giovedì 29 novembre 2012
La seconda, grande, emigrazione italiana vista attraverso le vicende di un bambino nell'intenso e toccante "Itaker" di Toni Trupia
Storie di ordinaria emigrazione, ovvero quella degli italiani verso il nord Europa negli anni Sessanta, tra operai e magliari, miseria e razzismo. Da questo spunto parte "Itaker - Vietato agli italiani" di Toni Trupia, forse, per ricordarci che l'Italia è stata per oltre un secolo un paese di emigrati, e non solo all'inizio del Novecento. Il film, opera seconda del regista, co-produzione italo-rumena tra Goldenart Production e Mandragora Movies in collaborazione con Rai Cinema e con il contributo di Trentino Film Commission, arriva nelle sale il 29 novembre in tutte le città (a Roma anche all'Adriano e Giulio Cesare), distribuito da Luce Cinecittà. Anteprima il 3 dicembre a Palermo, in chiusura delle rappresentazioni di “Re Lear” di Michele Placido. Grande serata in Trentino a febbraio.
1962, un viaggio dall'Italia (Trentino) alla Germania: Pietro (Tiziano Talarico), bambino di 9 anni orfano di madre, partito per ritrovare il padre emigrato, di cui da tempo non si hanno notizie, accompagnato da un sedicente amico del padre, Benito Stigliano (Francesco Scianna), un giovane uomo dai trascorsi dubbi in cerca di un riscatto personale, e pronto a qualsiasi cosa per ottenerlo. I due incontrano mondi diversi: quello della fabbrica di Bochum, la comunità italiana in città (gli Itaker, "italianacci", uno dei tanti appellativi degli emigrati italiani in Germania); il mondo dei magliari, del contrabbando - fatto di valige ed espedienti - quello della convivenza non sempre pacifica tra italiani e tedeschi. Ma sono diverse piccole patrie in cerca di identità: la barista rumena Doina(Monica Birladeanu, da "Francesca" a "Lost"), il guardiano della baracca turco.
Il primo invitato a parlare è stato il piccolo Tiziano: "Lavorare con Francesco è stato bello, ma non mi trattava molto bene (il personaggio all'inizio, infatti, è molto severo con lui ndr.), però mi sono trovato benissimo con i macchinisti che sono molto simpatici. Un'esperienza fantastica".
"Una suggestione molto forte me viene da Michele (Placido, anche cosceneggiatore col regista e Leonardo Marini ndr.) - esordisce Trupia -, aveva sentito da un signore la storia di una ragazzina andata in treno a trovare il padre in Germania. Non era allora mia intenzione fare un film rivolto al passato, e l'idea di un bambino protagonista mi terrorizzava, poi ricordando che parte della mia famiglia era emigrata in Belgio, che ero andato a trovarli da piccolo, e ho realizzato che, nel benessere, li avevo trovato in una sorta di isolamento. A quel punto ho avuto modo di focalizzare l'idea di Michele, ma non sapevo dove volevo andare a parare. Il tema dell'emigrazione è legato al tema della paternità, di una perdita e poi del ritrovarsi. Ho ominciato a sentire mia la materia, le motivazionei sono un po' queste. Poi sono andato molto a fondo, e ho constatato che la seconda ondata migratoria è stata poco trattata dalla cinematografia recente. Sulla prima, grande emigrazione, ci sono esempi anche celebri, da Charlot al 'Nuovo mondo', e soprattutto quella che riguarda l'America; la seconda è stata un po' rimossa, forse, è caduta perché ci piace raccontare un momento felice, il boom, anche perché i motivi per cui partivano erano diversi. C'era la necessità di adeguarsi allo status, si partiva con l'idea di restare sei mesi fuori, invece poi si restava per anno o per tutta la vita".
Infatti di quella degli anni Cinquanta/Sessanta sono contati gli esempi, da "I magliari" di Francesco Rosi, appunto, a "Il gaucho" di Dino Risi (in Argentina) e "Italiano emigrato in Australia sposerebbe compaesana illibata" di Luigi Zampa, a parte quello ricordato dal regista, anni Settanta, "Pane e cioccolata" di Franco Brusati (in Svizzera).
"Volevo rendere giustizia allo sguardo del bambino - riprende il regista -, quella fabbrica vista in modo trasfigurato ha un senso, perché anch'io non ero nato oppure ero molto piccolo. Devo ringraziare perché la troupe è il meglio che potessi avere, visto che la mia opera prima era un piccolossimo film, e questo è il mio vero salto nel cinema professionista, e mi ha permesso di fare il film in modo fluido. Tutti molto bravi. Un film pieno di figure che hanno un'evoluzione narratriva importante".
"Avevo bisogno di arrivarci al racconto di un'epoca - prosegue -, e ci sono arrivato durante la preparazione film, attraverso riferimenti sia visivi sia letterari, soprattutto il libro delle lettere degli emigrati italiani in Germania che riporta la sintassi, le difficoltà di comunicazione; ma anche dei pochi film, soprattutto 'Pane e cioccolata' anche se in chiave diversa. In realtà Francesco ha a che fare con un mondo da affrontare con la stessa innocenza che avevo io guardando gli anni '60".
