lunedì 29 aprile 2013

Un bel debutto nella regia per Valeria Golino in "Miele", liberamente tratto dal romanzo di Mauro Covacich "A nome tuo"

Bel debutto nella regia di Valeria Golino che ha fatto tesoro degli 'insegnamenti' indiretti dei registi che l'hanno diretta negli ultimi trent'anni, dal Citto Maselli di "Storia d'amore" al Giuseppe Piccioni di "Giulia non esce la sera", per un dramma sobrio e dolente, già premiato dalla selezione ufficiale del Festival di Cannes che lo proporrà il 17 maggio a "Un Certain Regard". "Miele" è liberamente tratto dal romanzo di Mauro Covacich "A nome tuo" (Einaudi) ed esce nelle sale italiane il 1° maggio distribuito da Bim in 100 copie. "Mi ha colpito - esordisce la neoregista alla presentazione romana - il doloroso provocatorio personaggio femminile inedito (in cui Covacich si nasconde sotto pseudonimo). Dopo aver letto il libro ne ho parlato con Riccardo (Scamarcio) e Viola (Prestreri, i produttori per Buona Onda ndr.), i miei collaboratori, e ne abbiamo presi i diritti. Però per raccontare la gestazione dovrei parlare per un'ora. L'ho scoperto tre anni fa, inizialmente avevo paura perché il libro era piaciuto a tutti, ma non ero sicura di volerlo fare e, soprattutto, se avrei affidato a me la regia. 'E' una certezza per voi non per me', mi sembrava così difficile come primo film. Una volta superata la paura, mi rassicuravano poi loro, e ci siamo decisi a fare il film. Abbiamo intervenuto moltissimo, spremuto il libro, abbiamo lasciate fuori alcune scene altrettanto belle per la pagina. Il romanzo è stato filtrato dalla nostra percezione, perché ha un'etica che non è la nostra. Addirittura abbiamo tagliato cose che ci piacevano, ma alcune non ci interessavano, ma avrebbero complicato di più le cose; e abbiamo cambiato i contenuti del libro e persino il finale. Tantissime cose, ma tante rimangono, perciò è 'liberamente tratto'." Narra la storia di Irene (Jasmine Trinca), alias Miele, una trentenne che ha deciso di aiutare le persone che soffrono: malati terminali che vogliono abbreviare l'agonia, persone le cui sofferenze intaccano la dignità di essere umano. Un giorno però, a richiedere il suo servizio è un settantenne in buona salute, l'ingenere Carlo Grimaldi (Carlo Cecchi), che ritiene semplicemente di aver vissuto abbastanza. L'incontro metterà in crisi le convinzioni della giovane e la coinvolgerà in un dialogo serrato lungo il quale la relazione tra i due sembrerà infittirsi di sottintesi e ambiguità affettive. "Volevo un personaggio femminile sui 28/30 anni - riprende la Golino sulla scelta della Trinca -, più giovane di me. All'inizio si era parlato superficialmente della possibilità di farlo io, ma credo fermamente debba avere l'età di Jasmine, non di una donna matura, con un bagaglio diverso. Non volevo fare nemmeno la protagonista del mio primo film, ero curiosa di filmare qualcun altro, ma non è detto che se farò altri film non possa succedere. Su Riccardo, anche lì, sui due ruoli maschili ci abbiamo pensato e non ci è sembrato che fossero giusti per lui. Poteva fare uno dei due, ma abbiamo deciso che non era il caso". "Soprattutto per una questione pratica - ribatte Scamarcio -, vista la mole di lavoro che dovevo affrontare come produttore film, ero condizionato, assorbito per due anni e mezzo nel riuscire a finanziare il film. E ci sono riuscito grazie all'apporto di Rai Cinema, nella persona di Paolo Del Brocco, Brancaleoni e gli altri, che fin dal primo incontro ci hanno sostenuti in questo nostro viaggio, così come Gianluca De Marchi di Strategie di Comunicazione, Vittorio e Simon Maggiore ai sensi delle norme sul tax credit, il sostegno del MiBac e della Regione Lazio, la Francia attraverso i coproduttori Les Films des Tournelles e Cité