venerdì 19 ottobre 2012
Dopo trent'anni insieme ecco "Il matrimonio che vorrei" secondo Meryl Streep e C.
Una gustosa e garbata commedia per una coppia eccezionale come quella formata dai veterani e bravissimi Meryl Streep e Tommy Lee Jones, assecondati da un inedito Steve Carell, da “40 anni vergine” a “Crazy, Stupid, Love”, e oggi tra gli attori più richiesti a Hollywood.
Anche perché racconta l’apparentemente banale storia di un matrimonio che ha perso la sua speciale scintilla, ma lo fa senza eccessi di sorta né volgarità vecchia o nuova, di certo poggiando sulle forti spalle del terzetto protagonista, diretto con professionalità e mano sicura dal David Frankel de “Il diavolo veste Prada” che, però, aveva perso colpi e smalto in “Io & Marley”.
E se la storia e la commedia funzionano è merito della sceneggiatrice Vanessa Taylor – finita nella ‘lista nera’ dei migliori lavori cinematografici mai realizzati, che è stata ispirata da grosse questioni che riguardano l’argomento, soprattutto in America. “Ho riflettuto sul matrimonio – dice - e sul modo in cui le persone mantengono viva la passione e la sensualità nei matrimoni di lunga durata. Ho fatto delle letture su questi temi e sul ‘counseling’ matrimoniale. E ho cominciato a pensare come fai a riaccendere la scintilla se quella scintilla non era poi tanto viva nemmeno all’inizio? Specialmente dal punto di vista femminile; se una donna non è a proprio agio con se stessa e la propria sensualità, di quanto coraggio ha bisogno per farsi avanti e dire: ‘Il nostro matrimonio va bene, ma non abbastanza. Voglio di più. Merito di meglio’?”
L’autrice seppur non sia mai stata sposata, ha avuto relazioni in cui è venuta a crearsi una certa distanza col partner, tanto da aggiungere: “E’ stato scioccante scoprire quanto è difficile tornare indietro. Sembra che in qualche modo si dovrebbe essere in grado di ricucire quella frattura. Questo è stato uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere. Volevo sapere se queste persone potevano tornare indietro”.
E per scoprirlo bisogna seguire la vicenda di Kay (Streep) e Arnold (Jones), una coppia solida che, decenni di vita matrimoniale, hanno lasciato in lei il desiderio di ravvivare un po’ le cose e di ritrovare l’intimità perduta col marito.
Quando Kay scopre l’esistenza di un rinomato terapeuta di coppia, il dottor Bernard Feld (Carell), nella cittadina di Great ‘Hope Springs’ (titolo originale), cerca di persuadere lo scettico marito, uomo schivo e abitudinario, a salire su un aereo per trascorrere una settimana intensiva di terapia di coppia. Però, già solo convincere il testardo Arnold a sperimentare questo singolare ‘ritiro’ è un’impresa, ma la vera scommessa per entrambi arriverà quando cercheranno di liberarsi delle loro inibizioni a letto e di riaccendere la ‘scintilla’ che li aveva fatti innamorare al loro primo incontro, ‘secoli fa’.
Una lotta contro la routine, la ‘pigrizia’ e le piccole grandi manie che oltre trent’anni di convivenza hanno consolidato a scapito di erotismo e divertimento, raffreddando persino emozioni e sentimenti, nel profondo del cuore ancora vivi. Vista da un punto di vista nettamente femminile, tanto che una parte del pubblico maschile lo troverà, forse, noioso nella seconda parte.
Certo si tratta sempre e comunque di una commedia all’americana, in tutto e per tutto, e se non è proprio esilarante, almeno nella prima parte è divertente, però al centro della storia c’è un matrimonio tradizionale, se vogliamo convenzionale, che rispecchia mentalità, usi e costumi tipicamente statunitensi. Quindi, non siamo dalle parti delle commedie di Woody Allen né tantomeno dalle drammatiche “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman, ma proprio a metà strada e qualche scalino più giù, stando alle (buone) intenzioni di sceneggiatrice e regista.
Nel cast e in piccoli ruoli anche Jean Smart (Eileen, amica di Kay), Ben Rappaport (il figlio Brad), Marin Ireland (la figlia Molly), Patch Darragh (il genero Mark), Brett Rice (Vince, amico e collega di Arnold), Becky Ann Baker (Cora), Elisabeth Shue (Karen, la barista), ora passata al piccolo schermo come nuova protagonista di “CSI: Scena del crimine”; e la rediviva Mimì Rogers (Carol, la vicina), diventata famosa negli anni Ottanta con “Chi protegge il testimone”, e poi protagonista nei Novanta di tanti film, tra cui “Ore disperate” di Michael Cimino e, da noi, “Dimenticare Palermo” di Francesco Rosi (1990).
La fotografia è del tedesco Florian Ballhaus, figlio del leggendario Michael Ballhaus, che oltre ai film di Frankel, ha firmato anche “Flightplan”, “I pinguini di Mister Popper” e il remake di “Gambit”, di prossima uscita. I costumi sono dell’apprezzata Ann Roth, quattro nomination e un Oscar per “Il paziente inglese”; il montaggio di Steven Weisberg, da “Betty Love” a “Men in Black II” e “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban”, con la collaborazione di Matt Maddox; le scenografie del veterano Stuart Wurtzel, da “Hair” a “Letters to Juliet”; e le musiche di Theodore Shapiro, da “Starsky & Hutch” a “Candidato a sorpresa”, passando per “Il diavolo veste Prada”.
José de Arcangelo
2 stelle su 5
Nelle sale dal 18 ottobre distribuito da Bim
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