venerdì 8 febbraio 2013

Roberto Andò e Toni Servillo gridano "Viva la libertà " per un'Italia che deve cambiare tra passione e speranza

"Viva la libertà" in un'Italia che non c'è (più) e dovrebbe essersi, soprattutto in politica, dal romanzo "Il trono vuoto" al film dello stesso Roberto Andò, sceneggiato con Angelo Pasquini e con un ottimo, doppio, Toni Servillo come protagonista, dal 14 febbraio al cinema distribuito da O1 in circa 100 copie. Una storia di lucida follia e passione assopita in attesa della speranza. "Sono molto emozionato per la reazione di incoraggiamento - esordisce Andò alla presentazione stampa romana, alla Casa del Cinema, sul lungo applauso alla fine del film -, l'intenzione che avevo, e credo anche Pasquini, era la voglia di immaginare qualcosa che sulla scena non c'è, non lamentele che ne sono state fatte tante e poi abbiamo declinato ad altri, un personaggio che portasse un vento di cambiamento, perché quando c'è anche in una stanza cambia qualcosa. Personaggi che ho incontrato che sono i clandestini nell'attualità e quando arrivano in scena portano un'idea, un pensiero. Lo si trova, a volte in provincia, è un depresso, e l'idea dello scambio ce ne sono di straordinari nella letteratura, ma si impone una leggerezza per affrontarlo, forse sono arrivato troppo tardi, però mi sembra un territorio da non abbandonare. Il libro ha avuto un notevole successo (Premio Campiello Opera Prima 2012 ndr.), il film dissi lo devo fare col volto che possa dare concretezza a questa doppia immagine. Mi capita spesso di pensare a Toni (Servillo) e non l'avrei fatto se non avesse accettato. E' molto concreto, molto ipotetico, questo fa sì che sia un attore straordinario che esprime qualcosa che non c'è, il pensiero. Ho scelto tutto il cast, mi venivano subito in mente mentre scrivevamo. Valerio era proprio lui, via via ho incontrato tutti Valeria (Bruni Tedeschi), Anna (Bonaiuto). Spero tutto questo si trasmetta al pubblico e accompagni chi andrà a vedere il film".
"E' naturale che quando mi ha accennato di questo personaggio doppio - ribatte Servelli - che per un attore che fa teatro in maniera militante, non occasionale, come me abbia invitato a seguire una tradizione di due personaggi legati, soprattutto perché non mi era mai capitato di fare due gemelli, era un'occasione ghiotta, e applicato alla politica poteva moltiplicare le sorprese. Il fascino sta nella sceneggiatura, come se in questo film il politico si sentisse, e noi volessimo raccontare la necessità che la politica ritorni, in primis quando Ernani fa riferimento alla cultura, non solo in quanto essa stessa, ma come slancio morale, perché legata alla vita, alla concretezza che passa attraverso la depressione con gli inciampi del tempo. Per il meccanismo del doppio, abbiamo lavorato (e girato ndr.) prima su Enrico (Oliveri), poi su Giovanni (Ernani), per sottrazione, ma, forse, è unico, e Oliveri è una specie di Dottor Jekyll e Mr. Hyde, infatti, la solidità della costruzione di tutti i personaggi apre verso un finale ambiguo. Per me è stata un'occasione come per i topi il formaggio". "Ho visto il film pochi giorni fa - confessa Mastandrea -, e mi sono sorpreso della mia sorpresa, del mio entusiasmo, tanto che ho guardato e apprezzato con grande attenzione. Per me un lavoro molto sottile, ci eravamo incontrati con Toni, però non avevamo mai lavorato insieme prima, con Michela (Cescon) nei film c'è sempre una porta che si apre tra noi due. Mi incuriosiva, affascinava poi il fatto del doppio. Esistono secondi ruoli che mi piacciono da morire, soprattutto nel cinema americano, mi appassiono dai ruoli d'argento (Nastri ai non protagonisti ndr.), di essere secondo. Il fascino l'ho visto adesso nel mio ruolo che, col dovuto rispetto, mi è sembrato quasi ci potesse arrivare, e mi sono quasi piaciuto. Lavorare con Toni è stata un'esperienza molto ricca perché è un attore così importante, e lui conosce tutto del film, e anche di te, è come lavorare con la Digos creativa". "Ho desiderato lavorare insieme a lui e il momento è arrivato - ribatte Servillo -, tanto che quando ho letto la sceneggiatura, subito ho detto Bottini è Mastandrea, per il desiderio di recitare con un collega con cui dovevamo giocare al gatto e al topo; altrettanto dicasi per Valeria, nella parte francese. Avevo bisogno di due attori che sostenessero la problematicità del persoggio, anche Michela (Cescon) con cui ho lavorato a teatro. Avevo un grande desiderio che fossero loro". "Ho amato molto i film e sono