martedì 2 aprile 2013

Renzo Martinelli racconta il suo "Undici settembre 1683" ovvero un episodio storico dimenticato ma di scottante attualità

Arriva nelle sale il nuovo mini kolossal di Renzo Martinelli “Undici settembre 1683” che narra un episodio storico poco conosciuto, anzi dimenticato, l’11 settembre 1683, in cui trecentomila guerrieri chiamati da ogni angolo dell’Impero Ottomano e guidati dal gran visir Karà Mustafà tennero Vienna sotto assedio. Ma furono sconfitti grazie al monaco cappuccino Marco d’Aviano e alla strategia del re polacco Jan III Sobieski. Il film, prodotto dalla Renzo Martinelli Film Company International e la polacca Agresywna Banda in collaborazione con Rai Radio Televisione Italiana e in collaborazione con Rai Cinema, sarà nei cinema italiani l’11 aprile distribuito da Microcinema in circa 80-100 copie. A presentarlo alla Stampa, a Roma, lo stesso Martinelli con gli attori Enrico Lo Verso (Karà Mustafà) e Federica Martinelli (Lena), mentre l’altro protagonista F. Murray Abraham (Marco d’Aviano) ha inviato un videomessaggio, in cui mette in risalto: “la grandezza dell'Italia, io credo – dice - che il film sia importante per diverse ragioni, quella della fede e della forza di Dio per il bene del mondo; per riflettere se è possibile che i paesi debbano impegnarsi insieme per il bene universale, per constatare cosa ha fatto l'Italia per il mondo con Leonardo, Michelangelo, Galileo… che ognuno nel mondo possa comprendere quello che ha fatto per l’umanità, e capire che bisogna unirsi per un bene comune”. “E’ costato 9 milioni 300mila, questo il costo industriale, tanto che all’inizio pensavo di unire in coproduzione le quattro nazioni coinvolte nella vicenda, Italia, Austria, Polonia e Turchia, ma poi quando eravamo molto vicini all’accordo in due si sono tirati indietro e alla fine il film è italo-polacco. Film complesso dal punto produttivo e post produttivo, ci sono 1400 inquadrature digitali, persino le candele di Palazzo Reale a Torino gli abbiamo dovuto accendere in digitale, perché in quei luoghi bisogna girare senza nessuna fiamma, infatti anche quella del camino è stata aggiunta in post produzione. La pellicola doveva uscire il 31 gennaio, ma non era ancora pronta. Anche perché un film italiano non deve superare i 120 minuti, inoltre c’è la sottostoria di Lena e Abul. Certo, non è facile posticipare l’uscita ma il montaggio è stato duro. Rai Cinema ha molti impegni in questo periodo, troppi titoli in uscita da non poter gestire il film, e dedicarsi alla distribuzione a tempo pieno, così si è fatta avanti con passione Microcinema, lavorando anche sabati, domeniche e notti per creare le condizioni per poter andare avanti”. “La mia intenzione è rispettare la storia, e gli uni e gli altri – prosegue a proposito di Cristianesimo e Islam, e guerra di religione -. Quando stavo mixando ‘Vajont’ ho appreso la notizia che è un aereo aveva buttato giù una torre a New York, e allora sono stato costretto a prendere coscienza di questa storia sconosciuta per noi. L'attacco alle torri spingeva due culture a confrontarsi, e mentre stavo preparando in Friuli l’anteprima del film, proiettato sulla parete della diga, in uno spazio di 1500 posti, il giorno prima diluviava, veniva giù di tutto, e pensavo che non sarebbe stato possibile farlo all’aperto. A quel punto mi avvicina Diotisalvi Perin, un uomo del posto, e mi chiede ‘come va?’ Io rispondo ‘Devo rinunciare all’anteprima’, e lui ‘Ho pregato San Marco D’Aviano, vedrai domani spiove’. Non conoscevo questo santo, così mi sono informato e un amico mi manda un fax sulla ‘battaglia di Vienna dell’11 settembre 1683. Un’occasione ghiotta per un regista, ma ci sono voluti 10 anni per farlo”. “C’è un aneddoto che vi vorrei raccontare – ribatte Lo Verso sul suo personaggio - quando Renzo mi ha proposto un ruolo, sono andato in produzione sperando e un po' temendo, perché avrei dovuto fare Abul che rappresenta la congiunzione tra due culture; mentre l’idea di dover poi passare a quello dell’antagonista un po’ mi spaventava, perché ad una prima lettura mi sembrava un guerriero un po’ tagliato con l'accetta. Ero perplesso, ma era anche un’occasione ghiotta per un attore, confrontarmi con Karà Mustafà, anche su più livelli e sfaccettature, e a cui la regia metteva particolare attenzione, in un modo diverso. E la sceneggiatura mi offriva la possibilità di interpretare non solo un guerriero ma anche un padre e un uomo che ascolta la sua donna, che va a chiedere sul destino, e viene rincuorato dall’interpretazione del sogno perché scopre che il sangue versato non sarà il suo. Un momento che riguarda la nostra investitura, un po’ come quando Ratzinger ha deciso di abbandonare il pontificato. Uno si prefigge dei compiti, ma poi qualcosa va storto e non ti permette di portarlo avanti. Karà neanche aveva detto qual era il suo vero programma, il suo progetto, per paura di far nascere delle obiezioni. Ne viene fuori un essere umano, non un fumetto né il solito cattivo. Combattere una guerra, fare il comandante, mentre altri provano la diplomazia”. “Dopo, parlando con F. Murray Abraham ho scoperto che anche lui, in un primo momento. doveva fare la parte di Abul, così quando è arrivato Yorgo (Voyagis) gli abbiamo detto insieme ‘fallo bene!”. “Lena è uno degli anelli di congiunzione tra le due culture – dichiara Federica Martinelli -, ma per lei è un fatto d'amore, al punto che sfidando ogni pericolo cerca di ricongiungersi con l'uomo; un personaggio puro che non ha niente a che fare con le differenze culturali. Prima perché lei è una diversa, una sordomuta, e non si preoccupa di nessun tipo di diversità negli altri. Poi recitare amputata, non poter usare le corde vocali, un ruolo diverso dal solito, per cui sono stata assistita da una ragazza logopedista, mi ha portato a frequentare la scuola per sordomuti di via Nomentana di Roma. Un’esperienza bellissima perché è una sorta di scuola di recitazione, la loro mimica, l’espressività visiva è impareggiabile, sono belli da vedere. Alcuni amici sordi, poi, mi hanno fatto scoprire come comunicare senza utilizzare la parola, e che nel loro caso mentre si mangia non si può proprio parlare. Il linguaggio per il film è un po' inventato, perché quello dei sordomuti nasce ufficialmente nell’Ottocento, queste persone comunque a livello locale e familiare hanno sempre avuto modo di comunicare, anche se alcuni gesti sono attuali ho dovuto inventare qualcosa per costruire Lena”. “Lo spunto è stato il romanzo di Carlo Sgorlon – riprende l’autore di “Barbarossa” -, poi abbiamo fatto delle ricerche con Valerio Massimo Manfredi e scoperto che esistevano dei diari sia da parte occidentale che musulmana, e alla fine, abbiamo concluso che doveva diventare un film. Pian piano abbiamo scoperto che l'Europa che stavamo raccontando aveva un’analogia agghiacciante con l'oggi. Allora era appena finita la guerra dei 100 anni, ed erano state smarrite le radici cristiane, le fazioni erano in lotta tra di loro, fatto che offre un’attualizzazione molto forte. L’incontro notturno tra Karà e Marco allora non era ma possibile, solo questo episodio è stato inventato. Un condottiero che vuole conquistare l'Europa e un sacerdote cristiano che vuole spingere il suo Dio a difenderla, ed entrambi sono nel giusto. Volevamo sottolineare l’insensatezza della guerra, e soprattutto delle guerre di religione, perché nessuna è più insensata. Sono uomini che appartengono più ai loro tempi che ai loro padri. L’umanità deve difendere con le armi la propria cultura e i propri valori, però penso che oggi si deva passare attraverso il confronto per ribadire i propri valori e la propria identità, bisogna ridare orgoglio alla