lunedì 22 ottobre 2012

Massimiliano Bruno presenta 'l'ospedale Italia' attraverso la vicenda di un onorevole 'spinto' a dire la verità e dei suoi tre figli

Cosa succederebbe se un giorno un politico cominciasse a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? Da questo presupposto parte la nuova commedia di Massimiliano Bruno “Viva l’Italia” – nelle sale dal 25 ottobre, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano per Italian International Film con Rai Cinema, e distribuito da 01 in 500 copie -, dove non si salva nessuno ‘né a destra né a manca’ e che già alla presentazione romana ha destato qualche polemica, tanto di rischiare di trasformare la conferenza stampa in una sorta di comizio.
Il politico in questione si chiama Michele Spagnolo (l’omonimo Placido), uno di quelli che comandano, ed ha tre figli: Riccardo (Raoul Bova), medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna (Ambra Angiolini), attrice di fiction senza alcun talento; Valerio (Alessandro Gassman), un buono a nulla in carriera che deve tutto al padre. L’ultima cosa al mondo che dovrebbe succedere ad un uomo politico è dire la verità… eppure, dopo una notte trascorsa con una ‘promettente’ soubrette televisiva, Michele viene colto da un malore, si salva, ma non senza conseguenze. Infatti, l’apoplessia ha colpito proprio la parte del cervello che controlla i freni inibitori ed ora il politico dice tutto ciò che gli passa per la mente, fa tutto quello che gli va e non ha la minima cognizione della gravità delle sue azioni. E da questo momento in poi Spagnolo diventa una mina vagante per se stesso, per la famiglie e soprattutto per il partito. Il tutto ambientato, principalmente, nell’ospedale dove si incrociano tutti i personaggi e contrapposto alla lettura degli articoli dimenticati della Costituzione
italiana da parte di un conduttore radio-televisivo interpretato dallo stesso Bruno, un’idea venuta agli autori (Bruno e lo sceneggiatore Edoardo Falcone) a sceneggiatura iniziata, tanto da spingerli a rileggersela per vedere quanto sia inapplicata nella realtà, “per sottolineare quello che non andava e chiudere il film col politico deciso a raccontare la verità in diretta”. Proprio è questa favola comica e irreverente, dolce-amara, ricca di colpi di scena, che usa come specchio una strampalata famiglia per raccontare il Bel Paese e le sue tante contraddizioni, prendendo ispirazione – come afferma l’attore-regista – dalla gloriosa commedia all’italiana anni ‘60/’70. Troppo urlata, forse; demagogica? Non troppo. Divide? Sicuramente. Segno che la verità fa male non solo ai protagonisti della pellicola e ai politici, ma anche ad una parte degli spettatori, visto che la verità ‘non’ è uguale per tutti.
“Oggi è molto complicato gestirsi a livello lavorativo – dichiara il regista -, la mia generazione può considerarsi fortunata, ma la situazione dei giovani di oggi è precaria, preoccupante e, forse, peggio ancora, tanto che se sei molto in gamba devi andare a lavorare all’estero perché qui non hai diritto a quello che ti aspetta. Abbiamo pensato che poteva essere divertente sottolineare i problemi del paese con una bella risata che diventa alla fine molto amara, perché d’altra parte c’è poco da ridere. La commedia in quanto tale è espressione sia artistica che politica, ma l’abbiamo dimenticato. Dall’84 in poi ‘se pensavi era sbagliato’, e così la componente sociale che aveva fatto grande la nostra commedia è stata cancellata, sebbene il suo obiettivo principale sia divertire. Ho cercato di raccontare la volgarità estrema del nostro paese, di una classe dirigente che dando l’esempio sbagliato crea ilarità anche nella realtà, virandola verso la commedia che amo, con quella con cui sono cresciuto, quelle che faceva ridere e piangere al tempo stesso, dalla ‘Grande guerra’ al ‘Sorpasso’. Ma non tutto è marcio come ce lo fanno sembrare, perciò volevo proporre anche un immagine di trasformazione, la possibilità di cambiare testa per vivere in un paese migliore. Altri film non fanno altro che fotografare il peggio del paese, ma non basta. Alla vigilia delle elezioni bisogna informarsi su chi è onesto e chi no. Grillo penso dica cose giuste in modo sbagliato e spesso nei suoi discorsi è troppo aggressivo, anzi violento.”