felicissima esserci - dichiara la Cescon che è la moglie Anna -, anche perché con Andò avevo già fatto diverse cose. E' emozionante fare un percorso insieme perché ti consolida. Due ruoli femminili, due belle presenze in momenti diversi della loro vita con le stesse emozioni, a me sempre nuove, a lei per quello che ha vissuto prima". "Lo slancio di lavorare con Servillo - afferma Valeria Bruni Tedeschi - che amavo tantissimo tramite i film di Sorrentino, la storia, il cuore del film mi hanno appassionato; poi, guardandolo, ho capito che non è solo politico, ma una riflessione su noi stessi, come se noi fossimo doppi dentro: un essere superiore che controlla, è più efficace e di solito vince, ma non tanto connesso con l'inconscio; mentre l'altro, nello slancio, ha una creatività forse grossolana, però questa parte di noi non ha bisogno di essere controllata, non vuole il potere, e ciò la rende intelligente, libera. Quando uno se ne frega è molto più libero, se questo doppio vincesse sarebbe più efficace e ci darebbe grande allegria". "Credo che il clima del Paese sia rimasto quello - riprende il regista -, che in politica ci siano ancora persone di buona volontà, e mi sta a cuore la sinistra, sempre. Il film mette in scena quello che possa e deva essere, e la distinzione credo sia il caso di sostenerla, mantenerla. Non ha riferimento con la realtà, è nutrito da tutto quello successo nel passato nel paese, e ognuno ha una storia romanzesca dentro sé, spesso lo è. Ci sono appigli romanzeschi, a volte del romanzesco triviale altre shakespeariano, interessante. Le persone di buona volontà col desiderio di cambiare certe cose cred esistano ancora, ma la stanchezza ha annebbiato la speranza, perché sono dei truffatori. Ora siamo molto lontani dalla speranza, ma come diceva Camus 'quando non c'è bisogna inventarla',"
"Penso possa servire a qualcosa nei limiti del nostro lavoro - dice Servillo -, il film deve suggerire emozioni al servizio del pensiero, far pensare emozionando. La sensazione è che, probabilmente, può suggerire a qualcuno che ha l'impressione di essere superiore di dimostrarlo. Io parlavo di militanza, non di attori che si prestano solo qualche settimana al teatro, io lo faccio per 230 giorni all'anno, il mio è un impegno concreto non ideologico, non vorrei fare distinzioni ma anziché continuare a interpretare dei politici (da 'Il divo' a 'Bella addormentata' ndr.) preferirei fare Valmont. Faccio un mestiere non per sostenere un'ideologia, ma suggerire un dialogo democratico, non lanciare messaggi né fare ruffianeria. I politici interpretati nel Divo e nel film di Bellocchio abitano lo stesso territorio ma sono visti da prospettive e drammaturgie diverse. Noi attori facciamo dei 'trucchi' di cui non bisogna fidarsi, tanto che spesso ci dicono 'io a cena con te non ci vengo mai, perché non si capisce mai chi siete'. La nostra è una semina intellettuale, morale. Oliveri (il suo personaggio politico ndr.) è una persona totalmente in crisi che dà astrattezza al persoanggio. Ricerca negli inciampi e cade per inseguire una donna che sa ha sempre amato l'altro, quello che si sostituisce a lui. La mortificazione di una donna che ama, un movimento, una spinta legata alla vita che lo allontana dall'astrazione del teatrino della politica, tanto che al dibattito non si capisce di quello che sta parlando. E come mia madre che aveva predilezione per me che mi alzavo alle 5 per andare all'università, ma svegliava mio fratello alle 4 per chiedere a lui a che ora mi dovevo alzare". "Ho messo Berlinguer - confessa Andò, sul grande primo piano sorridente che si vede sul muro - perché ha rappresentato il romanzesco proiettato in questo volto scavato, interiore, profondo, serio, rigoroso e con un sorriso meraviglioso. Un politico che ha vissuto momenti difficili e finito l'ultimo periodo isolato dal proprio partito; in parallelo c'era Moro che ha proiettato sul suo volto una serie di domande, definito 'pessimismo meridionale' secondo cui 'le illusioni corrono verso la morte', ma lui ha rotto questo programma. Berlinguer è quel volto che proietta ancora molto, ha a che fare con la storia, alimenta una vicenda che riguarda vent'anni e scommette su un futuro, scavalcando un momento molto difficile. E' una specie di talismano. Non ho nominato nessuno e il film l'abbiamo costruito io e Barbagallo, una persona con cui sono unito da rapporti d'amicizia, insieme per la prima volta nel lavoro. E ci siamo posti in mdo semplice rispetto all'uscita. Giusto che il