Films, e il fantastico distributore Valerio De Paolis (della Bim ndr.), che ha preso il film sulla carta. Ero molto angosciato perché fare il primo film non è stato semplice, però abbiamo dimostrato che si possono fare film difficili e coraggiosi e possono venire anche bene, come ci sembra in questo caso". "Tutti i tasselli sono stati messi insieme - aggiunge la Prestieri -, tutti eravamo preoccupati, ma pian piano siamo riusciti a fare un film piccolo, con un budget piccolo, lasciando far fare a Valeria tutto ciò che voleva". "E' la storia che ci siamo raccontati noi - prosegue la regista -, mi sembrava aveva un'urgenza, una necessità di essere raccontata. Non so se si riescono a spiegare, ma mi interessavano le cose che venivano dette, la storia di questa donna, i due personaggi maschili, di parlarne, scriverne e poi di vederli. L'argomento penso interessi anche il pubblico, un argomento che è più tabù per le istituzioni che per noi. Siamo più pronti della politica a parlarne e a riflettere su cose delicate, difficili, tant'è che tra noi stessi creano divari, perché riescono a colpire i nostri stessi pregiudizi più intimi, al di là di essere corretti, di dire cose giuste. E' un tentativo per porsi delle domande, né provocatorio né contro, ma con gli altri. Infatti, non c'è una posizione definitiva, ed è quasi più difficile, altrimenti ti libera dal tutto il resto dover poi dire 'veramente la penso così'. Io non riesco ad averle, al di là di quello che penso, credo che ogni essere umano, ogni persona abbia il diritto di decidere sul proprio corpo, sulla propria vita e come finirla, lo sento. Ci sono mille implicazioni, e cambia con ogni storia personale, volevo addentrarmi in questi dubbi io stessa, perché noi li avevamo". "Ho sempre pensato, sognato di voler andare a Cannes come regista - aggiunge sulla scelta del suo film -, in una sezione prestigiosa come 'Un Certain Regard'; sono contenta, mi mette allegria l'idea di andare lì ben vestiti, forse, ti diverti meno di quello che pensi, ma essere tra grandissimi registi mi rende felice, mi inorgoglisce". "Ho fatto cose quasi senza rendermi conto - dichiara Jasmine Trinca sul suo ruolo -, credo siano state portate dal tipo di incontro che si è instaurato con Valeria. Nella scena del pub, quella boccata immaginaria di fumo attraverso il vetro, non riuscivo a capire quello che facevo. L'ho capito poi quando l'ho vista, il mio è stato un affidamento totale. Dovevo far vedere i problemi etici del personaggio, far riflettere, porsi delle domande. L'opportunità di lavorare con Valeria non l'ho mai messa in discussione, volevo vedere come avrebbe raccontato il fine vita, e non poteva porre dubbi. E' stato un gran piacere per me, ne ho sofferto, ma se non fosse stato così non sarebbe stata la stessa cosa, perché non ci doveva essere finzione, dovevamo essere autentitici, e mi sono messa nelle sue mani". "Il rapporto con l'ingegnere è uno dei motivi che spostava i punti di vista sul personaggio - afferma Francesca Marciano co-sceneggiatrice con Valia Santella e la regista -, cosa fare per rispecchiare il peso su una persona che dà la morte agli altri. Nella realtà esiste anche questo personaggio, vengono chiamti 'angeli della morte', un'orribile definizione, ad un certo punto lei non ce la fa più, è una cosa che no si può fare per sempre, pena la sua umanità. Per quello lei ha spesso una reazione forte, correre in bici, fare l'amore sono segni di voler acchiappare la vita da qualche parte. Come le scene girate, tutto cielo mare vento velocità in contrapposizione alla morte". "Questa è una delle molle molto forti di Valeria" chiosa la Santella. "Lo sfinimento e dall'altra un meccanismo perfettamente oliato - aggiunge la Trinca -, tradito soltanto dal suo sguardo