“Noi possiamo dire quello che vogliamo – ribatte Rocco Papaleo che è l’agente Tony – perché non abbiamo fatto un partito ma siamo degli artisti. Se avessimo fatto un partito poteva sembrare demagogico ma abbiamo fatto un film”. “Mi sono ispirato a tutti e a nessuno, da Berlusconi a Mele e Bossi, ma credo non si sia salvato nessuno, da destra a sinistra non si sono comportati proprio da padri della repubblica, più che a livello politico a livello morale. Devo dire che quando mi hanno fatto leggere il copione mi sono un po’ spaventato perché sono un cittadino mediocre e come loro quando incontro Berlusconi magari lo abbraccio, perché non abbiamo il coraggio di cambiare rotta. Mi sono ricordato quanto ero incazzato quando avevo vent’anni, ma bisogna pensare ai nostri figli che si scandalizzano mentre invece dovrebbero arrabbiarsi di più”.
Però nello studio del talk show, sul finale della pellicola, si vedono le gigantografie di Pertini, Berlinguer, Moro, Togliatti. “Li ho voluti nella trasmissione televisiva dello showman che ospita il politico – dichiara Bruno -, Sandro Pertini lo stimo e in questo momento non c’è nessuno come lui. Ci sono personaggi politici che stanno in Parlamento da trenta o quarant’anni, così come i funzionari, mentre le donne praticamente non esistono. Non c’è spazio in cui i giovani possano esprimersi come negli altri paesi europei, nemmeno per le nuove idee, anzi, se le hai le devi portare fuori e magari poi tornare. E non è un caso che da noi uno di 40 anni sia considerato ancora giovane”.
“Mi sono ispirata a me stessa – confessa Ambra Angiolini che di ricominciare daccapo ne sa qualcosa -, ai cambiamenti che io stessa ho fatto nella mia vita perché ho (ri) cominciato da me, si può dare e trovare segnali positivi anche nelle persone più comuni, vicine a noi. Riapriamo le porte, dobbiamo fidarci di qualcun altro, Susanna (la figlia dell’onorevole, il suo personaggio) non vuole essere un’icona di un mondo sbagliato. Anch’io faccio questo, magari mi metto in disparte perché faccio il lavoro che mi piace. Cerco le risposte in un libro, un film, un giornale ma non è così che funziona, non è la cultura che deve rassicurarci, deve porre e farci delle domande. Però chi dovrebbe rassicurarci non lo fa”. “Molti di noi aspettano la soluzione – afferma Raoul Bova che è il figlio medico, il più critico verso il padre -, che altri lo facciamo per loro, ma bisogna scegliere la via da seguire senza contestare, che in parte condivido, perché la realtà è dura e la politica corrotta. E poi, come nel film, alla fine non vince nessuno perché si perde sull’onestà, sulla bontà e sui cittadini”.
“La testa delle persone non cambia perché non c’è un esempio da seguire – conclude Bruno -, la sfida è cambiare la testa dei politici, e così il messaggio sarà migliore. Togliamoci di dosso gli ultimi dieci-vent’anni dei Moggi, Berlusconi, Corona. Come si fa a pensare che non ci siano persone migliori? Di solito si fa del cinema inutile che fotografa un mondo marico. Ma se dici quello che non ti piace deve mostrare quello che ti piace sennò fai del qualunquismo. Io mi pongo il problema del pubblico, che il film venga visto. Alcuni fanno i film per se stessi e i venti amici che poi lo premiano. La commedia è l’unica forma d’arte che parla direttamente al popolo, lo fa ridere dicendo qualcosa di intelligente. Ha il fardello di comunicare col pubblico e senza filtri”.
Ma nella commedia recitano anche Edoardo Leo (Marco), Maurizio Mattioli (Antonio), Rolando Ravello (Giansanti), un’inedita Sarah Felberbaun (Valentina) con un nuovo look che la rende ancora più bella; Imma Piro (Giovanna), Camilla Filippi (Elena), Barbara Folchitto (Anna), Nicola Pistoia (Roberto D’Onofrio), Valerio Aprea (il regista), Ninni Bruschetta (se stesso), Stefano Fresi (Santini), Remo Remotti (Annibale), Isa Barzizza (Marisa), Sergio Fiorentini (Cesare) e con l’amichevole partecipazione di Lucia Ocone, Sergio Zecca, Edoardo Falcone, Maurizio Lops e Urbano Lione. La fotografia è di Alessandro Pesci e le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia. José de Arcangelo

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