martedì 9 aprile 2013
Un thriller esistenziale alla ricerca della verità ne "La città ideale", personale opera prima di e con Luigi Lo Cascio
Un dramma kafkiano, o meglio un thriller esistenziale tra Kafka e Pirandello, questo è grosso modo l'opera prima di e con l'attore Luigi Lo Cascio "La città ideale", nelle sale italiane dal 18 aprile - dopo la calorosa accoglienza alla 27a. Settimana Internazionale della Critica della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia -, distribuito da Luce Cinecittà in 30 copie.
"E' stato molto bello tornare a Venezia come regista - esordisce Lo Cascio alla presentazione romana alla Casa del Cinema -, in una sezione prestigiosa, e unico film italiano. E' un giallo, un thriller è il genere più vicino, perché c'è un mistero e la ricerca della verità - anche thriller morale sta bene (la definizione data dalla critica a Venezia ndr.) -; la ricerca della verità per gli altri è il pretesto per un approfondimento della verità personale, dai contorni sfumati, piena di ombre, cose di sé che sono state allontanate, abbandonate, rimosse. Non ci sono messaggi significati per costruire una nuova morale, ha a che fare con il comportamento e l'etica del protagonista".
Ecco la storia: Michele Grassadonia (lo stesso autore) è un fervente ecologista che sfiora quasi il fanatismo. Molto tempo fa ha lasciato Palermo per trasferirsi a Siena, che lui considera, tra tutte, 'la città ideale'. Da quasi un anno sta portando avanti un esperimento nel suo appartamento: riuscire a vivere in piena autosufficienza, senza dover ricorrere all'acqua corrente o all'energia elettrica.
Ma in una notte di pioggia, il 'caso' ci mette lo zampino e Michele rimane coinvolto in una serie di accadimenti dai contorni confusi e misteriosi. Da allora, la sua esperienza felice di integrazione gioiosa nella città ideale comincerà a vacillare...
"Sono contento di come viene visto e recepito - prosegue l'attore-regista -, è la cosa più bella del film, perché sembra un pensiero tuo mentre diventa lo sguardo dello spettatore. Ma non è né contro la giustizia (non è quello il tema) né contro i magistrati. La ricerca della verità nella maniera più pressante può apparire negativa alla logica della spiegazione, perché si deve arrivare ad un punto definitivo attraverso la sproporzione, perciò mi sono fermato al momento dell'interrogatorio. Lui non è in grado di fare in modo che l'inverosimiglianza possa diventare ragionevole a chi lo ascolta, ma non c'è nessun attacco alla magistratura, anzi viene mostrata in modo benevolo, gli arriva l'avviso di garanzia, viene ascoltato. La 'sua verità' la confiniamo nell'impossibile perché inverosimile per noi; così mette tutta la sua vita nelle parole, allontanandosi dall'altra verità da categoria che ha scopi meno cruciali, però c'è rischio di infrattendimento in un'opera che tenta di interrogarsi sulla giustizia senza essere faziosi e nella maniera più serena, senza prese di posizione retoriche".
"Credo che il protagonista abbia qualcosa dell'archeologo, ha qualcosa da nascondere, un senso di colpa rispetto a qualcosa di personale, come del resto l'abbiamo tutti. Un uomo seduto davanti ad un magistrato traballa, non ha la sfacciataggine della verità pensando di averla. Sono un grande ignorante di cinema - risponde all'accenno di 'Shutter Island' di Scorsese -, sto cercando di colmare alcune lacune, ma questo film non l'ho visto. La sceneggiatura è mia e porta la mie imperfezioni, le mie passioni, Kafka che mi è molto caro (ha portato in scena il monologo 'La tana' da un suo racconto ndr.), e il riferimento è 'Il processo', anche se lì non si capisce quale sia l'imputazione, soprattutto nelle atmosfere, nello sprofondamento. Nella prima pagina si è già nell'incubo, volevo che arrivasse a qualcosa di simile. Nelle Raccolte dei suoi diari ci sono degli aforismi e dice che 'nella ricerca, l'uomo deve produrre la verità dall'interno', lì nel tuo petto si gioca la battaglia, fondamentale il senso della verità come battaglia personale, da combattere finché non viene fuori. Un altro aforisma l'ho rintracciato dopo, e scoperto cose anche di Pirandello, da dove derivano certe fissazioni, come quella che 'l'uomo è legato a una catena', ma è così lunga che non si accorge di averla, e quando va troppo nella stessa direzione essa si fa sentire. Quando si va oltre la caduta".
"Ognuno ha la sua 'città ideale' - prosegue -, già il termine ideale fa pensare ad uno scatto rispetto all'esistenza, così come non si può fare a meno dell'identità, nemmeno della città ideale; magari la mia può avere la biblioteca sotto casa, ma io ce l'ho e voi no. E' qualcosa di personale che uno insegue per avere un punto di riferimento".