di pietà, ma la variabile Grimaldi non rappresenta più la solitudine, perché vede in lui lo stesso tipo di malessere esistenziale. E' intervenuta una cosa esterna, e diventa palese quando 'aiuta' l'ultimo ragazzo". "E' lì che la storia riesce a smarcarsi dal tema - ribatte Scamarcio -, e prende la strada esistenziale, ed è quello che mi ha colpito di più della storia". "Nel libro c'è un altro finale, non so se è un omaggio a Monicelli - dichiara la Golino -, ho avuto la notizia della sua morte e nel modo che era avvenuta, e ha permeato la scrittura sicuramente. Ed è forse l'emozione, devo ringraziare Davide Bertoni, l'aiuto regista, perché loro fanno diventare il film qualcosa di più, e senza di lui sarebbe stato un'altra cosa, così come Giogiò Franchini, il montatore, il direttore della fotografia ungherese Gergely Poharnok, Vinicio Marchioni, il mio attore nel film, mentre Carlo sarà a Cannes, ma oggi è in Cameroun". "Il momento della morte non si vede mai, solo il 'fare tutto per', perché si sentisse tutto il peso e la tensione di questo evento personale che stanno compiendo. Anche sacro, grave, però non volevo far vedere le morti. Solo tracce, ma che non si vedessero. Volevo si capisse la situazione, non è una presa di posizione, è una verità 'nessuno vuole morire', ma per loro non è più vita. E' un'intuizione, un credo, un pensiero, lei l'ha vissuto così, ha fatto una scelta difficile, la più difficiel. Ha pensato nessuno vuole morire, tende alla sopravvivenza, e centra col desiderio. In questi casi è una scelta, una necessità..." "Nel libro non si sapeva la fine di Grimaldi, restava in sospeso. Noi volevao dare una risposta, c'era un'altra cosa molto grande, che ha cambiato un movimento del film, mentre lì lei aveva in mano l'amputal, era Grimaldi a supplicarla di darglielo, qui lei glielo dà per sbaglio; quindi lei deve cercare di riprenderselo, e quando lui decide di riportarlo è come se la liberasse da ogni responsabilità. Non si parla più di morte, ma di amicizia, di intendimento tra i due, e volevamo che lei si illudesse che questo abbia cambiato qualcosa, è tutto corretto, lei è libera ma..." "Il film va ad approfondire cose che c'erano già - riprende Santella -, il rapporto tra loro due ha una grande forza vitale della natura, e vanno ancora di più in profondità nella sceneggiatura. Tra Cecchi e Jasmine, accarezzati da Valeria, si è creato qualcosa di più forte, ma sta già all'origine e, forse, è questo il motivo per cui Valeria ha voluto fare il film". "La preparazione è stata un caos come sempre, qualche volta facevo delle foto, prendevo piccoli appunti che poi perdevo, ma non c'era uno storyboard. Ho sempre voluto che fosse possibile di renderlo libero e formale allo stesso tempo, volevo delle inquadrature che rispecchiassero serietà senza fronzoli, perciò gli 'incidenti di luce', gli spostamenti. E' giusto averli, perché non volevo tante cose e avevo paura di tante trappole sia nel contenuto sia nella forme. Ho lasciato fuori molte cose che mi piacevano, perché pensavo il film non volesse il di più, il girigoro. Poi la mia tendenza all'estetizzante la tengo sotto controllo, e ho cercato fosse il più rigoroso possibile, anche perché il tema ti impedisce di cedere all'inutile. E quando mi sono portata troppo in là con le inquadrature e la luce, sono tornata indietro. L'idea sull'architettura di Roma è quello che volevo vedere, come con i visi degli attori; qualche volta istintivamente, altre ripensando le scene. Quando arrivi a fare cinema qualcos'altro succede, un imprevisto nella recitazione o altro che succede senza averla cercata". "Anche la frase che dice Grimaldi l'ho sentita dire a Cecchi quando stava parlando di altro a proposito 'dell'imbellicità contemporanea' e ho trovato