venerdì 22 febbraio 2013

"Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare!", è questa L'"Educazione siberiana" di Gabriele Salvatores/Nicolai Lilin

Approda nei cinema l'atteso "Educazione siberiana" di Gabriele Salvatores - regista premio Oscar per "Mediterraneo" -, dal libro omonimo di Nicolai Lilin (Giulio Einaudi Editore), prodotto da Cattleya con Rai Cinema e distribuito, dal 28 febbraio, da O1 in 350 copie. "Ringrazio Rai Cinema e Cattleya per aver sostenuto un progetto non facile - esordisce Salvatores alla presentazione stampa romana -, pieno di rischi, il loro coraggio non è usuale. Abbiamo fatto delle proiezioni test a Londra, e qualcuno chiedeva perché non c'era un dialogo più lungo e aperto tra i ragazzi. Nel frattempo però erano passati dei mesi dalla fine delle riprese, gli attori si erano tagliati capelli, erano cambiati, ma la produzione ha deciso di rigirare la scena". Ambientato nel sud della Russia, in una città divenuta una specie di ghetto per criminali di varie etnie, due bambini di 10 anni, Kolima e Gagarin, crescono insieme, amici per la pelle. L'educazione che viene impartita è piuttosto particolare: il furto, la rapina, l'uso delle armi. Il loro clan ha delle regole precise, una specia di codice d'onore, a volte persino condivisibile, che non va tradito per nessun motivo. Il tempo passa, i due ragazzi crescono mentre il mondo intorno a loro cambia radicalmente... E la storia abbraccia un arco di tempo che va dal 1985 al 1995. E poi aggiunge sul film: "L'ultimo nato è quello a cui si è sempre più affezionato, non spero che siate tutti d'accordo, ma è quello che io preferisco. Un film di prime volte, per uscire dal guscio di sicurezze. Spero abbia un buon riscontro anche in Italia, visto che ci sta provando più di uno ad aprire una piccola breccia produttiva, non solo dal punto di vista economico, ma per trovare una dimensione europea, se ci fossero i soldi". "Ovviamente l'Oscar è un riconoscimento importante, tutti lo conoscono, ma non è un premio a cui mirare, è il riconoscimento dell'industria americana con tanto di copyright. Film brutti l'hanno vinto, altri belli non l'hanno avuto. Perché non importa se il maestro è buono o cattivo? "Vorrei che il pubblico notasse che, buoni o cattivi, l'importante è che i maestri ci siano. Per dare la possibilità ai loro 'allievi' di confrontarsi, di decidere con la propria testa, di poter magari, arrivare a dire al maestro che ha sbagliato, quindi di crescere. Bisogna prendersi la responsabilità e il coraggio di dire: 'questo è bianco e questo è nero', anche se non ne sei totalmente sicuro. Anche se poi sarai smentito. Come se un regista dicesse agli attori si fa così, così o cosà, scegliete voi. Nello stesso modo un genitore con un figlio. Oggi il consenso generale sembra l'unica strada, i bravi maestri non si trovano. Allora dico, meglio un cattivo maestro che nessun maestro". "Credo abbia poca rilevanza - afferma lo scrittore Lilin sui movimenti indipendentisti nati in quel periodo -, importante è l'approccio, il mio non è un romanzo storico né giornalistico, ho cercato di raccontare storie umane, nel crollo generale; se volevo parlare delle guerre indipendentiste, ce ne sono parecchie. Non è rilevante nemmeno per il film, perché è la revisione di una revisione letteraria. Una storia libera, universale, adattabile a qualsiasi paese; le stesse cose succedono oggi in Medio Oriente, lo so da amici, dalle lettere e informazioni che ci scambiamo, ci sono molti connubi nel libro e nel film". "Può darsi che Tornatore sia piaciuto più di me - confessa il regista sul fatto che la sua opera non è stata presa dal Festival di Berlino -, anche se poi non era in concorso". "L'altro film di Gabriele 'Io non ho paura' era stato preso - ribatte Marco Chimenz di Cattleya -, l'importante è il film si fa vedere, l'abbiamo mostrato ai compratori, è questa la valenza del festival in se stesso; ci ricordiamo di 'Cesare deve morire' dei Taviani, il premio non ha avuto il minimo impatto sull'esito del film in Italia e nel mondo. Ai festival non bisogna dargli più importanza di quella che hanno." "Sebbene sia un grande lettore di libri di storia russa - dichiara John Malkovich, nel ruolo di nonno Kuzja -, non sapevo nulla sulla comunità di criminali. Ho letto un libro di uno scrittore siberiano che scrive in francese, per prepararmi tutto sulla scrittura, e mi sono basato su quello che era scritto sulla sceneggiatura perché poi è quello devi realizzare, mi interessano e capisco di più gli aspetti pratici. La storia non tocca a me raccontarla, ma a Nicolai. I tatuaggi (di cui è coperto il corpo del personaggio ndr.) hanno un'importanza grandissima, ma avevamo una bravissima truccatrice, comunque alcune scene hanno richiesto parecchio tempo, soprattutto quella della sauna. Tutti i tatuaggi raccontano molto del personaggio, così come i costumi, la prima cosa che vedi sul personaggio, perciò tendo a lavorare in stretta collaborazione con la costumista (Patrizia Chericoni ndr.). Ho avuto dei fantastici maestri molto importanti nella mia vita, ma ho imparato anche da colleghi più giovani; in Francia ho