (il cileno Alfredo Castro di “Tony Manero” di Pablo Larrain) all’ufficio postale; è lui a introdurre la vicenda della famiglia Ciraulo, come le altre microstorie che di giorno in giorno racconta per passare il tempo che consuma la sua solitudine. C’è chi lo ascolta e chi invece, arrivato il suo ‘turno’, va via, lasciandolo di nuovo solo in un’interminabile giornata d’inverno.
I Ciraulo sono sei: Nicola (sempre grande Toni Servillo), è il capofamiglia, Loredana (Giselda Volodi, finalmente protagonista) sua moglie, Tancredi (Fabrizio Falco, che a Venezia ha avuto il Premio Marcello Mastroianni, destinato all’attore/attrice rivelazione, anche per il ruolo in “Bella addormentata”) è il figlio maggiore e Serenella (Alessia Zammitti) la figlia più piccola. Nonno Fonzio (Benedetto Ranelli) e nonna Rosa (Aurora Quattrocchi), i genitori di Nicola, vivono insieme a loro. Abitano nella periferia di Palermo (magicamente ‘rievocata’ in Puglia), dove Nicola si arrabatta per mantenere tutti rivendendo ferro vecchio delle navi in disarmo. Le loro vite trascorrono, nonostante tutto, in relativa serenità finché un giorno, al ritorno da una gita al mare, insieme con i loro vicini Giacalone, un proiettile vagante, destinato ad un regolamento di conti, colpisce a morte Serenella. La disperazione è incommensurabile, ma si apre uno spiraglio di speranza per un cambiamento economico quando Giovanni Giacalone (Giacomo Civiletti) suggerisce a Nicola di chiedere il risarcimento che lo Stato riconosce alle vittime della mafia.
Il miraggio di ricevere un’ingente somma di denaro spinge la famiglia a spendere i soldi prima di incassarli, indebitandosi con tutti, pensando che la liquidazione da parte dello Stato sia imminente. Invece il tempo passa e i debiti crescono tanto da spingere Nicola a rivolgersi a uno strozzino, amico di Giacalone. Quando finalmente i soldi arrivano, una volta pagati i debiti, l’importo si è notevolmente ridotto. E la famiglia si riunisce per decidere come investire quelli rimasti e ognuno vorrebbe realizzare il proprio sogno. Ma Nicola riesce a smontare ogni richiesta imponendo la sua: una Mercedes, che rappresenta la dignità, il simbolo della ricchezza, l’unico status che la gente rispetti, soprattutto nel loro quartiere. Però la Mercedes diventerà il simbolo della Miseria della Ricchezza, strumento di sconfitta e di rovina.
L’opera prima del visionario regista è un quadro molto cinico della società italiana che evoca le pellicole dei maestri Risi e Monicelli, quelle che ci facevano ridere amaro sui nostri vizi e virtù, su vittime e carnefici, sulla famiglia e sulle istituzioni. Infatti chi la rifiuta lo fa, probabilmente, perché non accetta la cruda realtà. Il fatto che la famiglia del film sia ‘sottoproletaria’ non cambia granché, anzi, perché oggi più che mai sono i soldi a ‘guidare’ la nostra vita, a decidere per noi, a segnare il nostro destino, a costringerci a sacrificare il nostro futuro e quello dei nostri figli. E le colpe dei genitori ricadono puntualmente sulla nuove (future) generazioni.
Nel cast anche Piero Misuraca (Masino) e Pier Giorgio Bellocchio nel ruolo del ‘sordomuto’ che resta alla posta fino alla fine della storia. Le musiche sono di Carlo Rivelli e si fondono benissimo con le canzoni melodiche dell’epoca, dal messicano Armando Manzanero (E’ impossibile), interpretata da Massimo Greco, a Nino D’Angelo. José de Arcangelo

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