film, essendo pronto, potesse uscire ora perché non ha elementi di cronaca politica, non offre la possibilità di strumentalizzarlo, la provenienza che l'anima non si colloca nemmeno dalla parte nostra, solo il desiderio che esca fuori per chi se ne voglia impossessare. Dal libro al film, c'è un comizio ispirato a Bertolt Brecht, attraverso una poesia scritta in anni completamente diversi (ma ancora attuale e potente ndr.), per mettere la politica nelle mani dei cittadini, venga restituita a loro che gli danno peso, non c'è posto per una figura carismatica. Credo che il film si sottragga alla strumentalizzazione, ma probabilmente verranno a vederlo anche quelli che penseranno il contrario". "Queste icone Andò le rimette al centro - dice Servillo -, Fellini in un aspetto non conosciuto, incazzato, mentre dice siamo tutti vittime, durante la battaglia con le antenne contro le interruzioni pubblicitarie. Un'opera d'arte, una poesia è un travestimento, i giovani non sanno che nel comizio lui usa le parole di Brecht, ma se vorranno approfondire capiranno, il film mette in moto un meccanismo. Un personaggio come Mung (il marito regista di Danielle ndr.) è il terzo uomo, un artista che raccoglie qualcosa che viene da Fellini per il suo film, che con la donna amata dai due offre un quadro di normalità, amore, tenerezza. Personaggi che travestono segnali che non sono né autoflagellatori né autoesaltanti ma mettono in moto qualcosa del rimorso (Berlinguer, Fellini e il regista orientale amato come una rockstar) per poi costruire".
"Ho voluto mettere lì Fellini - ribatte Andò - perché si deve ripartire dalla cultura, di cui spesso i grandi partiti si tengono alla larga; e ritrovare i propri dei, in quel momento del film attraverso le sue parole ricche di politica e cultura insieme mostra cos'è fare politica e cosa si può fare attraverso un personaggio geniale, visionario, disinteressato ai problemi, che ci dice che qualcosa farà franare la civiltà perché è in uno squilibrio irreparabile. E noi raccogliamo questo testimone". "Quando mi ha fatto leggere il soggetto - dichiara il produttore Angelo Barbagallo -, prima della pubblicazione del libro, mi è piaciuto però mi sembrava difficile, costoso, irrealizzabile; comunque dissi 'Prima di andare avanti vediamo se Toni ha voglia di farla; la seconda cosa era che non volevo uscire dal film senza speranza (non li voglio fare più!), e forse ce la possiamo fare". "La politica che si fa spesso in televisione registra un vaniloquio - aggiunge il regista -, a volte in maniea corretta, che i giornali amplificano. Mi ricordo un dibattito con Eco e Montanelli, in cui si diceva 'è come se la Citroen facesse pubblicità alla Renault'. La televisione - che spesso ha un filtro - ha occupato lo spazio degli giornali". "Nel film due sentimenti forti - afferma Pasquini - vengono evocati: la 'passione' è un auspicio che un sentimento possa animare la politica; il secondo è la 'leggerezza' stessa con cui è stato realizzzato. Trattare il tema e la proposta da Roberto in modo che non diventasse pesantezza o della critica poltica, che comunque c'è". Qualcuno accenna a Bersani, D'Alema e Renzi, ed è Servillo a rispondere "Non pensato né a uno né l'altro - confessa Servillo -, con tutto rispetto, ma ho fatto 'Tartufo', 'Il misantropo', ho lavorato sui riferimenti che ho nell'immaginazione. Ernani non è un pazzo, perché sarebbe andato a finire come le 'commediole in cui dicono mettiamoci un pazzo'. I riferimenti per farlo non è nessuno della politica, ma professori universitari, scrittori, artisti. Sulla speranza siamo molto felici dell'aria allegra per poter restituire argomenti seri in qualcosa di leggero, altrimenti sarebbe banale. E' come buttare un sasso su un lago stagnante, dire che sia possibile muovere le acque. Un rischio evitato perché sarebbe stato presuntuoso, non sta a noi, suggerire energie vitali per evocarsi la lapide, non serve niente, sganciare il film sulla politica senza nessuna speranza, è un atteggiamento insolito".
"E' nelle mani dell'elettorato - conclude il regista sul futuro -, il momento che stiamo vivendo non è mai apocalittico, e sempre portato verso la speranza, che di per sé è già un atto di speranza, vigilato a chi consegnamo un paese che ha speranze, ma non vedo rassegnazione. Si sta smuovendo l'energia migliore per trovare una strada. Mi auguro vinca la sinistra ma non significa che altri non abbiano la propria speranza politica". José de Arcangelo

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