venerdì 19 aprile 2013
Vite e miseria di immigrati e moderni 'gladiatori' nell'amara commedia "Benur", un successo dal palcoscenico al grande schermo
Dal palcoscenico al grande schermo una commedia più amara che dolce, anzi malinconica, "Benur - Un gladiatore in affitto" di Massimo Andrei, dall'opera teatrale di Gianni Clementi - e da lui sceneggiata col regista -, e interpretata dagli stessi Nicola Pistoia, Paolo Triestino ed Elisabetta De Vito che l'hanno rappresentata a teatro con grande successo.
Il film sarà nelle sale il 1° maggio grazie all'impegno e alla passione della produttrice Flavia Parnasi, che aveva prodotto anche il documentario "Maglietta rossa" su Adriano Panatta ai tornei mondiali svoltosi nel Cile di Pinochet, distribuito dalla Movimento Film.
"E' stata una cosa casuale - esordisce la produttrice, per Combo Produzioni -, ero andata a vedere la pièce teatrale non sapendo cosa fosse, e sono rimasta colpita, affascinata dagli attori e dalla storia, innamorata dello spettacolo. E ho pensato che anche il pubblico cinematografico doveva avere l'occasione di gustare tutto questo. Ho parlato con Rai Cinema, con la BNL e con la Regione Lazio e loro hanno deciso di sostenermi. Però mi mancava il regista, non sapevo chi volevo né cosa volevo. Ho incontrato tanti registi, poi mi è capitato di vedere 'Mater Natura' (l'opera prima di Andrei ndr.) e ho deciso che Massimo era quello giusto. E vorrei ringraziare la scuola della Roma che si è innamorata di questa cosa".
Infatti, per l'anteprima capitolina del 23 aprile, a The Space Cinema Moderno, parteciperà una rappresentanza di calciatori, con tanto di gladiatori romani a far da scorta sul tappeto, ovviamente, "giallo-rosso". E il trailer del film sarà programmato allo stadio Olimpico a partire da domencia 21.
Il film, già presentato allo scorso Festival Internazionale del Film di Roma, narra le vicende di due fratelli, Sergio (Pistoia) e Maria (De Vito), e del bielorusso Milan (Triestino): tre storie di disperata comicità ai piedi del Colosseo tra turisti, bighe, centurioni e gladiatori... sulla scia del classico "Miseria e Nobiltà".
"Ho lavorato su una sceneggiatura già esistente, ci ho messo le mani, ho fatto dei ragionamenti con l'autore e ci siamo molto distanziati dal teatro, allontanati dal maledetto 'soggiorno' (le consuete tre pareti del palcoscenico ndr.) della commedia teatrale, e siamo andati al Colosseo". Dove sono stati riprese la maggior parte degli esterni, mentre gli altri esterni sono ambientati a Tor Sapienza.
"Della sceneggiatura, infatti, Massimo ha appena fatto una ricostruzione molto fedele - ribatte l'autore Gianni Clementi -, di ciò che è avvenuto in fase di sceneggiatura, lo sfondamento era necessario, non sapevamo se sarebbe stato possibile, ma siamo riusciti ad ottenere un'ambientazione fantastica, da questo punto di vista devo ringraziare Flavia che ha svolto un impegno produttivo notevolissimo. Appena saputo che si potevano avere quei luoghi ci siamo regolati di conseguenza e il film ha avuto il respiro giusto".
"Pensiamo al discorso iniziale della storia teatrale - riprende il regista -, senza nessun luogo vero. Il Colosseo diventa non solo archeologia poetica ma pesante per chi deve portare i soldi a casa. Il finale di un italiano che abbandona l'immigrato, ho capito che non era giusto per non dare solo lo sguardo di chi ha visto trattare male l'immigrato, che anziché abbandonarlo, decide di dargli un'altra opportunità. E l'entusiasmo dell'extracomunitario per rimarcare che, se sei capace, alla fine la vita ti premia, e dai dai riscuoti, ti va bene l'impegno dimostrato. E lui si prende in gestione un locale o altro. L'entusiasmo paga, rispetto all'italiano che resta seduto, e ritorna a fare quello che faceva prima. Un rafforzamento per mostrare la possibilità di andare oltre, che ce la faccia. Una lettura in più, sia sogno o minaccia, e un po' in sospenzione, per lasciare il messaggio che non si deve per forza subire, ma capire come possono andare le cose. Io non lascerei mai morire un extracomunitario o tantomeno lo sfrutterei fino alla morte".