"E' stato rifiutato da tutti i festival - afferma la produttrice italianaFederica Vincenti -, perché 'troppo classico', anche da Muller. Anche se non mi piace mai dire quanto, è costato 2milione e tre, compresa la parte rumena. Le ciminiere della fabbrica sono stati aggiunte in digitale, perché erano rimaste solo due, ed è stato uno sforzo non indifferente. Le barecche, invece, sono state interamente ricostruite (in Romania dallo scenografo Nino Formica ndr.)".
"Da parte rumena è stata una vera partecipazione emotiva - ribatte Placido -, hanno detto 'allora gli italiani sono stati emigrati come noi, eravate come noi'. Odio fare telefonate - dice a proposito dei festival -, forse non l'hanno nemmeno visto. Ad Amelio (Torino Film Fest ndr.) non è piaciuto il bambino. Quando c'è uno sforzo, un certo tipo di lavoro viene premiato in ogni caso, anche se 'fai un vecchio film'. Alla prossima Berlinale ci sarà un focus sull'immigrazione in occasione del cinquentenari, forse lo prenderanno".
"Michele, un pomeriggio, mi chiamò e mi disse ti mando un progetto, leggilo - dichiara Scianna -. Lo leggo ma ci sto, risposi come avevo fatto per 'Vallanzasca', perché c'è arte, cuore e testa. Toni ci ha detto cerchiamo di aiutarci, dobbiamo creare intorno a Tiziano l'ambiente giusto. Forse anziché finanziare la politica - aggiunge sulla difficile o mancata distribuzione del cinema d'autore e opere prime - bisogna farlo con la cultura, far girare le cose di qualità. Il personaggio è meraviglioso ha un grande conflitto; sono stato a Napoli (nel film fa il napoletano ma lui è siciliano ndr:) e ringrazio chi mi ha aiutato. Ho conosciuto magliari veri oggi anziani. E' stata un'esperienza importante, credo che con l'impegno si vada avanti, si cresca. Ogni volta comincio tra le difficoltà mie, è un ruolo molto complesso ma Toni è stata una guida fantastica".
"Per me la vera scoperta è la figura dell'attore come essere complesso - riprende Trupia -; la lezione che ho imparato da Michele è che, in questo caso, sono stati coautori del risultato finale. Abbiamo passato un'estate intera a sviscerare la sceneggiatura, affondando emotivamente, e ognuno portato un bagaglio. E sono tutti attori da regioni diverse. Un lavoro molto particolare".
"Il cinema di qualità non si riesce più a difenderlo - afferma Roberto Cicutto di Luce Cinecittà -, le sale cinematografiche chiedono un minimo garantito, e non c'è nessuna differenza di visibilità. Una volta si riusciva a fare passare un messaggio non solo critica o di colore sui giornali, oggi siamo costretti a rinunciare, perché per la promozione abbiamo un numero basso, al massimo 200mila euro, e spesso dobbiamo ridurli. Bisogna capire che 'o si cambia il sistema, o non ci sono mezzi e condizioni per difendere questi film".
"Il mercato è completamente cambiato - ribatte Brancaleone di Rai Cinema -, il circuito distributivo deve affrontare altre strade, come il web, perché il mercato normale ha preso una piega molto diversa".
"Abbiamo collaborato coinvolgendo anche il museo storico di Trento - dice Laura Zumiani della Trentino Film Commission -, cercando di dare un contributo anche alla credibilità del territorio rispetto all'emigrazione. Siamo soddisfatti del risultato, e finora abbiamo coprodotto 26 opere. Il nostro scopo è lavorare in stretto contatto con gli autori e la produzione. E' un banco di prova per il territorio, e poi il fonico e il bambino sono trentini".
"Personalmente il mio percorso narrativo si è incentrato sulla scoperta del sentimento tra i due personaggi. La paternità da parte di entrambi, ha a che fare con questo, al di là del sentimento di patria, si tratta di mancanza e ritrovamento. Approfondendo il fatto dell'identità che cercano loro due, che ha poco a che fare con quello che fanno. In sceneggiatura c'era un altro finale, ma abbiamo capito che non funzionava, tanto che abbiano girato film senza sapere come sarebbe finito, con un angoscia assurda. Poi ci è venuta l'idea di una chiusura (in realtà finale aperto, se vogliamo sospeso ndr.)con Francesco che si allontana verso un futuro non è certo, la stessa cosa si può dire di Tiziano/Pietro perché anche lui ha trovato un riferimento e si prepara ad affrontare da solo la vita".
Infine, Trupia dice di aver avuto un messaggio su facebook di una ragazza italo-tedesca: 'Sono in Germania, nata e cresciuta qui, la parola 'itaker' l'ho conosciuta oggi ed è molto offensiva, ma dell'identità dei figli degli immigrati non ne parla nessuno. In Germania ti guardano come se ti potessero ammazzare, gli italiani temono, invece, che togli loro il lavoro, non sappiamo qual è il nostro paese, la nostra vera identità'.
"Toni diceva 'il gruppo funziona perché è eterogeneo' - confessa Nicola Nocella -, io faccio un livornese ma sono pugliese, avevo le clip con le battute perché Toni aveva deciso che Goffredo fosse toscano. Mi piace Jutta (Eva Allenbach) perché molto donna e molto brava (nel film un trans ndr.). Era difficile veicolare il messaggio senza essere volgari, così togliendo qualche battuta, è rimasto 'sei omo?!' con cui si possono dire tante cose. E Toni lavora con la testa e il cuore”.
José de Arcangelo
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