fatto una tournée con giovani attori e ho imparato tantissimo da loro". "La prima volta che ci siamo incontrati con John, la truccatrice e la costumista - continua il regista -; lui ha iniziato toccando le camicie, scegliendo i colori da portare, e ho scoperto che abbiamo tante esperienze in comune, tra cui quella di considerare il costume la prima cosa, è un rito che viene dal teatro, per non parlare del kabuki". "Il libro ha una quantità enorme di personaggi e aneddotti - prosegue sul romanzo -, tra cui un ragazzino strano che vive su una locomotiva e viene chiamato 'il ferroviere', ma non si può mettere tutto. Bisogna individuare una linea narrativa che è quello che hanno fatto Rulli e Petraglia (gli sceneggiatori ndr.)". "Trovare una linea narrativa centrale - ribatte Sandro Petraglia -, e abbiamo voluto dare più peso al personaggio di Gagarin, sorta di co-protagonista; una storia che, al di là della storia della Russia, riguardava anche noi: la crisi dopo la fine delle ideologie. A cosa legare i giovani per trovare un senso, in Kolima attraverso l'attaccamento alle radici, dentro la comunità; mentre Gagarin vuole rompere questi legami, per sposare quella dei soldi, ma nessuno dei due riesce a trovarle. Ricostruire un senso nel finale, il sogno di ricomporre l'amicizia in un altro mondo, un altro spazio, il bisogno di radici, di un'identità e di poter cambiare". "Il film è costato 9 milioni di euro - aggiunge Chimenz - ed è stato venduto in molti territori (attraverso la Weinstein), ma non è facile scegliere sempre 'la miglior offerta'. Ora abbiamo avuto un'offerta da Canada e dagli Usa, ma tra il mercato Berlino e quello di Cannes, credo sia stato venduto in tutto il mondo". "Il cambiamento mi interessava, ovvio - riprende Salvatores -, cambiamento fondamentale della storia contemporanea e dall'adolescenza all'età adulta, credo uno possa contenere l'altro. In Italia il maggior numero di morti sono donne e giovani, il futuro. I giovani sono il futuro, perciò io accetterei la pena di morte solo per chi uccide i bambini. Il film racconta di due ragazzi che dovevano inventarsi futuro, in un decennio particolare non lontano nel tempo ma che sembra lontanissimo. Abbiamo girato in Lituania, nei dintorni di Vilnius, e abbiamo dovuto ricostruire tutto: li non ci sono scritte in cirillico, né simboli, abbiamo dovuto rifare tutto: dalle macchine ai pacchetti di sigarette. E il film esce febbraio mentre il Papa si dimette". "E' la mia primissima esperienza nel cinema italiano e con Gabriele - dichiara l'attrice Eleanor Tomlinson che è Xenja -, è stato eccitante, stimolante conoscere il lavoro di Gabriele, e sono stata immediatamente presa ed entusiasta da questa esperienza con attori coetanei e famosi, mi ha fatto crescere ed imparare". "Non conoscevo Salvatores - afferma Arnas Fedaravicius che è Kolima -, e quando sono stato scelto ho cominciato una ricerca e ho capito la dimensione del film a cui avrei lavorato. E' stata un'esperienza emotiva con un regista che sul lavoro è mitico e magico, non c'era quasi bisogno di parlargli, ma di sentirlo. E' stato bellissimo aver potuto lavorare con attori importanti che si ispirano nella vita. Vorrei ringraziare tutti quanti, inclusa la troupe". "Devo essere onesto - condivide Vilius Tumalavicius che è Gagarin -, neanch'io conoscevo Salvatores, ma da quando ho cominciato a lavorare sul set è stato sempre felice; se fai degli errori non ti sgrida mai, veniva da me e me ne parlava. Ha una strana qualità, sa come dirti le cose, le dice solo a te e solo te puoi capirle, perfettamente, di cuore". "Sergio Leone è uno dei registi che amo molto - aggiunge il regista di "Happy Family" -, ma uno dei miei primi maestri è stato Nino Baragli che ha montato tutto il cinema di Pasolini, di Fellini, è qualcosa che mi ha lasciato fin da 'Marrakesh Express'; ma ci sono film che raccontano una storia, e anche quelli non le raccontano. Io li amo entrambi, ma faccio quelli che raccontano una storia. Del libro mi interessava il mondo che raccontava, è un'opera letteraria. Il riferimento non è fatto coscientemente, la scena della giostra non c'era nel romanzo, ma è uno dei piccoli cuori del film, mentre la prigione c'era pero in un contesto diverso". "Il giorno che non avesse più sogni nel cassetto - conclude Salvatores - non farei più questo lavoro. La forma mi piace cambiarla perché quando sai già fare una cosa, ti sembra meglio fare qualcos'altro, trovari altri modi e generi nuovi per raccontare". E la frase del romanzo/film che preferisce è: "(E' folle volere troppo). 'Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare!' e se ognuno seguisse questa regola staremo tutti meglio". E tutti gli interpreti del film condividono. "Il fatto della ricerca di ingrandire i film - chiude Del Brocco di Rai Cinema -, con le dimensioni più importante, una storia nel mondo, sicuramente il prossimo film sarà su questa strada già intrapresa, per un pubblico largo, 'Educazione siberiana' si può rivolgere ai giovani, non solo al pubblico ama Salvatores, ma il cinema in generale". José de Arcangelo

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