"Considero una grande piccola vittoria - confessa Clementi - il fatto che gli stessi attori dello spettacolo abbiamo fatto il film, perché fin da quando la sceneggiatura era in fase embrionale, ho preteso facessero parte della pellicola; e sia Massimo che Flavia hanno aderito subito con molto piacere. Questo fatto mi inorgoglisce".
"Lo dico sempre e ringrazio Gianni - ribatte la De Vito -, nel cinema italiano in genere non succede mai che gli stessi attori facciano il film tratto da una commedia teatrale di successo. Per noi è stato più semplice, perché con Nicola ormai siamo veramente fratello e sorella. Sembra difficile trasportare il teatro in cinema (ci sono alcune scene che non ci appartenevano, tante location), è stato molto interessante, perché l'abbiamo fatto tutti quanti insieme, e siamo diventati ormai una famiglia".
"Per 'Benur' venne un giorno da noi Gianni con poche pagine - afferma Triestino, volto noto anche in tivù - e questa idea dello spettacolo, nel 2007-2008, loro erano marito e moglie, io sudamericano. E' un grandissimo privilegio avere a disposizione un autore vivente che raccoglie le tue suggestioni, che poi accetta o no. Col tempo Sergio e Maria sono diventati fratello e sorella e io, Milan, bielorusso. Una commedia che abbiamo sentito molto nostra, e abbiamo fatto patire il regista e la produttrice, che avevano un tale amore per il progetto. Li abbiamo rotto le scatole fino all'inverosimile. Ci sono spettatori che ci hanno visto a teatro 12 o 13 volte, e ritornano ancora, tra un po' porteranno anche il figlio. Una grande soddisfazione è stata portarlo al Teatro Romano di Ostia Antica. Io ho rotto le scatole anche sul finale, ogni giorno ne proponevo uno. Vedendo il film ho capito che sta bene anche questo, però sono affezionato all'altro. Un grande lavoro per cui abbiamo dato l'anima, con fatica, a volte con rabbia, ma abbiamo fatto qualcosa di importante. E' stato talmente dificile, restituire il parlare romanesco-bielorusso, la progressività nell'approffondimento del linguaggio, tant'è che quando dicevo agli immigrati 'devo imparare il bielorusso', i più si offendevano, finché all'Ambasciata trovai Nikalai, che credo abbia degli zii a Spinaceto, mentre lui è avvocato, sposato, ed è il primo portiere di un albergo a 5 stelle. Un giorno mi chiese 'Paolo dove posso trovare la divisa di centurione per pubblicizzare l'hotel'. Ha 27 anni e una marcia in più, forse perciò loro riescono a fare quello che noi non tentiamo più. La fame provoca il desiderio di riscattarsi dalla povertà".
"Mi sono affidato al regista - dichiara Pistoia -, ma ero curioso di vedere il film, perché ero un po' dubbioso. Come avrebbero fatto a collegare tutte le scene di interni che facevamo a teatro, con quelle degli esterni. Sono sorpreso e felice di vederlo, mi sono visto per la prima volta a teatro ed è accaduto al cinema! E ho constatato che partivano gli applausi in sala di proiezione come a teatro, e nella stessa scena drammaturgica. Il finale ognuno lo vede a modo suo, un po' consolatorio, ma nel film ci sta anche bene, sono commosso, emozionato, felice per i miei colleghi, di restituire verità ad un personaggio così diverso. Dato che non mi va di studiare come a Paolo, lavoro solo sulla memoria lo stesso giorno, non ho dovuto studiare nemmeno stavolta. Io sono così, quando lavoriamo sono feroce e cattivo, tanto che lui mi diceva 'tu sei veramente proprio così stronzo'. Vengo da esperienze teatrali non felicissime, 'Uomini targati Eva' e 'Uomini stregati dalla luna' (da lui stesso scritti con P. Ammendola ndr.) che non hanno avuto un buon risultato. A teatro, prima di questo spettacolo, 'Piccoli equivoci', negli anni '80, quando l'obiettivo era portarle al cinema. Almeno stavolta vedranno qualcosa di nuovo".
"Quando stavo facendo un provino teatrale per lo spettacolo - racconta l'attrice a proposito della fine -, stavo girando per UnoMattina una mini fiction ispirata a fatti di cronaca su un capo cantiere che si ferisce sul lavoro e viene abbandonato ferito a casa".