"La persona più vicina che avevo era mamma, tanto che nel film porto i miei stessi vestiti. Quando faccio un film non in costume non sono felice come stavolta, anche perché la costumista mi ha consentito di tenermi i miei vestiti, perché mi dispiace che poi finiscano in un garage, finché si può è bene usarli. Quello nella foto della marcia è proprio mio padre, fece una marcia qui a Roma lottando con dei titani, noi fin da bambini eravamo immersi nello sport e nell'atletica leggera, e siamo stati coinvolti in una marcia longa di 19 km solo per la passione di camminare, muoversi. Ho una relazione con la città senza involucri, diretto, cerco di non prendere la macchina, però mi dispiace che non ci siano più le cabine telefoniche dove mi potevo cambiare al volo. E' un paradosso quelli che girano in macchina tuttuo il giorno e poi vanno in palestra alle 9 di sera. Siena è sempre stata per me la città ideale, un archetipo molto forte della vita urbana, ti fa pensare di tornare in una città a misura di uomo, misurata dalle persone, della contrada che fa sì che tutti custodiscano ogni sasso, e sia un grande orgoglio cittadino. e poi ha il teatro dentro i Palazzo Comunale. Si avverte la polis greca, l'orgoglio, il senso di autosuficienza, e ci sono ancora gli orti fin dentro la città, hanno creato una propria mitologia, segni che anche quando si è in difficoltà non vengono cancellati, può capitare allontanamento, viverle le conosce".
"Tema fondamentale è quello della verità - riafferma Lo Cascio -, ero smarrito quando è nato il film, in realtà in una di quelle giornate di diluvio a Roma, ero dentro la macchina e ho assistito a scene apocalittiche, dove l'uomo non riesce a fronteggiare la forza della natura. Imbottigliata nel traffico, nel panico, la gente lasciava la macchina in mezzo alla strada, in bilico tra due corsie, allora ho cominciato a pensare alla storia. L'incontro con l'irruzione del 'caso', fa venir fuori le storie, e il fatto che il protagonista quel giorno non voleva nemmeno uscire di casa né prendere la macchina dell'ecologista. Il tema della verità si concatena con la purezza, il fanatismo (ecologista) per chi lo vive è qualcosa di assoluto che invece di unirci ci separa dagli altri; anziché creare comunità crea distacco, come primo elemento le mura creano chiusura, limiti, collasso. Non c'è nemmeno nessuna critica all'ecologismo, ci sono tanti tipi di ecologisti, tanto che questo atteggiamento viene criticato da quelli di superficie, perché per i fanatici l'idea di sviluppo è già negativa".
"Ho accettato visto le insistenze di mio figlio - dice Aida Burruano, madre di Lo Cascio e anche nel film -, si è messo molto pesante, e una mamma per amore si sacrifica, non ho fatto niente di speciale, solo una mamma. Ma si scoprono cose nuove, l'impressione che mio figlio abbia molta libertà 'vigilata', mi ha sorpreso e molto preoccupato che volesse fare la regia. Come attore lo conosco, io sono obiettiva e critica; la mia paura era perché lui a casa è molto disordinato. Mi dicevo 'come potrà fare il regista dato che ci vuole ordine, disciplina e pazienza? Io, che sono molto religiosa, pregavo pregavo pregavo perché ci riuscisse, tanto è la prima volta se va male... Credo, invece, sia andata bene, più della sufficienza. Mi ha sorpresa perché è un'altra persona davanti e dietro alla cinepresa tutto precisione e ordine, un particolare che non conoscevo, ma la serietà l'ha sempre avuta. Di solito con me è grazioso e amorevole, stavolta mi ha massacrato però è riuscito a farlo bene. 'E' il suo primo film e se io ci rovino pure la mia parte?, pensavo, e allora altre preghiere, mi sono raccomandata a Gesù".
"L'artefice di questa scelta è Angelo Barbagallo - riprende Lo Cascio sul ruolo da protagonista -, quando lo avevo scritto pensavo a mia madre, ad una narrazione articolata alla parola delle istituzioni e che in quella retorica entrasse la parola amorevole di mia madre, di mio zio (Luigi Maria Burruano ndr.) che fa l'avvocato Scalici, ma non pensavo a me, mi interessava la storia e il personaggio, di non circoscriverlo in un certo registro, e l'ho proposto ad Angelo. 'Devi farlo tu', disse anche se aveva già in mente due o tre attori, 'sarebbe più personale e non sembrerà di voler strafare. E' stato molto utile per me recitare, l'attore l'avevo già fatto, almeno metà del lavoro già lo conoscevo ed ero tranquillo perché una certa pratica l'avevo; e poi mi ha permesso di spostare l'attenzione e le paure nel momento recitativo. Andando sul set con Pasquale Mari (il direttore della fotografia ndr.) ero preparato perché sapevo ogni inquadratura, il significato rispetto alla storia. E dover recitare partisva dalla mia relazione con gli altri attori dall'esterno, visto che gli attori di teatro durante la tournée devono sapersi guardare da fuori. Oggi i mezzi consentono di potersi guardare quasi contemporaneamente, la montatrice (Desideria Rayner ndr.) era sempre sul set, e, pensando al dopo, mi diceva su questa scena non ci sei".