comunità cristiana. Tutti si sono meravigliati da quello che è successo, però in occidente c’è una crisi di vocazione pazzesca, un’apostasia di Dio, crediamo di potere farne a meno, ma non è cosi. Bisogna ritrovare l’orgoglio dei nostri valori che arrivano dal cristianesimo, dal giudeo crocifisso duemila anni fa. Abbiamo avuto rispetto di ognuno dei loro valori, perché si potrebbero offendere, analogamente abbiamo rispettato i nostri perché è un’altra religione, la nostra cultura”. “Siamo stati capaci di scrivere una Costituzione europea – prosegue - di 90mila parole senza mai citare la cultura cristiana, ma non la si può disconoscere, altrimenti non ci sarebbe Rinascimento, musica, arte, cultura. Io cerco di far riflettere su certi fatti, su un mondo cristiano che ha smarrito i propri valori, sarebbe stato facile fare un bel thriller, ma il cinema ha un valore etico, maieutico su certi avvenimenti. Questo è fortemente emblematico su un totale annientamento che sarebbe arrivato, e un grande sacerdote che impedì accadesse. Infatti, l’imperatore francese lavorava su onde lunghe, con lentezza secolare, mentre d’altra parte regnava l’indice più alto dell’Islam. Dobbiamo riflettere su come si concluderà la risalita, prendere coscienza di quanto si sia impoverita la nostra cultura, mentre quella islamica è molto più forte della nostra, ha ancora una grande partecipazione collettiva ai rituali. Da noi chi ci va più in chiesa col sentimento di una volta, dove si fanno più le processioni? Tutto questo è pericoloso per la nostra cultura”. “La prima difficoltà è di tipo economico – afferma sulla realizzazione -, trovare i soldi da investire nel tuo progetto, un piano finanziario; poi va interamente disegnato lo storyboard che è una sorta di libro, e comporta una progettazione in ufficio dal regista, il direttore della fotografia e il responsabile degli effetti speciali. Inquadratura per inquadratura, studiare ogni dettaglio, per esempio nel salone del palazzo le finestre erano coperte col green screen, che poi sarebbe stato sostituito con la vista dei palazzi fuori, e se la luce tagliava di destra anche sullo sfondo doveva coincidere. Problemi apparentemente banali che poi diventano complessi. Anche per la moltiplicazione delle masse; per i 400 cavalli che poi diventano 10mila. Spesso ci vuole mezz'ora di lavoro per due o tre minuti di film. Avevo molto chiara l’idea del montaggio, prevedevo che gli stuntman avrebbero fatto la scena della battaglia non più di quattro volte, così ho girato con 5/6 macchine da presa, è un altro modo di fare cinema. Faticoso anche fisicamente”. E riguardo la versione televisiva, il regista confessa: “Abbiamo prima scritto un film, e quando eravamo tutti soddisfatti di quella sceneggiatura, siamo passati alla versione lunga. Abbiamo tantissimo materiale per montare la versione più lunga, ma pensavamo sembrasse un buon film. Poi verrà dilatato, perché la televisione ha ritmi e tempi diversi, e i salti narrativi sono più azzardati. Andrà in onda un anno e mezzo dopo, in due puntate di 100 minuti”. “E’ nato 12 anni fa, molto prima degli sviluppi della Lega – chiarisce sulle polemiche -, con onestà intellettuale, tanto che è stata riconosciuta la sua importanza storica e culturale di fondo, e il budget è stato costruito in ogni pezzetto come un puzzle. La Rai si ripaga con la messa in onda, il milione polacco si recupera dalla distribuzione e dalla messa in onda in patria, poi una quota del Ministero (MiBac ndr.), un'altra dal tax credit - che vuol dire se spendo 10 milione, uno e mezzo di detrazione fiscale contribuisce con un 15 per cento del film -, infine il contributo di Friuli-Venezia Giulia e Piemonte Film Commission. Sono un piccolo produttore che va in giro per mezza Italia per bussare a molte porte, qualcuna si apre; poi da Vienna a Istambul, si gira in cerca di