"Non è certo un caso che abbia affrontato questo tema - aggiunge l'autore -, quando stavamo facendo uno spettacolo al teatro Colosseo, vedevo questi 'figuranti' che tornavano a casa la sera, per istinto uno si chiede sempre e immagina cosa c'è dietro il costume, e fa un'indagine di fantasia che si è poi legata e sposata con la realtà che viviamo tutti i giorni. Allora, uscì la notizia di un immigrato morto di fatica mentre raccoglieva pomodori o cose del genere, ed era stato preso e portato a un paio di km più in là e abbandonato in mezzo al campo. L'incontro con Massimo all'inizio dell'avventura cinematografica, ho scoperto che è estremamente sensibile e impegnato, e sono stato confortato molto dalla sua visione aperta e disponibile su questi temi. Sulla fine ho sofferto abbastanza per il cambiamento, e ne abbiamo parlato diffusamente. Ma capisco anche la svolta da lui voluta, e mi rendo conto che è una strada possibile".
"Sono felice che sia una giovane produttrice quella che mi ha proposto questo lavoro - prosegue il regista -, come me, fresca rispetto al progetto, non legata al fatto teatrale, e che ha creduto in me dall'inizo. Trasporre è difficile e l'ho fatto, non è stato proprio semplice, ma loro sono bravi a esprimere umorismo e comicità, e il giusto approfondimento sui primi piani. A Nicola Piovani (autore della colonna sonora ndr.), dopo i primi incontri, gli sembrava superficiale; poi ha preso a cuore la storia, tanto che nella scena del pronto soccorso è lui stesso a suonare. Aveva visto la commedia a teatro, e non avendo il rumore della sala che ride, ci ha pensato lui a sottolineare ogni scena. Sono stato distante dalla pièce, e i miei collaboratori mi hanno sostenuto. L'eredità era forte, e ho cercato di tenermi lontano, spero - lo dirà pubblico - di essere riuscito a riportare la comicità amara, dal dialetto aggressivo, urlata; di poter far ridere di questa tragedia. Siamo fase guardare cosa stanno facendo, matrimoni, scopate, lavori (2a. generazione), arrivati a conquistare posti migliori sarà la terza, non più momento arrivo, ridotta al minimo. Non sa quello che l'aspetta, miseria umana ridendo, grazie alla forza degli attori e degli esserci andato addosso sia stato restituito. Non aver, mi sento autonomo, come seconda pagina rispetto originale".
Campagna sensibilizzazione sul diritto civile, il più importante di prostituzione e transessuali, temi stanno molto comodi il disagio civile sia teatro sui mezzi pubblici stazioni, tratta la materia sociale, così altri copioni trattati in precedenza.
Quando il lupo ha fame esce dalla tana
"Tor Sapienza è un posto che mi ha colpito - io vivo a Monteverde, riprende Pistoia -, vicino c'è Corviale (soprannominato "il serpentone" ndr.), luoghi che rifuggi, dove uno ci passa di corsa. Nel girare il film ho conosciuto delle persone che ci hanno offerto la loro casa con una dignità e una generosità fantastica. Parlo per me, solo il lavora ti avvicina alla realtà, ti porta a stare a contatto con delle persone che non incontreresti mai, come quello che ha fatto il 'centurione' per 30 anni e non può più farlo".
"Dicono che sono amica di tutti barboni - ribatte la De Vito -, avevo un cane e lo portavo ogni giorno sulla pista ciclabile, e sono stata testimone quando a Porta Portese i barboni extracomunitari sono stati mandati via con le ruspe, e i vigili mi hanno detto 'questi sono gli ordini', ma stranamente allora il quartiere era più tranquillo quando c'erano loro'.
"Nel film non vedete mai la Roma borghese - aggiunge Triestino - ma le icone moderne, i casermoni, le strade disastrate. E' un modo bello, originale, nuovo di raccontare Roma attraverso questa 'liason' tra l'antico e l'oggi".
"Tor Sapienza fa parte della legge 157 degli anni '80 - conclude Andrei -, così come nacque Scampia a Napoli, e ha mantenuto una sua poesia, dove abita qualsiasi elemento possibile, il progetto l'aveva fatto Gianni Gatti, e appena avuto l'ok che potevo muovermi, l'ho contattato e scoperto che sta finendo la sua vita, ha 90 anni, e mi ha detto 'se i servizi, le idee fossero state eseguite tutte quante fino in fondo sarebbe stato fantastico. Erano disegnate per il popolo, non sono state ultimate, le zone centrali sono rimaste solo cemento armato, e anziché spazi sociali e culturale, sono ora luogo di spaccio e per sfruttare l'immigrato. E' un esempio di grande architettura sociale, zone pilota, in cui oggi mi sono trovato più a casa".
José de Arcangelo
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