"Il film è stato prodotto grazie ai sostegni di molti gruppi - chiarisce Barbagallo -, dal Luce, dal MiBac, sia dalla Regione Toscana sia dalla Lazio Film Commissione, poi dal contributo - determinante per permetterci di concludere il film - del Monte dei Paschi di Siena, un partner prezioso, credo sia il primo film da loro prodotto, attraverso lo strumento del Tax Credit, legge che per fortuna abbiamo e consente a investitori non del settore audiovisivo una detassazione del 40 per cento, sia esterno che interno. Negli ultimi anni da noi non è stato prodotto più nulla, mentre in tutti paesi occicentali già si faceva, e se non fosse intervenuto anche da noi sarebbe stata una follia. Inoltre, siamo andati a girare a Siena, e Monte dei Paschi è Siena, i cui funzionari abbiamo conosciuto durante il Palio, e abbiamo chiesto aiuto. Firmato un contratto di produzione associata, e per fortuna lo fanno. Quello che è successo per me è un grande dolore, perché abbiamo avuto rapporti di trasparenza totale da parte loro, sono stati perfetti e appassionati, c'è stato e ha funzionato nei migliori dei modi. E' un momento difficile e mi addolora, mi dispiace per le persone che vi lavorano. Il film è costato 2 milioni e 200mila euro, che abbiamo raccolto un po' per ciascuno - 400mila dal Monte dei Paschi -, e questo diventa un non investimento perché si recupera subito".
"Il finale sembra blindato, si chiude con una domanda, lascia l'interpretazione (risposta ndr.) allo spettatore - conclude l'autore -, uno lo prende così com'è, può identificarsi o tenersi a distanza; ognuno rispondendo alla domanda scoprirà se stesso. L'atteggiamento morale ti fa pensare che (il protagonsita) lo rifarebbe, tornerebbe indietro. In un primo momento sembrava tornasse indietro per fanatismo, alla luce degli avvenimenti, è invece una scelta pienamente morale, secondo nuovi presupposti morali. Storia strana centrifuga da una parte, spinge dall'altra, secondo me la compattezza percorre una traiettoria, l'interpretazione del segno è affidata allo spettatore. La storia ha un perimetro che si chiude con una domanda. Nel campo della giustizia non è la ricerca della verità di tutti perché ogni parte ha la sua, quello che tu dici deve accostarsi ad una verità coerente, l'avvocato è quello che funziona come verità, infatti dice 'tutti cercano la vittoria anziché la verità'. Le prove si formano, ci si mette la toga, il processo è una 'rappresentazione teatrale', dove si ricostruisce la verità tutti insieme. L'invenzione più vicina alla verità che l'uomo poteva inventare è il processo".
"Ho fatto un provino a Roma, il primo importante - afferma la protagonista femminile Catrinel Marlon -, ho appena iniziato il mestiere, ma mi ha convinto un po' il racconto strano, poi il ruolo di una ragazza misteriosa, un'artista un po' macabra,. Io spesso vado al cinema, faccio la fotografa (immagini scure, notturne chiosa Lo Cascio), e se il maestro ti sta dietro, va bene".
"Incarnava la differenza assoluta rispetto al mio personaggio - ribatte il protagonista -, bella, alta, straniera, artista. Fin dall'inizio c'è qualcosa di più in lei, torna e non torna quanto c'entra con la storia. Lei è una figura che crea un'amplificazione del turbamento nel protagonista in un momento di difficoltà che poi raggiunge il suo culmine".
"La ricerca della città ideale - continua - mostra il fatto che noi non ci bastiamo, l'ideale è qualcosa di particolare, lo scegliamo ma non sappiamo perché. C'è chi sceglie di lottare contro le cariche della polizia, lo stesso è per chi sta a casa perché ha un altro modo di concepirlo, e non solo sul concetto di idealità, che è fondato dalle nostre pulsioni sconosciute. Nel suo desiderio, sogno, di purezza c'è qualcosa, una macchia che non riesce a cancellare, si trova solo. Tutti noi lo proviamo senza arrivare a questi eccessi, al trauma, all'abbandono. La sua strumentazione linguistica non basta più, ci vuole l'approfondimento".
"Mi piacerebbe molto tornare alla regia - conclude -, quando è nata questa storia ho sentito la necessità, un grandissimo desiderio di fare il regista, anche perché Rubini mi diceva 'è bellissimo, come riposarsi facendo l'attore'. Può bastare far l'attore, ma se una storia arriva non richiesta né cercata, pensi di avere lo sguardo per cavarne qualcosa di interessante, di personale. Io l'idea interessante l'avevo e lo era anche per gli altri. Rifarlo sarebbe esaltatnte perché ho provato una gioia mostruosa sul set, su qualcosa che deve ancora nascere, adesso, dopo il parto, è il momento in cui gli altri lo vedono, speriamo dicano 'che bel bambino'."
José de Arcangelo
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