giovedì 17 gennaio 2013

Django rinasce cinquant'anni dopo grazie a Quentin Tarantino e colpisce ancora

Django è tornato, anzi è rinato, quasi cinquant’anni dopo il primo film omonimo film di Sergio Corbucci (1966) con Franco Nero che, lungo questi anni, è diventato un vero e proprio cult che, allora, aveva dato vita ad un vero e proprio filone non più interpretato da Nero, ma soprattutto da Anthony Steffen (all’anagrafe di Roma, Antonio Luiz De Teffè), e oggi riappare sul grande schermo grazie a Quentin Tarantino. Alla fine degli anni Sessanta il suo nome divenne garanzia di spaghetti western doc, tanto che in “Preparati la bara” di Ferdinando Baldi, interpretato da Terence Hill, era ancora protagonista e il suo nome dominava il titolo internazionale. Il filone però fu sigillato definitivamente da “Django 2 - Il grande ritorno” (1987) con lo stesso Nero, diretto da Nello Rossati, quando ormai lo stesso genere era tramontato da anni. Infatti, Tarantino si ispira soprattutto al genere, anche se cita e omaggia l’originale, tramite un ruolo cameo riservato a Franco Nero, e prende in prestito ambiente e personaggi, inquadrature e situazioni da più film, inclusi quelli del maestro Sergio Leone e le musiche originali rielaborate dallo stesso Luis Bacalov, ma anche quelle di Ennio Morricone. E persino il tema del film, cantato stavolta da Elisa. Ma la storia riecheggia altri film attraverso il personaggio centrale, che stavolta è uno schiavo diventato cacciatore di taglie, e un ambiente che non poteva essere altro che western, visto che - secondo lo sceneggiatore-regista - sono “grandi e magistrali rappresentazioni del bene e del male”. Il nuovo “Django Unchained”, offre un’occasione anche per parlare dello schiavismo nel Grande Paese, argomento quasi dimenticaato che il cinema raramente ha trattato seriamente e quando l’ha fatto è stato attraverso melodrammi, tipo “La capanna dello zio Tom”, guarda caso portato sullo schermo dal tedesco Geza von Radvanyi nel 1965, o serial quali “Radici”, per finire negli anni Settanta con il dittico “Mandingo” di Richard Fleischer (1975), seguito da “Drum, l’ultimo mandingo” di Steve Carver (1976), anche qui indirettamente citato attraverso gli scontri all’ultimo sangue a cui erano costretti gli schiavi. Due film realizzati sulla scia della 'blacxplotation'. Però l’autore, appassionato di film di genere, non solo italiani, si diletta ad assegnare ai suoi personaggi nomi di artigiani come Leonide Moguy, il regista franco-russo che fece qualche film anche in America, o il nostro Giorgio Ferroni (dal mitologico allo spaghetti western, appunto) attraverso il suo pseudonimo inglese Calvin (J. Padget), mentre per la protagonista femminile sceglie il tedesco Broomhilda, che confessa di averlo pensato prima di parlare col coprotagonista Christoph Waltz che, invece, gli ha raccontato la storia d’amore tra Brunilde e Sigmundo della saga dei “Nibelunghi”, riportata anche nel film. Un omaggio godibilissimo al western all’italiana, il quale aveva avuto anche un’evoluzione ‘impegnata’ ispirata alla rivoluzione messicana, mentre qui si passa alla rivolta (vendetta?) degli schiavi, presente anche nel genere mitologico nel sottofilone ispirato a “Spartaco” e ‘gladiatori’ vari, non ultimo quello di Ridley Scott. Dato che anche Tarantino, come i Wachowski, ama le contaminazioni, la sua ambiziosa nuova opera, oltre il tocco personale, rievoca anche l’estetica della violenza di Peckinpah (senza il rallenti), partendo da quella dell’originale di Corbucci, allora accusato di eccessi di crudeltà e ferocia, tanto da guadagnarsi il divieto ai minori anche all’estero. E anche questo era una novità per un genere in passato destinato ai ragazzi di tutte le età, tanto che lo stesso cinema americano negli anni Settanta, infatti, adottò l’ultraviolenza nel western. Tornando al film di Tarantino, possiamo anche dire che si tratta di un ‘southern’ visto che è ambientato nel sud schiavista degli Stati Uniti alla vigilia dello scoppio della Guerra Civile. Lo schiavo Django (Jamie Foxx, Oscar per “Ray”), finito in catene, si ritrova faccia a faccia con il dott. King Schultz (l’altro premio Oscar Christoph Waltz), un misterioso cacciatore di taglie di origine tedesca, e finisce per diventare il suo ‘assistente’ nella ricerca dei fratelli Brittle, noti assassini ora al servizio di un potente schiavista. Infatti, il bizzarro Schultz gli promette di donargli la libertà una volta catturati i Brittle, vivi o morti (ma in inglese recita morti o vivi). Il successo della loro missione induce Schultz a liberare Django e i due uomini decidono di non separarsi, anzi Schultz sceglie di partire alla ricerca dei criminali più ricercati del Sud e aiutare Django a trovare l’amata moglie Broomhilda (Kerry Washington), che aveva perso tempo prima perché venduta come schiava al proprietario di un’altra piantagione. La loro ricerca li porta da Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), eccentrico proprietario di Candyland, però una volta arrivati sul posto la strana coppia suscita i sospetti di Stephen (Samuel L. Jackson), lo schiavo di fiducia del padrone. Quindi, un western spettacolare, a tratti sorprendente, da vedere senza pregiudizi né preconcetti, perché come dichiara lo stesso autore, la storia “Non può essere più terribile di come fosse nella realtà. Non può essere più surreale di come fosse nella realtà. Non può essere più atroce di come fosse nella realtà. Non possiamo immaginare il dolore e la sofferenza provata in questo paese, il che lo rende perfetto per rappresentare uno ‘spaghetti western’. La realtà del periodo supera di gran lunga la storia più bella che si possa inventare”. Nel nutrito e ottimo cast – al posto dei vecchi caratteristi rilanciati dalla Hollywood sul Tevere e riportati in Almeria (Spagna) - anche Walton Goggins (Billy Crash), che rivedremo in “Lincoln”; Dennis Christopher (Leonide Moguy); Don Johnson (Big Daddy); Nichole Galicia (Sheba), e camei, tra gli altri, di James Remar (Butch Pooch/Ace Speck), James Russo (Dicky Speck), Robert Carradine (Tracker), Jonah Hill (Bag Head), Lee Horsley (sceriffo Gus), Bruce Dern (vecchio Carrucan), Russ Tamblyn, Amber Tamblyn, Don Stroud (sceriffo Bill Sharp), e naturalmente lo stesso regista. José de Arcangelo (3 stelle su 5) Nelle sale dal 17 gennaio distribuito da Warner Bros. Pictures Italia

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