lunedì 15 aprile 2013
A proposito di Almodovar & Corsicato nei cinema, un ritorno alla commedia grottesca rischiando la farsa
Nei cinema italiani sono arrivate le nuove opere di due autori cinematografici che hanno più di un punto in comune - soprattutto in quanto a stile e tematiche -, ma entrambi si sono rivelati al di sotto delle loro capacità, o forse vittime inconsapevoli di quella stessa materia che volevano mettere alla berlina col loro stile particolare, se vogliamo eccessivo, ma sempre ricco di rimandi, citazioni, frecciate e corrosiva ironia. Si tratta dello spagnolo Pedro Almodovar e del napoletano Pappi Corsicato.
Il loro cinema, sempre in raro equilibrio tra commedia e mélo, stavolta pende più verso la prima, alla disperata ricerca del sapore e della vitalità delle loro prime pellicole che, senza esagerare, avevano rivoluzionato sia l'uno che l'altro 'genere' - entrambi da sempre seguiti e amati dal grande pubblico -, conquistando non solo la critica ma anche lo spettatore più sofisticato e attento.
Infatti, difficile ritrovare la sana cattiveria e la dirompente ribellione femminile dell'Almodovar di "Cosa ho fatto per meritarmi questo?" e "Donne sull'orlo di una crisi di nervi", però nelle intenzioni del regista spagnolo più celebre era quello il tono e l'esplosiva tematica per una nuova commedia grottesca fino all'eccesso.
Ma il grande Pedro stavolta puntando sul grottesco rischia di cadere nel farsesco, penalizzato probabilmente da un doppiaggio non adatto alla pellicola. Infatti, i dialoghi (italiani) spesso rasentano la 'volgarità' su cui l'autore sembra aver 'giocato' - purtroppo non abbiamo visto la versione originale che ha sbancato al botteghino in Spagna - sui modi di dire, sugli accenti (anche regionali), sui doppi sensi e i giochi di parole in spagnolo, fatto che del resto già aveva sempre fatto in precedenza (dallo stesso "Donne" a "Kika"), spesso perdendo col doppiaggio il sapore e le tonalità di 'accenti' e 'fraintendimenti'.
Non a caso, la donna interpretata da Cecilia Roth (la grande protagonista di "Tutto su mia madre") è argentina come l'attrice stessa, il suo modo di parlare in originale si capisce è proprio quello del paese sudamericano, così come l'enigmatico passeggero messicano è interpretato da un attore della stessa nazionalità del personaggio, inserendo una terza 'variazione' della lingua spagnola. Tutte sfumature che il doppiaggio - forse involontariamente - italiano appiattisce e quasi sicuramente distorce. Fatto che succede spesso persino con le commedie hollywoodiani quando si gioca con accenti e variazioni della lingua inglese, oppure con rimandi e riferimenti 'locali'.
Certo, "Gli amanti passeggeri" (anche il titolo è già un doppiosenso) non è un capolavoro, ma nemmeno una commedia spazzatura, tanto da essere stata paragonata da alcuni colleghi (e non) addirittura col nostro 'cinepanettone'. Sarà perché Almodovar stavolta sbatte in faccia apertamente il sesso in tutte le sue varianti: dall'omosessualità sbandierata degli stewart a quella nascosta/repressa dei piloti; da quello usato per far carriera anche col ricatto dell'ex escort a quello del dongiovanni pentito, dalla sensitiva vergine agli sposini in luna di miele; per non parlare della corruzione e della truffa, armi del direttore di banca in fuga, e chi più ne ha più ne metta. Ma la sua 'commediola' è stata da noi stroncata dai più, mentre in patria è stata addirittura letta come metafora (l'aereo in grave pericolo provoca il panico e la riflessione sulla propria esistenza nei passeggeri) della Spagna attuale, finita nel caos tra crisi economica e decadenza morale. Secondo noi, eccessive le reazioni di entrambi le parti.
Comunque non mancano trovate originali e gustose, come quella della caduta dal terrazzo di un palazzo del cellulare di un'aspirante suicida - amante di uno dei passeggeri - che finisce nel cestino della bici di una ragazza di passaggio che si rivela un'altra ex dell'uomo. Già perché gli intermezzi mélo di Almodovar si svolgono soprattutto via telefonino, tra cielo e terra.
Discorso diverso, ma non troppo, per Pappi Corsicato - volente o nolente il suo cinema ha avuto come riferimento quello del 'fratello maggiore' Pedro - che ne "Il volto di un'altra" prende a modello il mélo che più ama nel tentativo di rivoltare le sue regole però mantenendo intatta la ricerca estetica dell'immagine e dell'inquadratura, fra la pop art e il cinema del maestro Douglas Sirk, dai colori eccessivi della passione, al bianco e nero contrastato della moda, del design e dell'arte anni Sessanta. Anche quando il riferimento diretto è "Occhi senza volto" di Georges Franju.
Presentato in concorso al passato Festival Internazionale del Film di Roma, il film rischia - nonostante la sottile ironia e un realismo portato all'esaperazione - anch'esso la caduta nella farsa, e nella volgarità, magari con personaggi sopra le righe e/o volutamente volgari, come quello della suora interpretata da Iaia Forte, simbolo della degradazione morale in assoluto.
Comunque, nemmeno "Il volto dell'altra" ci è sembrato una 'commediaccia', perché nonostante le apparenze è un tentativo di 'smascherare' certo falso fanatismo della celebrità ad ogni costo, dell'ossessione morbosa nell'inseguire le storie (altrui) ad ogni costo come accade nella televisione 'reality', anzi alimentato da certa tivù, quella sì 'spazzatura', tanto da aver creato una vera e propria scuola, addirittura imitata e sostenuta da molti.
E quello che colpisce di più ne "Il volto di un'altra" è la ricerca estetica dell'immagine, soprattutto di ambiente e location che contrastano con quella finta e artificiale (superficiale) inseguita dai protagonisti, femmina e maschio, che invece vogliono essere ed apparire per sfuggire la paura di sembrare 'nessuno'. Ma forse alla fine si redimeranno ritrovando la propria umanità a contatto con la natura incontaminata. Che da qualche parte, forse, ancora esiste.
José de Arcangelo
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