che fosse molto da Grimaldi, bella da farla sentire. Il personaggio non si riconosce più in quello che sta vivendo, ha a che fare coi tempi, è una sua noia esistenziale, uno scollamento dalla vita, un'infelicità alla quale lui non può, non vuole avere a che fare. Le cose che non fanno piacere di solito ti tengono in vita. Lui dice 'troppo bello troppa luce troppo vento', e quella cosa lo ferisce abbastanda da volerlo fare andar via". "Ho imparato tantissime cose con tanti registi con cui ho lavorato - dice Golino sul nuovo mestiere -, sia da quello che mi piaceva che da quello che non mi piaceva. Per esempio il modo in cui filmo Jasmine, mi piacciono i primissimi piani sugli attori, più voglia di andare più vicino per scoprirne la bellezza, voglia di guardarla non perché sia necessario, è una reazione più emotiva che di stile. Jasmine più ti avvicini più si imbellisce. E' il risultati di tanti pensieri, cose viste e imparate, e mi sono mesa una specie di disciplina per evitare le cose che mi sembravano belle perché dentro il film erano di troppo". "Tutti gli attori sono potenzialmente bravi o pessimi - afferma la protagonista -, dipende dagli incontri, di solito nei film non mi piaccio mai, in quello di Valeria mi piaccio". "Non si tratta di eutanasia - chiarisce l'autrice sul tema -, ma di suicidio assistito, cose completamente diverse. La decisione è del malato, conscia, fa 'tutto da solo', il suo ruolo è assistere il malato a togliersi la vita. Mai pensato a quello, è un argomento fosse troppo ostico, sarebbe stato difficile per inesperienza e soprattutto nel modo se ce l'avrei fatto. Ho voluto fare un film sulla contraddizione del connubio continuo vita morte, morte vita, luce oscuro, era questo il motivo, e volevo raccontarlo per immagini. Avevo paura che non ce lo facessero fare, altrimenti non l'avremmo potuto fare. Infatti, le prime reazioni anche di persone amiche sono state 'siete pazzi il primo film su questo argomento, ti vuoi rovinare la carriera sul nascere', perché per loro sarebbe stato il primo e l'ultimo". Del Brocco: "Sicuramente mi complimento per questa ricerca di una storia originale, diversa, fortissima, che anche dal punto vista produttivo non è facile. La nostra società ha una strategia nuova per trovare tutti i tasselli necessari per rendere i film molto internazionali come questo. Rai Cinema ci tiene a quest'opera prima forte, e anch'io voglio andare a Cannes e farmi le foto con Valeria. Nonostante siano momenti difficili anche per la Rai, siamo riusciti a fare uno sforzo tutti quanti, e dobbiamo ringraziare quelli come Valerio (De Paolis) che credono in questo tipo di prodotto". "Sono contentissimo ed emozionatissimo di questa piccola parte - confessa Vinicio Marchioni che è Stefano, amante di Irene -, e mi dispiace che quando si vede qualcosa che ci colpisce particolarmente si dica 'non sembra un film italiano', invece questo è italianissimo e ne sono orgogliosissimo. Non do mai le cose per scontate, ma quando ti chiama un'attrice straordinaria come Valeria le devi dire solo sì, soprattutto in una situazione come questa. Una giovanissima produzione, di un attore di fama internazionale, che hanno fatto un atto di coraggio enorme ed è la sacrosanta dimostrazione che si fanno le cose con idee e coraggio". "Anni fa con Procacci e Tozzi abbiamo proposto alla Rai 'Il cielo è sempre più blu' - racconta De Paolis - dove c'era una scena in cui Marescotti si buttava di sotto dal quinto piano, e loro ci hanno detto se togliete quella scena sì. E non si suicidò più. Questo film allora non si sarebbe fatto. Loro hanno avuto il coraggio di presentare questo progetto segno che l'Italia è cambiata e anche la Rai." José de Arcangelo

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