denaro per un piano. Inoltre la nazione che co-produce impone attori, e una parte viene scelta dal regista, cercando di portare il meglio. Spesso hai dei contatti con degli attori, li contrattualizzi poi passano i mesi li perdi perché hanno preso altri impegni”. Il nuovo progetto dell’instancabile Martinelli? “Ustica, il mistero della fossa nel Tirreno – dice – sono passati più di trent’anni, allora c’erano tante ipotesi, la prima il cedimento strutturale dell’aereo per il trasporto di persone; poi una bomba nella toilette di coda; un missile statunitense anziché libico. Ma due ingegneri dell’aeronautica che hanno lavorato sui tracciati radar e l’intercettazione telefonica portano verso una quarta ipotesi, confutabile di quel evento, dato che hanno ripescato dal Tirreno tutte le conversazioni. Nella penultima frase della richiesta al radar di Ciampino per scendere di quota, l’ultimo fonema è ‘gua..’ al millesimo sta per ‘guarda’, interrotto spontaneamente. Un comandante che ha passato la cinquantina, molto esperto, se si fosse trattato di un cedimento strutturale, una bomba o altra ragione avrebbe avuto modo di comunicarlo in un millesimo di secondo. Ma il fatto ha avuto un andamento diverso, e attraverso le prove raccolte è diventata sceneggiatura, vorremmo avesse anche il valore maieutico, portasse alla riflessione. Non pretendiamo raccontare la verità, ma spiegare alcune cose perché la società che costruisce l’aereo ha detto sui reperti ‘noi non usiamo questa lega’; altre 12 schegge di lamiera hanno la vernice degli aerei militari americani. Cosa è successo veramente? Non c'è ambizione di verità, ma di fare un film che consenta la riflessione su un tragico episodio rimosso e manipolato oltre 30 anni fa, anche perché il Ministero ha fornito ai giudici registrazione dove erano state cancellate tutte le tracce non appartenente al DC 9, e la sentenza l’ha condannato a pagare per tre delle vittime, e ora dovranno farlo per tutti quelli che stavano sull’aereo. Abbiamo messo le mani su indizi e prove che ci hanno fortemente avvicinati alla verità”. “Per ‘Il caso Moro’ mi ero extra documentato, qui non c'è nessun documento d’appoggio, ma non sono dietrologia, sono fatti inquietanti. Andate a vedere i primi articoli usciti su ‘Paese Sera’, ‘L’Unità’, ‘La Stampa’, i primi servizi del Tg1 e il Tg2, la verità è lì lampante, disarmante. La scrivono poi si perde tempo a fare perizie, ma nei primi quattro giorni, l’ambasciata americana è già al lavoro un’unità di crisi. Si parla di un caccia militare americano, del ritrovamento di un seggiolino iettabile, sono tutti nel panico perché hanno buttato giù 81 persone, poi parte la disinformazione: la bomba, Gheddafi, un missile. La storia non la scrivono gli storici ma la ragion di Stato, fa filtrare certe verità. Un evento inconfessabile. Tanto che si parla di un aereo da guerra libico in volo per riforniture in Jugoslavia, che di consueto si nascondevano dietro gli aerei di linea per evitare i radar di terra, in piena aerea nato, che a quel punto vedono solo un unico pallino verde. Un insieme di verità inconfessabili, di menzogne, per porre una riflessione, perché forse c'è una quarta ipotesi che spiegherebbe una serie cose”. Nel cast di “Undici settembre 1683” anche il regista Jerzy Skolimowski (Re Jan III Sobieski), Alicia Bachleda Curus (Duchessa di Lorena), Piotr Adamczyk (Leopoldo I), Claire Bloom (Rosa Cristofori), Matteo Branciamore (Eugenio di Savoia), Marius Chivu (padre Cosma), Antonio Cupo (Duca di Lorena), Giorgio Lupano (Conte Stahremberg), Gianni Musy (Carlo Cristofori), Daniel Olbrychski (Katski), Isabella Orsini (Leila), Borys Szyc (Sienlawski), Hal Yamanouchi (Murad Girai), Wojciech Mecwaldowski (Kulczycki), Vlad Radescu (Ahmed Bey), Marcin Walewski (Jacub Sobieski). José de Arcangelo

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